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Il brigantaggio dell'800 in Calabria PDF Stampa E-mail
Scritto da L.Marino   
domenica, 24 gennaio 2010 07:44
ImagePer la prima volta pubblichiamo "a puntate", come si   usava una volta sui quotidiani, uno studio elaborato da un giovane di Cassano durante il suo percorso universitario. Luca Marino, laureato in "Scienze della comunicazione", si è appassionato alla storia del brigantaggio nel meridione d'Italia, ha fatto una ricerca meticolosa ed è riuscito in poche pagine a tracciare  un racconto preciso di quegli anni di cui noi meridionali conosciamo ben poco, soprattutto perchè la storia ufficiale, quella che si studia sui banchi di scuola per intenderci, ha sempre evitato di approfondire le sopraffazioni compiute dall'esercito piemontese nell'ex-regno delle Due Sicilie. Leggete questo primo stralcio siamo sicuri che ne rimarrete affascinati.(L'amministratore)

 

Parlare del brigantaggio calabrese significa rivisitare un periodo storico pieno di eventi e rimembranze che vanno dal 1799 all’Unità d’Italia e oltre.Questo fenomeno ha conosciuto nel suo processo evolutivo punte massime di diffusione, tipiche sono quelle del 1799, del decennio francese, la Restaurazione del regno con Ferdinando di Borbone (1810-20), quello dopo la ripresa del Regno da parte di Ferdinando II di Borbone (1843 e 47-48) e la caduta dei Borboni del 1861[1]. Ma il fenomeno continua, pure se in forma minoritaria, anche dopo l’Unità d’Italia, che aveva sì portato all’unione nazionale, ma non aveva ancora permesso di stabilire leggi che permettessero di risolvere quei gravi problemi che da tempo tormentavano il sud e le isole.  Fare una storia degli eventi che hanno permesso ai briganti di diventare un fenomeno di studio a distanza di molti anni, porterebbe a comprendere meglio il fenomeno ma, come già detto, ciò che ci interessa in questo lavoro e lo status di questi personaggi, che forti nella loro durezza, hanno dominato e abitato per anni le montagne della Calabria e, hanno suscitato la paura di chi non si accordava con la loro volontà, tanto spietata quanto umanitaria nelle loro vicende personali. Personaggi noti sono passati per le terre calabre. Vito Caligiuri, Giosafatte Talarico[2], Carmine Crocco, sono solo tre dei più famosi briganti, che con la loro astuzia e tenacia, sono riusciti a “vagabondare” nelle nostre terre e a sfuggire per molto tempo alla cattura e alle leggi dello Stato Monarchico che, tramite i suoi più bravi rappresentanti, quali il generale Nunziante, il maresciallo Pastore, Del Carretto, Enrico Statela, il Caracciolo, cercava di reprimere tale fenomeno.

ImageI briganti erano persone dure e spietate, assetati di vendetta e convinti del loro vivere. Essi si situavano nelle montagne, tra i boschi e le alture, soprattutto quelle Silane, che permettevano di controllare bene la situazione e di sfuggire alla “legge”, che questi ripugnavano. Il loro vestire era tipico di questa categoria. Andavano in giro per le montagne con gli stivali, pantalone, giacca, mantella e cappello, con alle spalle una carabina e coltelli al petto per difendersi dai nemici e traditori che volevano consegnarli alla giustizia e per vendicarsi o uccidere chi si opponeva alla loro volontà. Perchè questi uomini si rifugiavano nei boschi e si opponevano alle leggi dello Stato?        

Per rispondere a questa domanda basta guardare la storia di alcuni di questi personaggi. Ognuno in questi periodi fuggiva dalla propria abitazione per scampare a qualcosa considerato da loro più terribile. Molti erano renitenti alla leva, altri scappavano alla cattura dopo aver ucciso qualcuno per vendetta, alcuni erano lì solo per l’estate e altri lo facevano per mestiere. E’ difficile, dunque, trovare uno status comune del brigante. I motivi che accompagnano l’assunzione di questa condizione sono molti e vari, ma ciò che accomuna queste persone tra di loro, è la voglia di sfuggire alla legge.Il brigante poteva essere un uomo o una donna colpevole di aver violato la legge dello Stato sovrano. Persone che per vivere decidevano di arrangiarsi e di fare del tutto per non pagare la punizione che li aspettava. Questi, dunque, scendevano per le città e saccheggiavano le case per procurarsi da vivere, uccidevano anche per conto di altri e, senza fare distinzione di classe sociale, derubavano il bestiame. Talvolta, si veda il caso di Carmine Crocco, partecipavano come ufficiali di eserciti alle lotte, un esempio è la partecipazione di alcuni di questi alla battaglia per la restaurazione della Monarchia Borbonica, o per la liberazione delle terre dagli usurpatori. Questi, non venivano comunque considerati dalla popolazione come persone da elogiare e lodare, ma erano visti come criminali che facevano di tutto per il loro vivere. Molti di questi però venivano coperti dalla gente del popolo, dalle loro famiglie che facilitavano la loro “latitanza” per fargli sfuggire alla pena di morte che li attendeva sempre dietro l’angolo.  Il periodo del brigantaggio in Italia meridionale rappresenta un capitolo oscuro e affascinante della storia nazionale e del mezzogiorno, e viene ricordato per l’enorme numero di vittime che provocò e per le spoliazioni, le ruberie e le distruzioni commesse in tutto il Sud del Regno, sia dai briganti e sia dai regolari, mostrando la grande difficoltà di fondere quelli che già qualche contemporaneo definiva come due paesi diversi o, per meglio dire, due “Italie[3]”.La reazione a questo fenomeno da parte dei sovrani, che negli anni si sono succeduti, è stata molto dura. La repressione fu brutale. Alle 400 bande che annoverarono insieme 5-6.000 briganti e 40-50.000 favoreggiatori, per amore o per forza, furono contrapposti, in turni successivi, circa 120.000 soldati regolari, inquadrati in 6 reggimenti di granatieri, 52 reggimenti di fanteria, 5 reggimenti di cavalleria e 19 battaglioni di bersaglieri. Non tutti i reggimenti dell’esercito italiano parteciparono a questa campagna, ma si può dire che la quasi totalità vi prese parte o con battaglioni o con complementi inviati a rinforzo ad altri corpi.      Il contributo di sangue pagato durante questi periodi fu elevatissimo: i rapporti ufficiali segnalarono che i briganti fucilati o uccisi in conflitto furono oltre cinquemila, un numero superiore ai soldati caduti durante tutte le guerre del Risorgimento, senza contare i danni materiali difficilmente quantificabili con precisione[4]. Le azioni di repressione, dunque, erano molte. Nel decennio francese si stabilì il “Fuorbando”, una legge speciale che prevedeva la pena di morte per i capi briganti e i loro alleati, e consistenti ricompense per chi consegnava alla giustizia queste persone.                         

Questo decreto, prevedeva, tra l’altro, la pubblicazione in ogni città, di una lista di persone che venivano considerati briganti. Oltre alle liste, due volte alla settimana alcuni contadini dei paesi, dovevano unirsi alle forze di polizia di zona, per cercare le persone messe nelle “liste nere”. I familiari di queste persone erano poste sotto stretta sorveglianza, era vietato alle persone uscire dai paesi con del cibo, se non scortati, ed era presupposta una responsabilità del fenomeno del brigantaggio ai curatori della Chiesa, che si pensavano essere coloro che educavano la popolazione ai principi morali.La Chiesa era considerata una delle più importanti istituzioni, che secondo l’opinione dei più, aiutava questi briganti per far sì che questi provocassero un duro colpo allo Stato. Infatti, molti preti venivano imprigionati perché ritenuti favoreggiatori e sostenitori di queste persone. Un fenomeno, il brigantaggio, che ha conosciuto un lungo periodo di evoluzione e che oggi viene considerato come uno dei fatti storici più interessanti del meridione.Ma com’era la letteratura su questi briganti? C’erano scrittori che raccontavano le storie di questi personaggi e le loro vicende personali e giudiziarie? Molti hanno scritto su questi personaggi, inventati o realmente vissuti. Molti autori, come Vincenzo Padula, Domenico Mauro, Giuseppe Selvaggi, Biagio Miraglia, hanno voluto raccontare storie di questi personaggi duri nel viso, ma in fondo buoni.L’Errico, è una delle novelle scritte da Domenico Mauro, che tratta del fenomeno del brigantaggio e descrive la storia di un brigante e delle sue travagliate vicende personali, ed è di questa che tratterò dopo aver descritto le vicende storiche del suo autore.



[1] Per questa parte si fa riferimento al testo: “Briganti e società nell’Ottocento: il caso Calabria”, Alfonso Scirocco, editore Capone, agosto 1991, Lecce, capitolo primo, “Il Brigantaggio, esploso in Calabria all’inizio dell’Ottocento, non è domato al ritorno dei Borboni”, pagg. 7 a 30.

[2]  Per la storia di questo personaggio si veda: “Briganti e società nell’Ottocento: il caso Calabria”, capitolo 2, “Giosafatte Talarico. Tra Leggenda e Realtà”,  pagg. 31 a 60.

[3] Storia della Guerriglia.  Il XIX secolo. pag. 99.

[4] Ivi pag. 99.

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