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Umberto Veronesi, scienziato e uomo del nostro tempo PDF Stampa E-mail
Scritto da Staff.redazione   
lunedì, 14 novembre 2016 07:56
ImageLa morte del prof. Umberto Veronesi, avvenuta pochi giorni fa, ha suscitato in tutto il mondo enorme sconforto. Come si sa il professore ha combattutto il cancro senza tregua per tutta la sua vita, tanto da farne lo scopo primario della sua attività scientifica. Ma il prof. Veronesi non era solo un medico e un ricercatore capace e risoluto, era anche un osservatore attento e profondo delle deiverse problematiche politiche, religiose e sociali in mezzo alle quali l'uomo si dibatte da millenn. Ha lasciato quello che potremmo definire un vero e proprio "testamento spirituale" su cui meditare seriamente. Ai nostri webnauti  che lo hanno apprezzato e seguito negli anni, lo proponiamo a puntate - di seguito la prima parte: Pensiero sulla religione..(A.M.C.)

Veronesi, scienza e politica di un medico illuminista dalla parte delle donne

“Io sono un medico, un uomo di scienza, ma l’uomo di scienza non può rimanere chiuso nella sua torre d’avorio, deve occuparsi dei problemi della società”. È stata questa la ‘filosofia’ di Umberto Veronesi, uno dei più importanti medici e scienziati italiani, l’inventore della chirurgia conservativa per il trattamento del tumore al seno. Un uomo che ha dedicato un’intera vita alla lotta contro il cancro, ma che non si è mai sottratto al prendere parte al dibattito pubblico, con prese di posizione anche controverse, dalla legalizzazione delle droghe a inceneritori e ogm. Un bilancio di una vita dedicata alla scienza.


La religione

Sono nato in una cascina, in una famiglia impregnata di quella religiosità inossidabile tipica delle campagne lombarde. La religione era per noi un dato di fatto direi quasi «naturale», indiscutibile. Il sentimento religioso delle campagne è inscindibilmente legato a una visione metafisica degli eventi: se arriva una grandinata che rovina il raccolto di un intero anno, non riuscendo a fornire a questo evento una spiegazione scientifica, se ne dava un’interpretazione metafisica, cercando di attribuire a una volontà imperscrutabile questi eventi. La religione era quindi parte integrante del mio mondo di bambino. Mia madre in particolare era molto devota, ma non bigotta: dal punto di vista etico era piuttosto flessibile, molto vicina al mondo giansenista, aveva un atteggiamento molto comprensivo, non troppo ortodosso nel seguire i canoni del cattolicesimo. Io per anni sono stato educato in questa maniera, ero un fedelissimo servitore della Chiesa, ho recitato tutte le sere il rosario fino ai 10-15 anni. Ero molto amico di un prete sottilmente liberale, non ortodosso, con cui poi ho mantenuto un legame di amicizia per tutta la vita. In quel periodo non mi ponevo il problema della fede, non mi facevo delle domande. Accettavo la realtà che mi circondava, che era unanimemente condivisa, nessuno la metteva in discussione. Alcuni riti, poi, come in tutte le religioni, esercitavano su tutti noi un grande fascino, perché avevano il potere di unire l’intera famiglia attorno a una visione unica. Ricordo in particolare il momento del rosario, una sorta di recita collettiva. Mia madre enunciava la prima parte: «Ave maria gratia plena...» e poi noi tutti rispondevamo: «Sancta Maria, Mater Dei...». Era una sorta di rappresentazione teatrale, un momento che creava molta unità, che ci faceva sentire parte di un gruppo. Recitavamo in latino, anche se nessuno di noi lo conosceva. Ma questo non era importante, anzi il fatto che usassimo una lingua antica e sconosciuta forniva a questo magico momento un’ulteriore aurea di mistero e di misticismo.

Con l’adolescenza ho iniziato però a mettere in discussione questo mondo. Non c’è stato un episodio in particolare che ha dato avvio al mio atteggiamento critico, si è trattato di un graduale percorso di maturazione interiore. Ho cominciato a pensare che tutta quella ritualità fosse un’assurdità, una moderna forma di sciamanesimo: come si può davvero credere che uno prende dell’acqua e, facendo dei precisi gesti, pronunciando delle precise parole, ti purifica! Era ancora l’epoca in cui un prete ti dava l’immaginetta di un santo e ti diceva: se reciti tot Padre nostro e tot Ave Maria riceverai diecimila anni di indulgenza. E io mi chiedevo: ma l’elemento spirituale si calcola in anni come la vita terrena oppure è senza tempo? Come si fa a parlare di 5 o 10 mila anni di purgatorio? Verso i 14-15 anni ho iniziato ad appassionarmi un po’ di letteratura antropologica: leggevo De Martino, Lévi-Strauss, un po’ tutti i grandi antropologi che cercavano di spiegare l’origine delle religioni e la loro fondamentale unitarietà, l’idea cioè che esse partano tutte da interrogativi simili, e si differenzino poi nelle risposte. Cominciando a mettere il naso e gli occhi al di fuori del cattolicesimo, cominciando a leggere molto sull’induismo, sul buddismo, sull’islam, ho cominciato a capire che la religione è una nostra proiezione. Ogni popolo, ogni cultura crea le proprie divinità e le proprie religioni in base a determinate ragioni storiche, economiche, sociali. In fondo il paganesimo ellenistico non poteva che essere politeista perché ogni isoletta dell’arcipelago greco aveva bisogno di avere una propria identità anche a livello religioso. Siamo noi che creiamo Dio a nostra immagine e somiglianza, non viceversa. Ma questo è un pensiero scientifico moderno che i popoli primitivi non potevano sviluppare: se un fulmine a ciel sereno mandava a fuoco qualcosa era spontaneo pensare a una punizione divina. Da bambini, quando eravamo terrorizzati dai temporali, i grandi ci rassicuravano: «Questo è il Signore che gioca a bocce». Tutto era considerato come qualcosa che discendeva dal cielo.

Il mio percorso critico nei confronti della religione è durato qualche anno e a 18 ero completamente agnostico. Sono andato in guerra, dunque, senza fede e la guerra – con la sua crudeltà, la sua ferocia, la sua ingiustizia – non ha fatto altro che confermare la conclusione a cui ormai ero giunto: se Dio è buono, come può permettere una crudeltà del genere? Citando Hannah Arendt, potremmo dire: dov’era Dio ad Auschwitz? Persino Ratzinger quando è andato a visitare quel campo di sterminio ha parlato di «assenza di Dio», affermazione che, da parte di un papa, è piuttosto forte. D’altro canto il papa doveva pur giustificare Dio, ed è sempre meglio un Dio a cui è scappato un pezzo di storia. Il Dio del Nuovo Testamento – quello che ti aiuta perché misericordioso, ossia buono, una concezione del tutto diversa da quella del Dio di giustizia del Vecchio Testamento – non può consentirti di uccidere tuo fratello.

La guerra, dunque, è stata la prima conferma del mio agnosticismo. La seconda, e definitiva, è arrivata con la mia professione. Occuparsi di cancro vuol dire occuparsi di una malattia feroce, incomprensibile, che colpisce tutti, senza discriminazioni, a tutte le età. Per molti attribuire il male all’imperscrutabile volontà di Dio è un modo per accettare più serenamente quel male, altrimenti senza senso. Molti altri, però, con la malattia perdono la fede. Per un osservatore razionale è inaccettabile l’idea che dietro un bambino con il cancro ci sia un qualche «disegno», si tratterebbe di una volontà feroce, che provoca un’inutile sofferenza su un innocente: come può aver peccato un bambino di 3 anni? Non è neanche vero che la fede aiuti nel momento della malattia e della morte. Per il non credente, la morte è già attesa, calcolata, fa parte di un disegno biologico dell’umanità, è un elemento molto razionale. La morte deve essere accettata, quasi benvenuta come la nascita. La morte è un dovere: dobbiamo morire, per lasciare spazio a chi viene dopo. Tutti gli esseri viventi sulla Terra seguono questa regola biologica della morte-nascita: una generazione se ne va e un’altra appare. In punto di morte, il non credente non deve fare i conti con nessun altro, se non con se stesso, e non deve temere la punizione divina.

Eppure, la malattia nella storia dell’umanità, come del resto tutti gli altri «mali», è sempre stata considerata una punizione divina. Pensiamo a Giobbe: tutte le disgrazie da cui è stato colpito erano interpretate come punizioni divine, anche per colpe non comprensibili. Giobbe diceva: «Ma io non ho fatto nulla! Sono sempre stato fedele a Dio e non capisco perché Egli mi punisce: ha fatto morire i miei figli, mi ha tolto tutti i miei beni e adesso mi ha dato una malattia feroce, per la quale sto qui, seduto per terra sui gradini di una sinagoga, a grattarmi la pelle con un coccio». E i tre amici Elifaz, Baldad, Sofar, rispondevano: «Guarda che se Dio ti manda tutte queste punizioni sicuramente tu qualcosa hai fatto, anche se non te ne sei accorto…». Quello di Giobbe è un libro che mi ha molto colpito, molto accattivante, facile da leggere, un libro quasi ateo, in cui Dio è un Dio cattivo. Io poi sono un lettore e cultore del movimento gnostico del III secolo. Secondo gli gnostici Dio, che loro chiamavano il demiurgo e che era una divinità padre/madre, inizialmente voleva impedire che l’uomo giungesse all’albero della conoscenza, voleva tenerlo nell’ignoranza per poterlo dominare. Poi, appena ha lasciato libero l’uomo e l’ha mandato sulla Terra, ha fatto di tutto per creargli problemi. Nella storia di Caino e Abele, per esempio, secondo gli gnostici Dio alimentava di proposito la rivalità tra i due fratelli, apprezzava Abele, accettava i suoi doni, mentre rifiutava senza spiegazioni quelli di Caino, fino a portare quest’ultimo a un’esasperazione tale da uccidere il fratello. In realtà quella di Caino e Abele è un’allegoria della lotta di sempre fra agricoltore e allevatore, una lotta che ha caratterizzato tutte le civiltà. A leggere il Vecchio Testamento c’è da rabbrividire, pieno com’è di ingiustizie, cattiverie, tradimenti, crudeltà inutili. Prendiamo la storia di Abramo: come può un Dio ordinare a un genitore di uccidere il proprio figlio? Per fortuna Abramo si è fermato in tempo, con il bambino sul ceppo e con il coltello in mano pronto per tagliargli la testa. Gli gnostici, quindi, invece di tentare di trovare delle giustificazioni per questo Dio che sembrava così feroce, pensavano proprio che il demiurgo, Dio, fosse davvero cattivo, mentre il serpente è, secondo questa visione, l’unico essere vivente degno di adorazione. È il serpente che ha suggerito ad Eva di cogliere il frutto della conoscenza, ed era adorato addirittura come una vera e propria divinità, tanto che si definivano sette di «ofidi», cioè di veneratori del serpente. Nell’interpretazione gnostica, il serpente si sarebbe ripresentato all’umanità sotto forma di Cristo: il seme dell’intelligenza, della conoscenza, la presa d’atto del valore dell’uomo, della libertà, si ripresenta come Gesù.

Come si vede, il mio percorso verso l’ateismo non è passato per un rifiuto delle religioni, anzi sono un appassionato lettore e conoscitore di tutti i libri di tutte le fedi. Si tratta infatti di una delle più importanti espressioni della storia dell’uomo. Per conoscere profondamente un popolo, la storia «classica» delle istituzioni, della politica, del potere non basta: studiare la religione dà veramente la percezione di quel popolo. Le diverse fedi mi hanno sempre interessato sia perché, appunto, era un modo di conoscere profondamente un popolo, sia perché – da uomo di sinistra – non potevo non vedere nel comunismo finalmente la liberazione dalle religioni, un passaggio al razionalismo. I miti che stanno all’origine delle religioni sono affascinanti, ma è altrettanto indubbio che l’apparato ecclesiastico di tutte le fedi si sia poi appropriato di queste «verità» per esercitare un potere indiscusso, in quanto divino, sulla popolazione e sull’uomo. In questo senso, per essere precisi, a essere l’oppio dei popoli non sono le religioni in sé ma le organizzazioni che le gestiscono. Mi riferisco alla religioni occidentali, ebraismo, cristianesimo e islam, che sono religioni storiche, dove tutto si sa: quando e dove tutto avviene in un orizzonte «temporale». La storicizzazione delle religioni è il loro punto debole, perché da un insieme di valori diventano una serie di fatti: la religione viene così materializzata, e da vicenda divina diventa vicenda umana. Le religioni orientali, al contrario, sono cosmiche, dove tutto è sempre avvenuto, tutto continua ad avvenire, non ci sono limiti di tempo, non ci sono date, tutto è divino, senza storia. Per questo motivo le religioni cosmiche che si sviluppano in un orizzonte «spaziale» sono meno esigenti nei riguardi del fedele, che non è sottoposto a regole ferree. In Oriente, la religione invita alla meditazione, al pensiero divino per arrivare, nel buddismo, al nirvana; il buddismo è addirittura ateo, come pure il confucianesimo e il taoismo. In Cina taoismo, confucianesimo e buddismo hanno sempre convissuto benissimo e addirittura una stessa persona può contemporaneamente essere confuciana, buddista e taoista insieme.

Questo studio intenso delle religioni del mondo mi ha fatto capire che esse sono un fenomeno storico, direi quasi fisiologico di un’umanità che deve crescere. Le religioni rappresentano l’infanzia dell’umanità. Il bambino è un animista, quando si fa male con il tavolo, la mamma dice «picchiamo il tavolo, è stato cattivo», e così facendo il bambino si tranquillizza perché può attribuire la colpa al tavolo, e non a se stesso. La storia delle religioni è la storia di un bambino che deve crescere. E mi pare proprio di poter dire che questo bambino sta crescendo. Ormai quasi metà del mondo è ateo: la Cina è prevalentemente atea, la Russia è in buona parte atea, gli atei in Inghilterra sono il 40 per cento, in Francia e in Germania il 30 per cento. In Italia risultano essere il 10, che sono apparentemente pochi, ma sono già una forza di 6 milioni di persone. È un fenomeno che gradualmente continua a crescere. Le religioni continuano lentamente ma inesorabilmente a perdere peso e il pensiero razionale conquista il mondo. Poi ci sono alcune realtà che sembrano a prima vista contraddittorie: per esempio, gli Stati Uniti sono il paese con il più alto livello di ricerca scientifica e dunque anche di diffusione del pensiero razionale, e allo stesso tempo un paese profondamente religioso, con un proliferare di sette di tutti i tipi, alcune anche molto fanatiche con predicatori molto bravi, con una dialettica affascinante. Nella sua crescita verso la libertà di pensiero, l’umanità è ancora infantile e ai bambini fa piacere sentirsi raccontare delle storie, delle fantasie, delle favole: questa è la forza di questi predicatori. D’altro canto si tratta spesso di sette con un piccolo seguito. Negli Stati Uniti c’è una vera libertà di religione, tutte le religioni sono presenti con grande rispetto reciproco. Nonostante questo cammino verso il pensiero razionale, le religioni – e in particolare le religioni monoteiste – continuano a mantenere una grande presa sui fedeli perché sono uno strumento di ritualizzazione della vita: i rituali sono la forza della Chiesa, perché danno sicurezza, ci fanno sentire parte di un mondo solido, immutato da secoli, da millenni. La Chiesa cattolica, poi, ha escogitato un sistema molto efficace da un punto di vista psicologico per tenere legate le persone: la confessione. La Chiesa ha capito ben prima di Freud che confessarsi libera dal senso di colpa.

Ma le religioni hanno sempre rappresentato anche delle vere e proprie follie nella storia dell’umanità: ci siamo ammazzati per cento anni in Europa per difendere la transustanziazione (che ancora è valida nel cattolicesimo) contro la consustanziazione. Guerre di religione, caccia alle streghe, Inquisizione,  roghi: un’irrazionalità difficile da immaginare. Con una storia del genere, come si fa a credere? E purtroppo non è qualcosa che ci siamo lasciati definitivamente alle spalle: l’Aids uccide ancora milioni di persone in Africa, ma per la Chiesa il preservativo è peggio dell’Aids. Questo a dimostrazione del fatto che il pensiero religioso è un pensiero irrazionale per cui le religioni – soprattutto le cosiddette religioni rivelate – sono fondamentalmente incompatibili con la scienza e, in ultima analisi, anche con la democrazia, perché si tratta di religioni che forniscono una verità già bella e fatta, il contrario del pensiero scientifico e democratico. In fondo, io capisco movimenti radicali come Comunione e liberazione o come alcuni movimenti islamici, che sostengono: noi abbiamo già una legge, che è quella divina, a cosa ci serve una legge umana? Nell’islam non c’è un codice civile, il riferimento è sempre il Corano, che tra l’altro è un libro interessante che andrebbe letto bene. In realtà bisognerebbe leggerlo al contrario, perché i capitoli che sono stati scritti per primi sono gli ultimi. Le prime sure, le più brevi– quelle che si trovano quindi alla fine del libro – sono molto belle, molto poetiche, poi invece il Corano si va trasformando in un codice di legge vero e proprio. I primi capitoli – gli ultimi che Maometto ha scritto, non più a Mecca ma a Medina – contengono le regole sociali, per cui nell’islam non c’è giurisdizione al di fuori della religione, la religione è contemporaneamente amore per Dio ma anche legge terrena. Per questo l’islam è una religione molto intransigente: i musulmani hanno un solo libro, dettato direttamente da Dio. Mentre nel cristianesimo ci sono decine di profeti nell’Antico Testamento, quattro evangelisti nel Nuovo e poi gli Atti degli apostoli, le lettere di Paolo, l’Apocalisse di Giovanni, per non parlare ovviamente dei Vangeli apocrifi, in particolare quelli gnostici. L’islam è una religione coerente, è un vero monoteismo e Allah è un Dio trascendente, è puro spirito, non ha sembianze umane, ma essendo una religione monotestuale è molto rigida: c’è un unico libro, dettato direttamente da Dio a Maometto, e dunque non ci può essere errore. Se tu credi nel Corano, devi applicarlo alla lettera perché è la voce di Dio. Dal loro punto di vista, quindi, i fondamentalisti sono coerenti.

Le religioni, in particolare quelle monoteiste, sono quindi difficilmente compatibili con la democrazia, anche se ci sono stati, e continuano a esserci, apprezzabili tentativi di conciliazione. Penso ad alcuni teologi come Vito Mancuso o Hans Küng, o allo stesso papa Francesco, personaggi che ridanno forza alle religioni.

Ratzinger invece è una figura un po’ misteriosa, uno studioso, un uomo molto colto, che in fondo aveva delle aperture interessanti. Il discorso di Ratisbona, per esempio, mi colpì molto. Nelle sue encicliche, poi, ha cercato di trovare un nesso fra fede e ragione, partendo dal concetto di Logos: nella sua interpretazione, Dio è la scienza, Dio è il pensiero superiore. La forza del pensiero è sempre stata misteriosa per l’uomo. Il corpo lo vediamo, ma il pensiero da dove viene? Come possiamo pensare, ideare? È più facile credere che si tratti di un dono divino. Mentre il corpo lo puoi spiegare perché lo vedi, il pensiero è sempre stato – e lo è ancora adesso – abbastanza difficile da capire. Sì, le neuroscienze hanno spiegato molto ma per l’uomo comune l’origine del pensiero continua a essere avvolta dal mistero. E poi le dimissioni: il papa è il vicario di Cristo in Terra, non è solo il vescovo di Roma. Il protestantesimo, è un altro esempio di come nel corso della storia le religioni abbiano tentato una riforma per diventare compatibili con la scienza e la democrazia. Nel protestantesimo, per esempio, il pastore è eletto dai credenti, può essere una donna, molti riti non esistono, i sacramenti sono solo battesimo e cresima. Per essere davvero compatibile con la democrazia, però, la fede dovrebbe ridursi a un rapporto personale con la divinità, che non deve interferire nella vita pubblica.

Per questo è difficile per un papa, per esempio, fare delle vere riforme nella Chiesa. Francesco ci sta provando, sta tentando di aprire la Chiesa a una visione più moderna, ma corre continuamente il rischio dell’incoerenza. Però è anche vero che si può abbandonare tutta la ritualità senza mettere in discussione la fede. Molti elementi che caratterizzano la Chiesa di oggi, infatti, non si trovano nella Bibbia: per esempio, perché i preti devono essere solo maschi? Perché non si possono sposare? Tutte le regole e i rituali sono stati inventati ex post e sono lo strumento per mantenere il potere, che passa spesso per il controllo del corpo. Se si leggono bene i testi – compresi i tre Vangeli sinottici, le venti lettere di Paolo e anche l’Apocalisse – nessuno di essi entra nei dettagli della complessa ritualità della Chiesa. La stessa Trinità è venuta fuori nel concilio di Nicea. Ma con tre divinità – anzi quattro, se consideriamo anche la Madonna – siamo di fronte a un politeismo, come sostengono gli islamici L’eucaristia, poi, originariamente era un pranzo in ricordo di Gesù. Nella versione originale dei Vangeli, le parole di Gesù all’ultima cena sono: «Mangiate questo cibo e bevete questo vino in onore (o in ricordo) di me» e per qualche secolo è stato così. Poi a san Paolo, nato a Tarso, molto influenzato dai riti orfici, è venuta questa idea dell’eucaristia: l’idea cioè che mangiando il corpo di Cristo ci si purifica, come nei vecchi riti delle tribù pagane orientali, per cui ogni anno si ammazzava un animale sacro e mangiandolo ci si purificava. Non a caso, uno degli appellativi di Gesù è Agnus Dei, Agnello di Dio.

L’assurdità delle religioni – che nella loro parte puramente spirituale sono anche molto affascinanti – è che pretendono di rapportarsi con il mondo di oggi utilizzando regole scritte mille e più anni fa. Per me, quindi, è evidente che l’ateismo alla fine trionferà, è l’evoluzione del pensiero. Già oggi le cose sono molto diverse rispetto a prima: se queste cose io le avessi dette qualche secolo fa sarei finito al rogo. I bambini che nascono oggi non vivono la religione nel modo in cui la vivevo io, non c’è nessuno stigma sociale per chi non è battezzato, per esempio. I miei figli, non battezzati, non hanno frequentato l’ora di religione a scuola e quando erano piccoli mi chiedevano: «Ma perché durante l’ora di religione dobbiamo uscire dalla classe? Siamo forse diversi dagli altri?». E io rispondevo: «Certo che siete diversi, siete migliori! Non siete parte del gregge, voi siete voi, il gregge segue il pastore, voi andate per la vostra strada, perché siete consapevoli, perché vostro padre vi ha detto di pensare con la vostra testa, di non cedere a qualcun altro che pensa per voi».

In Italia in effetti siamo un po’ indietro, il modello di laicità a cui tendere è quello francese, che è una forma più evoluta di laicità e modernità. Certo la laicità non va imposta, ma nessun laico vero imporrebbe mai niente a nessuno. La forza della ragione va però convintamente difesa e diffusa contro la forza dell’irrazionalità. La religione è irrazionale, perché avere fede vuol dire credere ciecamente in qualcosa che ti è già stato dato. Il fedele è per definizione fondamentalista.

 

 di Umberto Veronesi, da Micro Mega 8/2014

 

(a cura di Cinzia Sciuto)

 

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