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Sibari

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Patto di amicizia a Sibari PDF Stampa E-mail
Scritto da Staff.redazione   
giovedì, 29 dicembre 2016 19:22
ImageIl 30 dicembre a Sibari, in occasione della rappresentazione del tradizionale Presepe Vivente ci sarà la cerimonia del PATTO DI AMICIZIA col Comune di Faggiano (TA), dove si svolge un'analoga rappresentazione animata del presepe. Nell'intera giornata vi saranno diversi momenti, che culmineranno nella rappresentazione serale alla quale parteciperanno anche dei figuranti faggianesi. A don Michele Munno è stato chiesto di sviluppare il tema del presepe ed il nostro parroco, con la solita precisione, ci ha trasmesso il testo del suo intervento, che potete leggere nel seguito. In coda il programma della giornata

 

IL TESTO DELL'ALLOCUZIONE DI DON MICHELE MUNNO PARROCO DI SIBARI

Inizio porgendo un saluto cordialissimo a tutti gli amici presenti e a quanti rappresentano istituzionalmente le amministrazioni comunali di Faggiano (TA) e di Cassano All’Ionio (CS).
Mi è stato chiesto di sviluppare il tema “Presepe e tradizioni” e ho accolto con piacere l’invito che mi è stato rivolto.
Al titolo, tuttavia, preferisco apportare una piccola modifica e parlare di “tradizione” anziché di “tradizioni”.
Compito della “tradizione”, infatti, è quello di “consegnare”, di “tradurre” in una determinata cultura, “tramandando” nel tempo, un determinato contenuto e una “tradizione” è sana ed è significativa nella misura in cui riesce a tutelare, senza svuotarlo o distorcerlo, il contenuto originario.
Se la “tradizione” dovesse perdere il suo contenuto originario, infatti, diventerebbe un vero e proprio “tradimento”.

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La Sacra Famiglia di SIBARI

Dovendo, perciò, parlare della tradizione del presepe non possiamo non guardare innanzitutto al contenuto che la tradizione deve consegnare alle diverse epoche e alle diverse culture ed è ciò che si legge nei primi capitoli dei Vangeli secondo Luca e secondo Matteo.
Prima di ascoltare insieme questi testi, però, vorrei fare una piccola precisazione terminologica relativa al termine “presepe”.
Il termine deriva dal latino praesaepe, cioè greppia, mangiatoia, ma anche recinto chiuso, dove venivano custoditi ovini e caprini; il termine è un composto: prae (innanzi) e saepes (recinto), ovvero luogo che ha davanti un recinto.
Nel racconto dell’Evangelista Luca, che ora ascoltiamo insieme, tale etimologia è riferita più volte, poiché, come ascolteremo, Luca parla più volte di “mangiatoia”:
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
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Adorazione dei Pastori

Un secondo testo significativo per la tradizione del presepe è quello che troviamo nel Vangelo secondo Matteo:
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Il contenuto che la tradizione del presepe deve “tramandare” senza “tradire”, dunque, è proprio questo.
Non solo il fatto in sé, però, occorre “tramandare”, ma anche tutti quei valori che in esso sono significativi e senza dei quali non solo la tradizione, ma anche il contenuto stesso che la tradizione deve consegnare risulterebbero svuotati.
Il presepe è, infatti, la “via” scelta da Dio per manifestarsi al mondo, una “via” che stravolge e che continuamente ci chiama a rivedere alcuni modi di pensare e di fare.

Non a caso, infatti, il primo a rappresentare plasticamente il presepe fu proprio un uomo che scelse di camminare in tutto e per tutto su tale “via”, rinunciando ai propri beni e decidendo di vivere come povero tra i poveri.
Ed è straordinariamente bello il fatto che quel primo presepe non viene ricordato con il nome di colui che ne fu l’autore e l’ideatore, ma con quello del piccolo borgo italiano in cui quest’uomo di Dio si trovava a passare: Greccio.
Che grande uomo fu Francesco d’Assisi! L’ideatore, l’inventore della tradizione del presepe!
Ascoltiamo ciò che viene raccontato dalle Fonti Francescane:

466. La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo.
467. Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.
468. A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore.
C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
469. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
470. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù infervorato di amore celeste lo chiamava “il Bambino di Betlemme”, e quel nome “Betlemme” lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.
471. Il fieno che era stato collocato nella mangiatoia fu conservato, perché per mezzo di esso il Signore guarisse nella sua misericordia giumenti e altri animali. E davvero è avvenuto che in quella regione, giumenti e altri animali, colpiti da diverse malattie, mangiando di quel fieno furono da esse liberati. Anzi, anche alcune donne che, durante un parto faticoso e doloroso, si posero addosso un poco di quel fieno, hanno felicemente partorito. Alla stessa maniera numerosi uomini e donne hanno ritrovato la salute.
Oggi quel luogo è stato consacrato al Signore, e sopra il presepio è stato costruito un altare e dedicata una chiesa ad onore di san Francesco, affinché là dove un tempo gli animali hanno mangiato il fieno, ora gli uomini possano mangiare, come nutrimento dell’anima e santificazione del corpo, la carne dell’Agnello immacolato e incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con amore infinito ha donato se stesso per noi. [...].

Avendo ascoltato con attenzione, dopo i racconti evangelici, la nascita della tradizione del presepe, ci saremo senz’altro resi conto che i valori, che tale tradizione del presepe, al fine di “tramandare” senza “tradire” il contenuto originario, sono quelli dell’umiltà, della semplicità, della povertà, della condivisione.
Il presepe è un inno al “perdere” e “perdersi”, a “lasciarsi mangiare”, al “dare senza aspettarsi nulla in cambio”.
Il presepe, d’altronde, è denuncia dell’arroganza dei potenti e dei prepotenti, di quanti, come Augusto Cesare, trasformano le persone in numeri e i numeri in moneta per ingrassare i propri interessi, senza tener conto del disagio creato agli altri.
Nella misura in cui la tradizione riesce a trasmettere questi valori, oltre che la narrazione plastica del fatto di Betlemme, essa è, come per Greccio, destinata a lasciare una traccia nella storia.
Se la tradizione dovesse degenerare e tradire il suo contenuto esso diverrebbe come un fuoco di paglia, perché proprio come un fuoco di paglia dura “la gloria del mondo”.
L’augurio è che i nostri bei presepi e la nostra tradizione del presepe siano destinati ad essere come quello di Betlemme e di Greccio e che continuamente ci richiameranno alla povertà, alla semplicità, all’umiltà, al dono di noi stessi.
Grazie!

Don MIchele Munno

(Le foto sono di Maurizio Guarino)

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don Michele intervistato da "La Vita in Diretta"
 

 

 

 

 

 

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