Calabria, dolore e disinteresse |
Scritto da L.Niger | |
giovedì, 02 giugno 2016 22:42 | |
Da decenni scrivo articoli (pubblicati su diversi giornali e riviste), nei quali il soggetto, l’individuo, l’uomo viene guardato, esplorato, interpretato nei gesti, nelle parole e nei comportamenti, sempre in relazione al contesto, geografico, economico, sociale, politico, culturale in genere. Ebbene, nell’arco di questo tempo lungo, per me brevissimo e, per lo più, amaro e che inesorabilmente volge alla fine (quante volte mi chiedo: quanto mi resta?), con relativa periodicità ho deciso di non occuparmi della Calabria e dei Calabresi.
La rabbia, la sofferenza, l’impotenza, il rimpianto di non essere andato via, la stanchezza mi facevano stare male. E continuano a farmi stare male. Miseria, povertà, illegalità, abbandono, disordine, corruzione, menefreghismo e sfruttamento delle ignobili classi dirigenti, centrali e periferiche, non diminuiscono, anzi crescono quotidianamente. In tutte le classifiche la Calabria detiene stabilmente l’invidiabile e triste primato di essere “l’ultima” (potrebbe consolarci il Vangelo nella misura in cui esalta gli ultimi perché un giorno saranno i primi). Le indagini statistiche sono impietose e rappresentano un atto di accusa contro noi stessi e contro gli altri. Reddito pro capite molto meno della metà rispetto ad altre regioni italiane, una marea enorme di non occupati, soprattutto giovani, e il lavoro vissuto come un miracolo, scarso il livello generale di istruzione, sanità malata con conseguenti viaggi del dolore, paesi spopolati e abbandonati alle ortiche e alla memoria, strade, ferrovie, ponti, fatiscenti o inesistenti, una mafiosità diffusa, una terra franosa e cadente trattenuta dalle ginestre e cosi via. Si continua a vivere nella desolazione, nella disperazione, nella dimenticanza. Certo, ogni tanto qualche luce si accende, qualche eccellenza si impone all’attenzione, qualche progetto nasce e cresce, ma il clima generale è di collera, di rassegnazione, di fuga, di dolorosa consapevolezza, di tentativi di ribellismo infantile o di incolte nostalgie dittatoriali, quando i treni vecchi e sporchi arrivavano in orario. Nel complesso, la Calabria, come il Meridione, continua a morire nel disinteresse generale. Eppure, tra le macerie di questa regione, tra le ombre profetiche di Gioacchino da Fiore e quelle utopiche di Tommaso Campanella, alcuni fiori continuano a sbocciare. Sono i fiori della solidarietà, della dedizione, della sensibilità, in una parola dell’umanità, che, ieri come oggi, accolgono l’umanità sofferente dei migranti, viaggiatori della vita e della morte. Quel poco che è rimasto viene condiviso con tanti poveri disgraziati. I calabresi, che vivono circondati dai muri della solitudine e del pregiudizio, dell’estraneità e dell’indifferenza, costruiscono ponti per i migranti sopravvissuti, ponti della salvezza e della possibile speranza. Oggi, tanta apertura, tanta generosità, tanta disponibilità mi hanno commosso e mi sono sentito orgoglioso(ogni tanto) di essere calabrese. L’Altro (il diverso, lo straniero) è stato accolto, riconosciuto e protetto. E’ il modo migliore per combattere e rifiutare qualsiasi forma di xenofobia, di razzismo e di nazifascismo. Dalla Grecia alla Calabria, che hanno un cuore antico, là dove la civiltà è nata, cresciuta e sviluppata, l’uomo, talvolta, incontra l’altro uomo. Non tutto è perduto. Luigi Niger |
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