Non possiamo passare sotto silenzio che l'11 giugno del 1956, esattamente, sessant'anni fa, a Roma, moriva Corrado Alvaro, uno dei maggiori scrittori italiani del '900. Calabrese di San Luca (RC), (paese di nascita di mia nonna. n.d.r.) Alvaro è stato lo scrittore che più di ogni altro è riuscito a scandagliare l'anima della Calabria. Anche se in questa regione ha vissuto solo gli anni dell'infanzia, il suo pensiero era rivolto sempre alla sua gente. Pensate che nel viterbese si fece costruire una casa simile a quella dove aveva vissuto in Calabria, nella quale si chiudeva per meditare, scrivere, creare le sue opere letterarie più importanti, aveva bisogno di sentirsi in un ambiente familiare per poter esprimere tutta la sua creatività. In coda trovate il link ad un suo articolo pubblicato sulla rivista "Il Ponte" di Piero Calamandrei, dal titolo L'animo del Calabrese" (A.M.C.)
"Alvaro è il simbolo stesso della Calabria; e non a caso i suoi libri sono tradotti in ventuno lingue. Opportunamente, quest’anno, è stato intitolato nel suo nome il Palazzo della Provincia di Reggio Calabria. Ci si augura che la Regione sappia comprendere e valorizzare l’incidenza di questa illustre figura, come in altre realtà viene fatto, e per autori di ben minore rilevanza. La Fondazione Alvaro ha fatto miracoli, in passato, malgrado la progressiva diminuzione (e poi la totale cancellazione) dei fondi a essa destinati; e certamente il presidente Oliverio e l’assessore Roccisano non saranno insensibili al grido di dolore che si leva da San Luca in occasione di questa ricorrenza. È prevista una edizione speciale del premio Alvaro; alcuni libri di critica letteraria su Alvaro sono pronti per la stampa; un restyling del sito web della Fondazione è in progetto, così come un importante seminario di studi. In attesa che la Regione determini quante delle iniziative in cantiere possano essere prodotte, in occasione di questo sessagesimo, una notizia importante è che la Bompiani ha deciso di rilanciare l’opera alvariana: il primo volume, in uscita a ottobre, sarà la riedizione di Vent’anni, il più bel romanzo italiano che sia stato scritto sulla Grande Guerra." (da: www.strill.it)
Il brano che segue è tratto dal testo di Corrado Alvaro “Calabria” , pubblicato nella collana Visioni spirituali d’Italia a cura di Jolanda De Blasi, Firenze, Casa Editrice Nemi, 1931.
"Mi fu sempre difficile spiegare che cos’è la mia regione. La parola Calabria dice alla maggioranza cose assai vaghe, paese e gente difficile. Una mia padrona di casa berlinese mi declamava “Kalabrien und Asturien!” secondo si trova, credo, nei Masnadieri di Offenbach, e io non riuscivo a convincerla che le Asturie non c’entrano. Ma tant’è, la Calabria fa parte d’una geografia romantica.
Fu una delle prime preoccupazione della mia vita di scrittore ricercare i Calabresi che ebbero diritto di cittadinanza nella civiltà centro italiana che fu in definitiva la civiltà nazionale, e di rendermi conto dell’influenza che detta civiltà ebbe nella nostra regione calabrese; un Telesio, un Campanella, un Mattia Preti, che risposero subito alla formazione della civiltà di toscana in italiana, un abate Gioachino da Fiore che fu un ideale capostipite di san Francesco d’Assisi ; ecco i due stati d’animo nei quali noi calabresi moderni e italiani possiamo riscontrare d’aver risposto alle sollecitazioni della civiltà nazionale.
Che Dante si sia ricordato del calabrese abate Gioachino come d’una altissima espressione del pensiero medievale e monastico, che Petrarca abbia mentovato il nostre frate Barlamo che gli insegnò il greco, che Boccaccio parli dell’autorità del Barlamo nel libro della Genealogia degli Dei, che il Comune di Firenze abbia avuto come primo maestro pubblico di greco il nostro Leonzio Pilato, che infine Barlamo e Petrarca, Boccaccio e Pilato si trovino inseme a iniziare l’Umanesimo, ecco alcuni fatti che legano noi alla grande Tradizione.
Leggendo il Vasari, si ritrova un accenno a un tal Marco calabrese pittore. […]
Più tardi, cercando nella vita imbrogliata di Campanella, mi colpì, dei suoi rapporti con Galileo, come Galileo gli desse tanto poco ascolto; credo che quest’uomo nostro, il quale pur perseguitato gli offriva la sua difesa, doveva apparire a Galileo farraginoso, impregnato di pregiudizii, di rozzezze, che erano il fumo del suo gran fuoco. Ma pure Campanella rappresenta il Calabrese più italiano, uno degli Italiani più vivi, quello che si accostava alla vita e alla civiltà e all’avvenire partendo dal popolo, dal senso religioso della Calabria monastica, da quell’accento e disposizione d’animo primitiva in cui tutti i popoli somigliano come somigliano gl’infanti. […]
Lo stesso Campanella fu uno strumento cui non si ardì metter mano, della Controriforma. Fin da allora apparve che il carattere della nostra regione era il sostegno dei principii di autorità, e i fatti pei quali si parla di lei sono inerenti a questa disposizione: le violenze del 1799 a Napoli, la guerriglia contro i francesi di Massena nel 1806.
In fondo all’animo del Calabrese c’è una aspirazione ai concetti assoluti e alla metafisica; filosofare è ancora la sua occupazione preferita , essere paladino dell’autorità il suo orgoglio. […]
La contemplazione dei concetti assoluti e delle cose passate fa del Calabrese l’uomo meno capace di infatuazioni, uno dei più tradizionali […]”. (da: www.kalabrianh2o.it)
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