Prof. Meattini “Non bisogna mai fare i difficili sul modo di evitarsi uno sbudellamento, né perder tempo a cercare le ragioni della persecuzione di cui si è oggetto. Sfuggire è quel che basta al saggio….ogni possibile viltà diventa una meravigliosa speranza se uno sa riconoscerla.” E’ quel che pensava uno dei grandi scrittori del secolo scorso, L. F. Celine.
Sul tema della fuga e a notevole distanza dallo scrittore francese, nel 2014 durante la Festa dell’Inquietudine (15-18 maggio) a Finale Ligure, sono stati chiamati a colloquiare, Edoardo Boncinelli fisico, studioso di genetica, di biologia molecolare, Valerio Meattini, professore ordinario di Filosofia teoretica e Filosofia della mente all’Università di Bari e Ugo Nespolo protagonista poliedrico del panorama artistico contemporaneo: cinema, teatro e l’arte nel suo più ampio ventaglio espressivo. Meattini:”Henri Laborit, Elogio della fuga:”Quando non può più lottare contro il vento e il mare, per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l’illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si chiama desiderio.”
Per Meattini il più sfrenato dei desideri che la storia umana abbia conosciuto divampò in Grecia, duemilacinquecento anni fa, e si chiamò filosofia. Parmenide definito terribile da Platone, ed Eraclito che scrisse un libro, lo consegnò nel tempio di Artemide ad Efeso, perché gli umani non lo avrebbero capito, e andò via da Efeso dicendo che ”uno vale più di diecimila”. E poi Platone che inventò una forma di comunicazione (dialoghi) che ha segnato la cultura dell’Occidente. Aristotele elaborerà, di lì a poco, una rete di relazioni astratte di leggi e concetti da cui gli uomini a venire non potranno prescindere nella sfera della conoscenza.
Più di due secoli dopo Parmende, Euclide negherà a un re che in geometria vi siano vie regie. Dovrà anch’egli essere suddito del potere dell’intelletto, un cielo dove le sue eventuali prevaricazioni sarebbero derise come farneticazioni.
Molti secoli dopo, Galilei scriverà al cardinale Barberini, nipote del Papa, ch’egli tutta la vita l’ha spesa “per divergere dal trito e popolar sentiero degli studiosi” e aprire nuove vie.
La filosofia nasce come una fuga dal modo di sentire e pensare comune dell’uomo. Meattini conclude il suo intervento introduttivo con una considerazione tratta da I libri hanno bisogno di noi di George Steiner (chi volesse attingere a questa preziosa fonte di sapere può leggere il mio articolo pubblicato il 20 febbraio scorso nella sezione letteratura-libri): “c’è una condizione da evitare a tutti i costi che è quella delle distruttive condizioni favorevoli e, fra tutte le condizioni favorevoli, la peggiore è la normalità. Ecco, rifuggiamo dalla normalità e rifugiamoci laddove, forse, l’insolito ci chiama.”
Boncinelli: La scienza è una fuga dal reale per raggiungere il reale, che è un paradosso, perché la scienza è socchiudere gli occhi davanti a quello che si vede chiaramente, per riaprirli poi a quello che non si vede chiaramente. Che sia il sole che giri intorno alla terra è evidente, infatti continuiamo a dire, nonostante Galilei, il sole si alza, il sole tramonta, ma non è così, è la terra che gira intorno al sole, pertanto la scienza è fuga dall’evidenza per creare una evidenza superiore, una nuova conoscenza, quella che ci consente di mandare un satellite in orbita per la foto all’altra faccia della luna. La scienza non è solo fuga, ma è tema con variazione: è esperimento e poi variazione di una variazione fino a scoprire un certo numero di cose. Ma Boncinelli considera una fuga la sua attuale attività: quella di divulgatore. La divulgazione è una fuga dalla sua spontaneità, dal dire “ci sono gli introni e gli esoni (detto così non si capirebbe) al dire “ci sono pezzi di DNA con questa funzione e altri con questa”. La mia vita è stato un viaggio dalla fisica alla biologia, alla divulgazione.
Nespolo: la fuga dalla bellezza degli oggetti d’arte comincia da lontano. Quando Picasso (che è un allievo di Puvis de Chavannes, pittore legato alla tradizione del tardo ottocento) si trasferisce a Parigi incontra Braque e con Apollinaire parlano della scultura africana e tentano territori ignoti, compie una fuga vera e propria. Abbandonare la tradizione e avere il coraggio di dipingere le Demoiselles d’Avignon. Ma fu abbandono, fuga il de Prospectiva pingendi con cui Leon Battista Alberti scrive e stravolge completamente la visione dell’arte bizantina e traccia una strada innovativa e razionale che Picasso abbandona. Tutta l’architettura, da Alberti al Brunelleschi in avanti, va verso un punto di fuga, così come nei quadri rinascimentali si assiste a questa costruzione di linee di fuga, costruzione che non è uno sfuggire, ma un convergere in un punto (ecco una nuova accezione di “fuga”), una grammatica per poter leggere le opere d’arte in modo razionale. Il tema del razionale è, in fondo, uno dei temi della bellezza. Dunque, nell’epoca della modernità, avevamo una meravigliosa possibilità di leggere le opere d’arte secondo una struttura, un filo rosso che ha a che fare con la razionalità. Ma alcuni filosofi poi ci hanno detto che il pensiero moderno era esaurito, finito. Improvvisamente ci siamo trovati nel postmoderno che ci dava la possibilità di decretare la fine della bellezza e anche di constatare come diceva uno dei più grandi filosofi americani Artur Danton, che “tutto va bene” , e che anche la Brillo Box (la scatola che conteneva le pagliette per pulire le pentole) di Andy Warhol era un’opera d’arte. Se però tutto è opera d’arte, niente lo è più. Nascono così non poche incomprensioni di lettura e cadiamo nell’arbitrio assoluto. Noi non sappiamo giudicare le opere d’arte e questo vuol dire anche la fine della bellezza. Questo è quanto accade quando ci si allontana dalla razionalità. Non avessimo dovuto affrontare la fuga verso l’incognito, verso un terreno indefinito, un metro di giudizio ce lo avremmo. Non si può fare opera di restaurazione, ritornare indietro, ma è certo che il tema della razionalità è tornato ad essere un tema importante e forse può aprirsi la strada per una rinascita della bellezza.
Meattini conclude: filosofia scienza e arte più che fughe dal mondo, sembrano aperture sul mondo rispetto ai modi di essere al mondo. Ogni nuovo e rinnovato capire, descrivere e “creare”, è uno schiaccianoci all’opera o se si vuole una messa a fuoco grazie al distanziamento, alla sottrazione, alla…..fuga. Per la scienza è una fuga dallo stupore nella spiegazione razionale, per l’arte invece fuga in un rinnovato e intensificato stupore. La filosofia, infine, vorrà capire e lo stupore e la spiegazione razionale.
Giuseppe Costantino Giuseppe Costantino |