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Sibari

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Dimenticati nel Bunker a Sibari PDF Stampa E-mail
Scritto da G.Iacobini   
giovedì, 09 aprile 2009 19:07
madonnina
Piazza XV Agosto durante una cerimonia
Iniziano i lavori di abbellimento della piazza antistante la stazione. Ruspe al lavoro sul terreno che custodisce i resti di decine di morti.
Sibari ha tante piazze. Una ha il nome che il popolo le ha dato: XV Agosto. S’affaccia sulla stazione ferroviaria. Da queste parti, negli anni ’40, i sibariti edificarono un rifugio sotterraneo, fatto di tronchi, travi e assi di legno. Serviva a trovar riparo dagli attacchi aerei. Il 15 agosto del 1943 dal cielo caddero le bombe degli anglo – americani. Nel giro d’un mese, sarebbero diventati alleati dell’Italia. Quel giorno combatterono da nemici. Provocando la morte di ottanta persone.

(Leggete nel Forum il commento a questo articolo)

Chiuse nel bunker a cercar scampo dalla morte che invece li colse impietosa. «Per un quarto d’ora – raccontava qualche anno addietro il ferroviere in pensione Giuseppe Biondi, testimone della tragedia – fu l’inferno. Soldati e viaggiatori dei convogli fermi in stazione corsero a cercar riparo nel rifugio, uno stanzone posto cinque metri sotto il livello del piano stradale. Fecero la fine dei topi». Una morte orribile. «Una bomba colpì l’ingresso del bunker, precludendo ogni via di fuga. Un’altra centrò la conduttura che riforniva d’acqua il deposito locomotive. Morirono tutti annegati».Lo scandalo: quei corpi giacciono sotto terra. Nel 2002 i lavori di sistemazione delle reti idriche della zona li riportarono alla luce per qualche ora, prima del ritorno nelle tenebre. Facendo sì che in occasione del sessantesimo anniversario della strage, nel 2003, un comitato spontaneo restituisse decoro all’agorà. Volontariato puro: Giuseppe Biondi, Pietro Sancineto, Franco Iacobini, Mimmo Paternello, Giovanni Battaglia. Insieme a tanti altri, armati di pazienza e buona volontà, riconsegnarono dignità ai luoghi della memoria. Grazie alle loro mani, Sibari ha ritrovato piazza XV Agosto. Da allora, con ritrovata puntualità, ogni anno, nel giorno di Ferragosto, la piccola comunità che vive sulle rive dello Ionio ricorda i caduti senza nome. Una processione religiosa si snoda per le strade del paese, raggiungendo la stazione ferroviaria. Ai piedi della Vergine, che svetta sull’agorà, mani di donna depongono corone e fiori. Gente tanta, autorità nessuna. Mai, o quasi: per la prima volta, nel 2004, alla celebrazione ha presenziato un sindaco, l’allora fresco di nomina Gianluca Gallo. All’ora del tramonto, ogni volta che il calendario segna il ferragosto, una tromba intona il silenzio. E il silenzio scende. Sulle vittime in attesa di sepoltura, come sulla richiesta dei cittadini al Comune di acquisire la proprietà della piazza dalle Ferrovie e di farne un sacrario da affidare alla cura della parrocchia, come chiedeva appena qualche mese fa l’attuale parroco sibarita, don Francesco Faillace. Intanto, da un paio di giorni, nella piazza sono iniziati i lavori di ammodernamento, commissionati proprio dalle Ferrovie: abbattuto il recinto in muratura che cingeva i giardinetti, è rimasta in piedi solo la statua della Madonna. Che dall’alto veglia pietosa sul frenetico attivismo di mezzi meccanici ed operai, impegnati nel rifacimento della pavimentazione. Restano, dimenticati e senza dignità, le decine di cadaveri ammassate sotto terra, tra le macerie del  rifugio. Per loro, la tromba delle istituzioni continua ad intonare il silenzio, nell’indifferenza generale.Gianpaolo Iacobini – Gazzetta del Sud del 4 aprile
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