Francesco D'Agostino,martire della libertà |
Scritto da L.R.Alario | |
lunedì, 30 settembre 2013 06:59 | |
Continuiamo a pubblicare gli articoli comparsi sull’ultimo numero del “Simposio” il periodico edito dal Liceo “Lombardo-Satriani” di Cassano Ionio. Abbiamo notato che tutti gli articoli del Simposio fin’ora pubblicati hanno incontrato l’approvazione dei nostri visitatori e questo significa che la rivista è ben fatta e degna di continuare ad esistere, tra l’altro, a parte i contenuti sempre di ottimo livello, ha anche una veste grafica, particolarmente elegante, che la rende ancor più gradita. Il prof. Giuseppe La Padula, che ne è curatore e redattore ci ha comunicato che è in preparazione il prossimo numero, nell’attesa offriamo ai webnauti l’interessantissima nota che segue redatta dal prof. Leonardo Alario riguardante un eroico personaggio della resistenza italiana caduto per mano dei tedeschi in quel di Imola, nato a Cassano-Doria da padre platacese e madre coriglianese. Sul nostro sito abbiamo già pubblicato nel mese di marzo una breve e non certo esaustiva nota del nostro amministratore dal titolo “Francesco D’Agostino eroe dimenticato”, il prof. Alario ne traccia, da par suo, la biografia in modo dettagliato a partire dal suo ingresso alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Roma avvalendosi sapientemente della bibliografia esistente che troverete elencata in coda all’articolo. BUONA LETTURA.
Francesco D’AGOSTINO È un eroe, martire della libertà, ben noto in Italia, non a noi. È tempo di conoscerlo, anche se in notevole ritardo. Ne vale la pena. Per trarne insegnamenti di vita, e per renderci conto che Cassano ha dato i natali, in passato, a uomini puri di cuore. Chissà se ancora oggi. Me lo auguro. Lo spero ardentemente. Mai come oggi abbiamo bisogno di buoni esempi e di modelli positivi da amare e a cui ispirarci. Nato a Cassano Jonio l’8 febbraio 1882 da Gioacchino Vincenzo D’Agostino, capostazione, e Maria Chiappetta, nobildonna, coppia con numerosa prole, Francesco frequenta la scuola con grandi sacrifici. Il 1901 s’iscrive alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Roma, da cui, per motivi di famiglia, è, dal terzo anno, costretto a trasferirsi per completare gli studî nell’Università di Napoli, dove consegue la laurea in medicina il 22 luglio 1907. Gli scritti, che lo riguardano, lo dicono nato il 2 febbraio alcuni, il 10 dello stesso mese altri, ma al n. 79 del Registro degli Atti di nascita dell’anno 1882, conservato nell’Ufficio anagrafe del Comune di Cassano, si legge che il giorno 12 febbraio davanti all’Assessore Anziano Pomponio D’Elia si presenta il capostazione di Ferrovia Gioacchino Vincenzo D’Agostino per dichiarare la nascita di un figlio maschio, a cui dà il nome di Francesco, avvenuta nella sua abitazione di Via Doria dalla moglie nobildonna Maria Chiappetta alle ore 1,30 del giorno 8 febbraio 1882. Ancora studente, allievo di Clinica medica, insegnata dal professore Antonio Cardarelli, e di Anatomia patologia insegnata dal professore Otto von Schrön, il quale lo giudica «fra i giovani piú colti e piú diligenti della sua scolaresca, è, per la sua diligenza e assiduità», ammesso dal professor Miranda alla guardia medica dell’Istituto di Clinica ostetrico-ginecologica. Il professor D’Antona, ordinario di Clinica chirurgica, lo ammette, nel triennio 1904-1907, ad assistere, in qualità di «allievo diligente e meritevole» alle operazioni speciali, mentre il professor Padula, ordinario di Medicina operatoria, gli affida «spesso ammalati per operarli ed assisterli, il che fu ciascuna volta fatto con sua piena soddisfazione», nominandolo negli anni 1906-1907, preparatore aggiunto di Medicina preparatoria. Appena laureato va come medico condotto interino a Plataci, dalla cui popolazione riscuote stima e affetto. Súbito chiamato per ottemperare agli obblighi di leva alla Scuola di Sanità militare di Firenze, è l’anno dopo, quale Sottotenente medico di complemento dell 48° Fanteria di fresca nomina, inviato sui luoghi dell’immane disastro provocato dal terremoto del 28 novembre 1908 in Calabria e in Sicilia. Giuntovi la sera stessa del disastro, si prodiga con tanta abnegazione, lavorando giorno e notte con notevole spirito d’iniziativa e di sacrificio tanto da meritare, per la sua eccezionale opera di conforto fisico e morale prestato in favore di quelle popolazioni, articoli di lode apparsi su diversi giornali, numerosi attestati, la medaglia di bronzo di benemerenza, la medaglia d’argento commemorativa e la proposta d’una medaglia d’argento al valore civile. Il professor Padula, divenuto, intanto, direttore della Clinica chirurgica dell’Ospedale di Napoli, non si dimentica di lui, chiamandolo nell’anno scolastico 1909-1910 al suo fianco in qualità di assistente, e testimoniandone, poi, «la capacità, lo zelo e la dolcezza del carattere, pari al suo ingegno vivace, se ne dichiara straordinariamente contento».Nel frattempo Francesco D’Agostino frequenta il corso di perfezionamento in Ostetricia e Ginecologia tenuto dal professor Mancusi nell’Ospedale degli Incurabili.. Alla fine dell’anno 1910, a causa di ristrettezze economiche acuitesi col suo matrimoni, è costretto ad abbandonare l’incarico e di trasferirsi a S. Gregorio delle Alpi, dove ha vinto il concorso di medico condotto. Cammino difficile e tortuoso, dunque, quello del Nostro verso una carriera, che trova frequenti impedimenti e interruzioni. Ancora nel 1910 vince il concorso per la condotta medica di San Martino di Lupari, dove, per l’elevato servizio prestato, riscuote tanto successo da indurre le autorità a richiedere il suo ritorno quand’egli si trasferisce, dopo appena sei mesi, a Venezia per entrare nella sezione chirurgica di quell’Ospedale diretta dal prof. Davide Giordano, e dove, l’anno dopo, il 1° agosto 1911, supera col massimo dei voti il concorso di assistente effettivo, vincendo anche, il 1912, il Premio Minich per il miglior lavoro scientifico fra quelli pubblicati dagli assistenti dell’Ospedale veneziano. Il ritmo della sua attività medica e scientifica è intenso. Al concorso per Chirurgo primario e Direttore dell’Ospedale di Roverbella, indetto nel maggio 1913, si classifica con il massimo dei voti, nel dicembre successivo, dopo aver superato gli esami, è nominato Aiuto chirurgo nell’Ospedale Civile di Venezia. La sua domanda di Libera docenza in Medicina Operatoria nell’Università di Napoli, presentata nel 1914, è congelata, perché, richiamato alle armi col grado di tenente medico di complemento nell’aprile 1915 in vista dell’imminente guerra, alla cui dichiarazione è assegnato alla Direzione di Sanità della Piazza Marittima di Venezia, dipendente direttamente dal Comando Supremo. In appena cinque giorni organizza quivi quindicimila posti letto pronti ad accogliere i primi feriti provenienti dal fronte, impegnandosi con tanto fervore da meritare la pubblica stima di Vittorio Emanuele III e della regina. Nel 1917 è dal Ministero della Guerra chiamato a ricoprire l’incarico di Chirurgo primario nell’Ospedale Civile di Faenza, e, nel giugno 1918, quello di Chirurgo operatore di Settore. Dopo l’armistizio, l’Ospedale Civile di Imola, a causa della sua fama, lo chiama, nel dicembre 1918, a ricoprire provvisoriamente l’incarico di Chirurgo Primario, di cui sarà titolare effettivo dopo il concorso, che lo vede primo, il 1° dicembre 1920. Nel frattempo, nel 1919, è chiamato a dirigere, in qualità di capitano medico, l’Ospedale militare della stessa città, dove ritornerà allo scoppio del secondo conflitto mondiale col grado di tenente colonnello. Ripresa l’attività chirurgica, dopo l’impresa di Fiume, a cui partecipa, d’accordo col Comandante D’Annunzio, insieme a Carlo Ferrari e al giovane professore Giulio Cesare, fa dell’Ospedale Civile di Imola un modello d’efficienza e di alta qualità scientifica, dedicandosi anche alla formazione dei suoi aiuti, tutti, poi, giunti ai vertici della carriera come liberi docenti e primari ospedalieri. Gli esami di Libera docenza in Medicina Operatoria, per sostenere i quali ha prodotto domanda nel 1914, sono brillantemente superati, dopo la discussione della tesi Chirurgia dello stomaco e la lezione di prova, assegnata per sorteggio, “Cura chirurgica degli ematomi endocranici traumatici”, con la seguente motivazione: «In tutta la lezione durata 45 minuti, il candidato ha fatto una esposizione chiara e senza verbose lungaggini, ma con precisione di concetto e profondità di cultura, mostrando delle non comuni qualità didattiche […]». Il 25 giugno 1921 è firmato il decreto, che lo dichiara Libero docente di Medicina Operatoria. La gran mole di lavoro quotidiano non lo distrae dagli studî scientifici, a cui dedica molte delle sue energie, producendo oltre trenta pubblicazioni, e non lo distoglie neppure dalla partecipazione a importanti congressi medico – chirurgici e dall’adesione a prestigiose Società scientifiche. Il 1920 è membro della Società Italiana di chirurgia, il 1925 è chiamato a far parte della Società Internazionale di Chirurgia, quando il podestà di Imola attesta pubblicamente il suo prezioso operato, il 1933 è fra i socî fondatori della Società Emiliano – romagnola di Chirurgia, il 1938 fra i socî fondatori della Società Romana di Chirurgia. La sua passione per la meccanica lo porta, insieme ad altre piccole scoperte, a concepire un fornello e un bruciatore a nafta polverizzata brevettati in tutte le più grandi nazioni del mondo, da cui non trae alcun beneficio per via della lunga malattia e della morte della figlia quattordicenne Gigliola avvenuta il 2 febbraio 1932. Anche la sua successiva scoperta non gli frutta alcun guadagno: «Nel 1935 la passione per la meccanica lo riprendeva accoppiandosi alla passione chirurgica; dopo numerose ricerche e studî riusciva a costruire un apparecchio per narcosi con vapori d’etere surriscaldati, apparecchio che riscuoteva gli entusiastici consensi dei maggiori chirurghi italiani cui era stato dato in prova. Anche di questa scoperta il brevetto gli veniva concesso nei numerosi stati per cui ne aveva richiesta la concessione, ma sfruttamento niente, perché venne la guerra quando era ora di lanciare industrialmente la scoperta e diffonderla nel mondo»[1]. Uomo generoso fino al sacrificio, sempre pronto ad accorrere al capezzale dei bisognosi di cure, di ritorno dal funerale della figlia, è chiamato in Ospedale per il ricovero urgente di un uomo colpito da una perforazione duodenale da ulcera. Accorso in sala operatoria, interviene con mano sicura, salvando la vita del paziente. Ma non è questo l’unico episodio. Fra i tanti si può citare quello della sua rinuncia ai giusti interessi personali per dedicare vita e professionalità al bene degli altri e della patria. All’indomani dell’entrata in guerra dell’Italia, convinto della necessità di offrire all’esercito italiano l’opera di abili chirurghi capaci d’intervenire efficacemente sui feriti e, insieme, dotati di buone qualità organizzative, quantunque anziano ed esonerato dal servizio militare, alla Direzione di Sanità di Corpo d’Armata di Bologna di essere assegnato anche ad ospedali di campo in prima linea. Per la ferma opposizione dell’Amministrazione dell’Ospedale di Imola al suo allontanamento dalla città, gli è affidato l’incarico di organizzare sul posto un Ospedale Militare Territoriale. Dedicatosi totalmente al suo nuovo compito, organizza, in breve tempo, in piú edificî, tra i quali, principale, l’edificio scolastico “Carducci” una serie di reparti ospedalieri militari con una ricettività di milleduecento letti, che è chiamato a dirigere col grado di Tenente Colonnello, assumendo anche l’incarico di chirurgo capo. La sua abnegazione, la sua competenza, le sue capacità organizzative gli valgono tre encomî solenni della Direzione Generale di Sanità e la conferma della stima e dell’amore di tutti i cittadini di Imola. Amico di Gabriele D’Annunzio sin dal tempo della marcia su Ronchi (11 settembre 1919) e della successiva impresa di Fiume (il giorno seguente dello stesso mese), lo cura amorevolmente quando perde un occhio, divenendone amico intimo e nutrendo sempre grande ammirazione per il suo fervore patriottico, e corre al suo capezzale quando il Vate è vittima, nell’estate del 1922, di una grave caduta a testa in giú da un davanzale a quattro metri d’altezza (detto il volo dell’Arcangelo), mentre corteggia, pare, Jolanda Baccara stanca delle sue molestie. È lo stesso D’Agostino a informare la stampa della sua dedizione al poeta, «insidiato dalla signora della morte e delle tenebre» (cosí pomposamente scrive il giornale La Fiamma, organo del Partito Nazionale Fascista di Imola), con una lettera allo stesso giornale, in cui, tra l’altro, afferma: «Questa notte mi ha baciato spontaneamente, e stamane, chiamandomi, mi ha accarezzato il viso con un sentimento che mi ha commosso. Sono cinque notti e cinque giorni che io non rubo un solo istante alla sua assistenza, che Egli mi vuole sempre vicino, e non gli rubo nemmeno questi momenti di scrittura, perché lo faccio nella stanza accanto, contando i suoi respiri». D’Annunzio gli dirà: «Tu sei la mia seconda madre». Aderente, sin dalla fondazione, al Fascismo, di fronte a tanti orrori, il 1943 abbandona clamorosamente partito per le idee non piú condivisibili, non rifugiandosi nel silenzio o nella clandestinità, ma professando la sua nuova fede nella libertà delle persone e dei popoli. Egli si mette all’opera, entrando, il 25 luglio 1943, nel Comitato che avrebbe coordinato le manifestazioni di giubilo per la caduta di Mussolini, e ponendosi alla testa della sfilata durante la grande manifestazione del 27 luglio 1943. Stimato da tutti e riconosciuto valido professionista dotato di grande umanità, scuote l’opinione pubblica col suo manifesto dissenso alla politica fascista. Ritenuto particolarmente pericoloso proprio per il suo carisma di cittadino integro, i repubblichini e i nazisti cominciano a tenerlo d’occhio e a procurargli serî problemi di sicurezza personale. Il 10 ottobre 1943, infatti, già dal suo primo numero il settimanale del fascio repubblichino imolese La Voce di Romagna minaccia apertamente D’Agostino: «Si invita il Ten. Colonnello Prof. Francesco D’Agostino a presentarsi alla casa del Fascio per rendere ragione di un suo articolo apparso alcune settimane orsono sul Resto del Carlino […] Crediamo che l’invito non preoccupi il colonnello D’Agostino già fascista e già quasi brevetto della marcia su Roma. Va bene che il 27/7 … beh lasciamo perdere». Appena una settimana dopo lo stesso settimanale pubblica una lettera di risposta, con cui D’Agostino chiarisce il suo pensiero con ponderatezza e fondatezza scientifica, dimostrando come la produzione artistica non abbia alcunché a che fare con le scelte politiche e l’equilibrio mentale di una persona. L’articolo incriminato Francesco D’Agostino lo ha pubblicato per rispondere a un attacco sferrato dai fascisti sul Corriere della sera contro D’Annunzio definito sfruttatore del fascismo. Egli sa bene quanto il suo amico D’Annunzio sia stato inizialmente avverso al fascismo, avendo assistito anche a un vivace alterco fra il Vate e il Duce, e conoscendo le motivazioni, che hanno determinato l’allontanamento del Comandante dalla vita politica attiva. La caduta della personalità di D’Annunzio e il suo conseguente avvicinamento al fascismo si hanno, per D’Agostino, «perché fattori patologici da trauma, aggravato dall’uso di stupefacenti, lo avevano menomato di quelle capacità di inibizione e di autocritica, che stanno alla base di ogni attività politica». Ma essere amato dai cittadini, muovere critiche alle scelte politiche dell’amico D’Annunzio, schierarsi apertamente dalla parte degli antifascisti sono colpe troppo gravi agli occhi dei fascisti, i quali, dopo l’armistizio, prima lo convocano alla Casa del Fascio, dove è oggetto di ingiurie e minacce, poi lo fanno arrestare il 13 ottobre dello stesso anno, rinchiudendolo nella Rocca di Rimini. Eppure i suoi amici, venuti a conoscenza delle trame perpetrate contro di lui, gli consigliano di darsi alla fuga per salvare la vita. Egli, peró, resta al suo posto, sicuro della sua rettitudine e della sua innocenza, e timoroso anche di possibili ritorsioni contro il figlio. Dopo l’uccisione del seniore della Milizia di Rimini, Gernando Barani, avvenuta il 28 ottobre successivo, D’Agostino il 30 ottobre è trasferito, insieme ai sospetti attentatori, nel carcere di San Giovanni in Monte, dove rimane rinchiuso fino al mattino dell’11 novembre, quando lo stesso Comando politico tedesco delle SS, di cui fanno parte anche due fascisti, un ufficiale della Milizia e un membro del Direttorio della Federazione fascista di Bologna, lo rilascia per mancanza di prove gravi a suo carico e per l’evidente inconsistenza delle accuse. I repubblichini, inviperiti per la decisione dei Tedeschi, non desistono da attacchi e minacce. Alle diciannove dello stesso giorno, quand’egli è appena rientrato nella sua casa, lo arrestano, imprigionandolo di nuovo nella Rocca di Imola. Questa volta il trattamento del prigioniero è feroce. Rinchiuso in cella d’isolamento, è costretto a dormire senza materasso e a patire il freddo e ogni sorta di minaccia, a pulire la sua cella e quella degli altri carcerati, a vedere la moglie e il figlio ogni quindici giorni sotto stretta sorveglianza, a mangiare la minestra dopo che gli hanno sputato dentro. Il 9 gennaio 1944, sul solito periodico La Voce di Romagna, lo mette alla gogna, includendolo nella rubrica satirica Il baraccone dei fenomeni viventi. Gli attacchi sempre piú feroci e insidiosi dei repubblichini non intimoriscono Francesco D’Agostino, il quale, forte del consenso popolare, quantunque impressionato dalle scoraggianti notizie, che gli giungono dall’esterno, continua la sua instancabile resistenza al regime, meritandosi le minacce fisiche, che Alcazar, pseudonimo, dietro cui si nasconde un editorialista dello stesso giornale, in un articolo del 23 gennaio successivo, gli rivolge apertamente: «Difetteranno prima i colpevoli che i plotoni d’esecuzione». L’ora del medico benefattore e patriota giunge quando i fascisti, prendendo a pretesto l’uccisione del Commissario Straordinario della Federazione Fascista di Bologna, Eugenio Facchini, giustiziato dai partigiani il mattino del 26 gennaio 1944, colgono finalmente l’occasione per eliminare alcuni personaggi di primo piano dell’antifascismo. Il pomeriggio dello stesso giorno, insieme ad altri prigionieri politici, ammanettato e sotto un’imponente scorta, egli è trasferito a Bologna, dove, processato da un improvvisato quanto illegale Tribunale militare straordinario (appositamente riunitosi sotto la presidenza del generale Ivan Doro e composto dal pubblico accusatore Giovan Battista Cosimini e dai tenenti colonnelli Roberto Morelli e Umberto Patroncini) con l’accusa di aver fornito alla Resistenza materiale sanitario del suo ospedale, «secondo una delazione circostanziata proveniente dallo stesso ambiente ospedaliero», frutto di un’evidente macchinazione di qualche collega invidioso e interessato a occupare il posto di primario, è condannato a morte «per avere dal 25 luglio 1943 in poi, in territorio del Comando militare regionale, con scritti e con parole, con particolari atteggiamenti consapevoli e volontarie omissioni e con atti idonei ad eccitare gli animi, alimentato in conseguenza l’atmosfera del disordine e della rivolta e determinato gli autori materiali dell’omicidio a compiere il delitto allo scopo di sopprimere nella persona del Caduto [Eugenio Facchini] il difensore della causa che si combatte per l’indipendenza e l’unità della patria». Di ritorno in cella, ha parole di conforto per i suoi compagni, e di perdono per i suoi nemici, scrive anche due biglietti alla moglie, ma le frasi importanti sono censurate. È fucilato alla schiena, mentre grida Viva l’Italia, al Poligono di tiro della città, alle ore diciotto del giorno dopo, il 27 gennaio 1944, insieme agli altri insigni antifascisti Alfredo e Romeo Bartolini, Alessandro Bianconcini, Silvio Bonfigli, Cesare Budini, Ezio Cesarini e Zozimo Marinelli. Il 30 gennaio successivo, il periodico La Voce di Romagna, in prima pagina, dà notizia dell’eccidio: «Bartolini Alfredo, Bartolini Romeo, Contoli Sante, D’Agostino Francesco, Bianconcini Alessnadro, Cesarini Ezio, Marinelli Zosimo, Budini Cesare, Bonfigli Silvio, Missoni Luigi imputati di concorso nel delitto di omicidio con armi in persona di Facchini Eugenio, Commissario Straordinario della Federazione Fascista di Bologna, tradendo il giuramento di fedeltà prestato all’idea e al Duce nella loro qualità di iscritti al Pnf sono stati condannati alla pena di morte mediante fucilazione alla schiena. La sentenza è stata eseguita in una località della periferia». In verità Sante Contoli e Luigi Missoni riescono a ottenere la grazia, commutata a trent’anni di carcere per il solo Contoli, il quale muore, poi, il 12 aprile 1945, a Mauthausen, dov’è stato deportato. Luigi Missoni è scarcerato grazie al tempestivo intervento diretto di Mussolini. Francesco D’Agostino, il medico amato e onorato, il difensore estremo della libertà, tutto dedito alla patria e al lavoro onesto e indefesso, il soccorritore dei bisognosi, è sepolto fuori della Certosa di Bologna, essendogli finanche negata la sepoltura nel Cimitero. A lui è intitolato a Imola il viale, che va da Via Montanara a Viale Amendola. Cassano, la città natale del medico eroe antifascista, ignora e, perciò, tace. Ecco una proposta, allora: Se Imola ha dedicato al nostro eroe della libertà e della dignità umana un viale, Cassano penserà bene di dedicargli, doverosamente, penso, almeno una strada. Possibilmente a Doria, dove è nato e dov’è vissuto fino al suo accesso all’università.
Leonardo R. Alario
BIBLIOGRAFIA
s. d. In memoria del Prof. Dott. Francesco D’Agostino,
ALBERTAZZI ALESSANDRO, ARBIZZANI LUIGI, ONOFRI NAZARIO SAURO 1986 Gli antifascisti, i partigiani e le vittime de fascismo nel bolognese (1919 – 1945), vol. III, Dizionario biografico, D – L, Comune di Bologna, Istituto per la Storia di Bologna 1986, p. 2.
CENNI GUGLIELMO 1948 Imola sotto il terrore della guerra. 25 Luglio 1943 – 14 Aprile 1945, Tipografia S.C.O.T., Bagnacavallo 1948, pp. 30-32.
D’AGOSTINO FRANCESCO 1926 Curriculum vitae, Coop. Tip. Edit. Paolo Galeati, Imola 1926.
GALASSI NAZARIO 1995 Imola dal fascismo alla liberazione 1930 – 1945, University Press, Bologna 1995, pp. 242-245. |
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