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Una gita a Scilla PDF Stampa E-mail
Scritto da M. De Filippis   
martedì, 03 febbraio 2009 23:24

Scilla
Scilla, Castello dei Ruffo
Ogni famiglia che parte per una vacanza diventa, è inevitabile, una famiglia Brambilla, come nel vecchio film omonimo del 1942. Il dato oggettivo è che andare in vacanza continua ad essere pura follia, sapendo già di affrontare spostamenti faticosi, alberghi deludenti, affollamenti metropolitani in luoghi spacciati per atolli paradisiaci. Ma siccome, come è noto, chi sbaglia persevera nell’errore eccoci in marcia di avvicinamento per un fantastico Capodanno a Scilla, nella classica Station Wagon caratteristica delle famiglie numerose.

Quale luogo meglio di Scilla per giustificare la decisione di spendere tre giorni a mangiare in modo eccessivo, subire un veglione con ballerini e ballerine ricoperte di lustrini, godersi i balli di gruppo e i trenini festosi intorno ai tavoli, nell’euforia del nuovo anno? Il mito di Scilla e Cariddi ci conforta, non andiamo a Rimini, bensì in un luogo ricco di fascino, evocato da innumerevoli poeti antichi e moderni.

Percorrere l’autostrada Salerno-Reggio Calabria è un’impresa che, a volte, meriterebbe di essere celebrata da un poeta all’antica, di quelli capaci di sfornare versi, improvvisando davanti alla situazione pregna di poesia (il mistero dei cantieri deserti, il pericolo sempre incombente, la curiosità di indovinare cosa ti aspetta dietro il cartello). Attraversiamo i fitti e antichi uliveti della piana di Gioia Tauro; abbiamo appena ammirato in tivvù le grazie di Artemisia Sanchez, innamorata del suo bel pretonzolo, un padre Ralph di “Uccelli di rovo” in versione calabrese. Così, discutendo di fiction, non badiamo molto ai rallentamenti causati dalla corsia unica, anzi il dibattito manda in catalessi la prole che, in stato di trance, non soffre il mal d’auto. Da entrambi i lati della carreggiata ancora è in corso la raccolta delle olive, che cadono a terra troppo mature per diventare olio extravergine. Evidentemente il fervore suscitato dalla scollatura di Artemisia Sanchez non fu sufficiente ad introdurre, nelle nostre arretrate campagne, il trappeto alla genovese!

Caliamo sulla “perla della Costa Viola” e, prima di rivendicare il nostro pacchetto “tutto compreso” in hotel, scendiamo con un po’ di patema tra due file di auto posteggiate fino alla piazza, l’unico slargo con bella vista sul mare e sul castello, utilizzato purtroppo come parcheggio. Le auto si insinuano perfino, con vero sprezzo del pericolo per la vernice, nella stradina che attraversa il quartiere caratteristico di Chianalea, con le case dei pescatori che stanno diventando eleganti Bed&Breakfast per turisti esigenti. Il fascino del luogo è innegabile, nonostante qualche bruttura, nonostante alcuni edifici siano letteralmente in rovina, transennati per pericolo di crollo.

La chiesa madre sembra sospesa nel vuoto, a picco sul mare. L’interno è decorato con mosaici simil bizantini; costeggiando la chiesa si sale verso il castello, in cima alla rocca del mito. Dentro non ci sono mostri mitologici, ma una mostra fotografica sui presepi viventi della provincia di Reggio. L’autore e curatore si chiama Arbitrio, fotografo per passione, editore in Scilla per necessità di far conoscere e valorizzare il suo lavoro. Ci parla delle difficoltà di lavorare in Calabria in un campo come quello culturale e artistico, interamente controllato dalla politica e dalle sue logiche.

Andando via penso che, forse, è ancora possibile fare qualche incontro significativo, nonostante i ritmi massificanti del turismo di oggi. Prima di partire ho sfogliato un bel volume di Francesco Bevilacqua (Calabria. Viaggi e paesaggi, Rubbettino): vi sono esposte le riflessioni di una vita dedicata a conoscere e difendere la nostra regione. L’autore ripercorre i viaggi del passato, analizza i tanti modi in cui si può percorrere un territorio; considera lo stravolgimento cui è stata sottoposta la Calabria negli ultimi cinquanta anni, la scomparsa dei luoghi, il sorgere di non luoghi, quegli strani agglomerati lungo le strade, accanto ai centri commerciali, oppure presso le spiagge demaniali, tutti senza identità né storia.

Considerazioni che mi tornano in mente mentre percorriamo la strada pedemontana che da Scilla, attraverso la frazione Melia, conduce fino a Gambarie d’Aspromonte. L’itinerario dovrebbe possedere qualche attrattiva, in mezz’ora si arriva dal mare nel cuore del massiccio e del parco d’Aspromonte. Ma quante brutte case lungo la strada, brutte e spesso incompiute, o in abbandono! Con architetture improbabili per queste latitudini, pur essendo in montagna; allo stesso modo a Gambarie mi appaiono eccessivi e ridicoli i ragazzi inguainati dalla testa ai piedi in tute fiammanti, con accessori che sarebbero sufficienti ad affrontare il Polo Nord. Si scorge un po’ di neve solo in cima alla montagna, dove arriva cigolando la seggiovia. Non riusciamo neanche a trovare la Casa del Parco, segnalata da alcuni cartelli; comunque mi dicono che è chiusa. Gambarie mi pare proprio un non luogo, una piazzetta in mezzo al nulla, velata dalla nebbia.

Eppure questa è la montagna di Corrado Alvaro e di altri grandi scrittori, a pochi chilometri da qui un monumento ricorda il drammatico confronto tra i bersaglieri del regno d’Italia e i volontari di Garibaldi, in marcia verso Roma. Questi monti così carichi di memorie come possono comunicare tutta la ricchezza di storie che custodiscono? Non lo so né ricevo illuminazioni la sera, in albergo, durante il veglione di Capodanno; noto che le mie figlie ridacchiano guardando un cameriere, con i piatti in mano, imbambolato all’apparizione delle ballerine pseudocaraibiche, eroicamente seminude nonostante il freddo. Prendo nota mentalmente: l’anno prossimo devo provare a chiedere ospitalità alla comunità di Enzo Bianchi, a Bose, per un Capodanno a base di minestrine e dialogo interconfessionale.

L’ultimo giorno, con il fegato ormai a pezzi, raggiungiamo Reggio e il 2009 ci regala una bella giornata tiepida e soleggiata. Parcheggio a pagamento, 50 centesimi l’ora, è commovente trovare ancora questi prezzi in Calabria, se penso ai costi di Assisi o di Verona. Dal lungomare Falcomatà si accede direttamente alla spiaggia e costeggiandolo ci troviamo a villa Zerbi, dove è in corso una bella mostra per il centenario del terremoto del 1908.

Si possono osservare i progetti per un memoriale dedicato alle oltre centomila vittime, da costruire in qualche punto lungo lo Stretto. Sono interessanti i filmati realizzati, nei primi giorni del 1909, da operatori giunti da ogni paese d’Europa, alla notizia del cataclisma. Soldati e gendarmi si mettono in posa sulle rovine, con le divise pulite; forse ormai sotto le macerie c’erano solo cadaveri, inutile affannarsi. La città di Reggio venne ricostruita in legno, per la riedificazione definitiva ci vollero parecchi anni. Le immagini in bianco e nero mostrano i borghesi a passeggio in mezzo ad architetture nordiche, alpine, alcuni edifici ricordano quelli dei film western.

Vediamo vecchie stampe della città scomparsa, addirittura una rielaborazione della Reggio medievale, circondata da torri e mura, spianata da un altro sisma. Una mostra così concepita dovrebbe essere permanente, per consentire a tutti, residenti e visitatori occasionali, di recuperare qualche immagine di questo passato così irrimediabilmente cancellato. La città attuale con la sua pianta regolare, quasi militare, l’edilizia disordinata che ha dimenticato presto le catastrofi passate, il traffico caotico, non attrae molto. Dobbiamo andare, avendo tempo e pazienza si può tornare indietro lungo la vecchia statale 18. Dopo Cannitello, sui tornanti, a volte, le navi sembrano così vicine da poterle toccare. Mi vengono in mente le pagine di Orhan Pamuk sul Bosforo e le persone assorte a contare le petroliere e i mercantili che vi transitano ininterrottamente. Forse lo trovo un pacchetto tutto compreso per Istanbul, cena in locale tipico, l’inevitabile bagno turco, danza del ventre supplemento a parte. Oppure cercherò ancora tra le pagine di Bevilacqua un’illuminazione definitiva sul modo migliore di viaggiare nell’epoca del last minute.

Salutiamo Scilla, in direzione di Bagnara, dalla strada, si vedono i resti di vecchi mulini in abbandono. Poi l’autostrada ci allontana bruscamente dal mare.

Mario De Filippis

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