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I libri hanno bisogno di noi (libro) PDF Stampa E-mail
Scritto da G.Costantino   
sabato, 20 febbraio 2016 14:31
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Geroge Steiner
Quelli che bruciano i libri, che mettono al bando e uccidono i poeti, sono ben consapevoli di ciò che fanno. E’ incalcolabile il potere indeterminato dei libri. Ed è tale proprio perché il medesimo libro, la medesima pagina può avere sui lettori gli effetti più disparati. Può esaltare o avvilire; sedurre o suscitare disgusto; stimolare alla virtù o alla barbarie;accentuare la sensibilità o banalizzarla.” (in coda inserto, rivista "Nessun Dorma")

Può ottenere indifferentemente questi risultati, quasi nello stesso tempo, e nello slancio di questa azione così complessa, sostiene Steiner, non esiste ermeneutica, né psicologia in grado di prevederne la forza. Non si ha fenomenologia più complessa di quella dell’incontro tra testo e percezione o come osservò Dante circa l’insufficienza del nostro linguaggio, circa la nostra capacità di intendere:la debilitate de lo ‘ntelletto e la cortezza del nostro parlare.

Esistono comunque libri comprensibili fino in fondo e sono quelli effimeri e opportunisti dove si può leggere un invito alla intolleranza, all’aggressione sociale e politica.

L’odio l’irrazionalità, la libido si leggono velocemente, specie se sono veicolati dalla rete; da qui il dilemma della censura della cultura liberale. Come condannare la letteratura programmatica delle sevizie ai bambini, dell’odio razziale o religioso?

In realtà, i libri sono la chiave d’accesso per arricchire la nostra esistenza, a cominciare dai sumeri, i libri hanno avuto il compito di raccontare l’incontro dell’uomo con dio, alcune opere d’arte hanno incarnato il sogno di una possibile vittoria sulla morte. L’autore è destinato a morire, ma le sue opere, i suoi personaggi continueranno a vivere. Flaubert si vede morire come un cane, mentre ” quella puttana” di Emma Bovary vivrà in eterno.

L’incontro con il libro può essere del tutto casuale, ognuno di noi ne ha fatto esperienza. La parola stampata anche su una copertina deteriorata può catturare la nostra attenzione e rivelarsi fatale come l’incontro tra un uomo e una donna destinato a cambiare una vita.

Inoltre si pensi al mistero di come alcuni segni grafici  vergati su una tavoletta,su un foglio di carta costituiscano una persona di pura fantasia, più concreta dell’esistenza del suo creatore: la bellezza di Elena, il potere di dare salute di Beatrice, la passione di Anna Karenina, la complessità di Amleto.……….

Fin qui la scrittura, ma la lettura? Il lettore impegnato collabora con l’autore. Comprendere un testo equivale a ricrearlo; i nostri momenti d’intimità con un libro sono dialettici e reciproci: leggiamo un libro, ma più profondamente, è il libro a leggere noi. Ma l’atto della lettura richiede silenzio, intimità, cultura letteraria, concentrazione, che hanno sempre avuto un ruolo centrale nella vita del libro. Ai giorni nostri sono pochi lettori forti a praticare quella che Malebranche definiva la “devozione naturale dell’animo”; la gran parte degli adolescenti si dichiara non capace di leggere senza un sottofondo musicale più o meno amplificato. Per tacere dello studio mnemonico! Allorquando ho proposto agli alunni di una scuola secondaria, durante lo svolgimento del programma di letteratura italiana, di imparare a memoria, a loro scelta, uno dei sonetti di Foscolo, sono stato tacciato di autoritarismo, di fascismo. Si trattava di memorizzare 14 versi tra i più belli della letteratura non solo italiana! (Il corsivo è mio).

Ai nostri giorni, si dirà che il web  veicola una sterminata messe di contenuti letterari e no e che nessuno dubita che si tratti di una rivoluzione vera e propria dalle implicazioni economiche e sociali di grande rilievo, ma nessuno può negare che siano la causa scatenante di gravi perdite.

Questi, in estrema sintesi, i contenuti della Lectio tenuta il 10 maggio del 2000 al Salone del Libro di Torino “nella gloriosa città di Alfieri e di Nietzsche.”che ho ritenuto di offrire agli amici della rivista.

Il libro di sole 82 pagine si compone di questo intervento al salone del libro, del testo di una conferenza  tenuta a  Tel-Aviv il 4 novembre del 1999 dal titolo “Popolo del libro” e di un terzo, il più lungo, di una appassionata e lucida riflessione su “I dissidenti del libro

 

………..

“Popolo del libro”

Con l’espressione Il popolo del libro si è soliti designare gli ebrei, titolo che non è assegnato a nessun’altra comunità  storica o etnica. Israele e il giudaismo quale origine, fonte e custode eletto delle Sacre scritture. Quando Dio comanda ad Ezechiele di “mangiare il rotolo” che il profeta ha ricevuto con la parola dettata da Dio, esige dall’ebreo che il libro e la persona siano una cosa sola. Per dirla con un termine secolare gli ebrei sono dei bookmen. Mentre scrivo mi viene in mente la considerazione che fa Amos Oz nella sua bella autobiografia in forma di romanzo Una storia di amore e di tenebra, quando ricorda alcuni pomeriggi della sua adolescenza: mentre era chino sui libri di scuola, aveva la sensazione e il convincimento che tutti quelli della sua età facevano altrettanto, a voler significare l’importanza dello studio dei libri per tutti gli ebrei.

Tornando alla conferenza di Steiner, a rendere il giudaismo un caso unico, è l’ossessione del testo. Altre nazioni hanno prosperato o sono scomparse all’interno di frontiere geografiche o linguistiche, che avevano definito la loro identità con la “terra e il sangue”. Il popolo di Abramo, afflitto da interminabili persecuzioni, finché poteva portare con sé le Scritture, studiarle instancabilmente, interpretarle, l’ebreo riusciva a preservare la propria identità. Il primo comandamento non è “onorerai il Signore Dio tuo”, ma “Ogni giorno studierai la Torà”. Il valore morale, la dignità intellettuale della condizione “libresca” degli ebrei è fuori discussione, tuttavia Steiner non manca di sottolinearne l’aspetto negativo. Il testo che si impone silenziosamente non permette la vivacità della discussione, del riesame, della confutazione critica, soffoca la creatività che può nascere dal dubbio.

Non teme di toccare un tema importante, ma tabù, quello della incapacità creativa ebraica in letteratura e in buona parte della filosofia, salvo insigni eccezioni come Spinoza. Bisognerà attendere Kafka e gli ultimi maestri del romanzo americano: Malamud, Henry e Philip Roth, Mailer e Bellow.

L’ebreo bibliofilo e pedante, che mormora instancabilmente testi rituali e liturgici  imparati a memoria e recitati meccanicamente appartiene al repertorio dell’antisemitismo, ma l’accusa è più profonda. Socrate e Gesù non scrivono. Le scoperte filosofiche del primo e le rivelazioni  d’ispirazione divina del secondo, sono orali. Nascono dall’incontro personale, dalla vitalità metaforica della parola pronunciata. La sinagoga è accecata dal letteralismo, il cristianesimo , in simbiosi con il neoplatonismo, cerca il libero pneuma dello spirito. L’ebreo si dedica continuamente all’ingrato compito filologico; il cristianesimo e i suoi eredi seguono la via maestra dell’essere animato. Queste sono cicatrici nel corpo della tradizione ebraica che possono portare a risultati sconcertanti. Tutto il movimento del decostruzionismo muove da  una ribellione giudaica contro l’autorità, la stabilità e le pretese trascendentali della testualità. I marcatori semantici, afferma Derrida, non possono avere un significato stabile, condiviso. Si mira così  a demolire il logocentrismo patriarcale che ha imposto i suoi imperativi prescrittivi.

Ormai si vanno affievolendo le tradizioni della testualità, del rispetto per le Sacre Scritture, dell’apprendimento mnemonico e del commento che hanno connotato per secoli il giudaismo.

Il “popolo del libro”, ai giorni nostri, è indubbiamente l’Islam, ma l’assenza generale di cultura profana, d’insegnamento superiore e di sistemi di valori scientifici e tecnici, a detta di Steiner, attribuisce al Corano una centralità, un’influenza nella vita quotidiana, un monopolio referenziale quasi obsoleto nel giudaismo contemporaneo.

D’altra parte l’iconoclastia, che è all’origine sia del monoteismo mosaico che dell’Islam,  sembra soppiantata proprio dall’immagine nelle sue forme variabili e riproducibili all’infinito, destinata a dominare la coscienza futura. Ormai la lingua, in particolar modo quella letta dai giovani, si sta riducendo a didascalia delle immagini. Ma anche qui, la supremazia ebraica nei media grafici, soprattutto negli Stati Uniti, si configura, come per il decostruzionismo, come un ulteriore esempio di rivolta edipica contro il dominio assoluto che il verbo rivelato e legislatore ha esercitato sul giudaismo per millenni.

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3. I dissidenti del libro

La nostra eredità sul piano del pensiero e dell’etica, la nostra lettura dell’identità e della morte derivano da Socrate e da Gesù di Nazaret e nessuno dei due appartiene alla categoria degli autori, ancor meno a quella della pubblicazione. L’insegnamento di Socrate, come Platone lo ha raccontato, appartiene al linguaggio orale. Il metodo socratico è per antonomasia un metodo orale, che presuppone un incontro personale. Sia il pensiero che l’allegoria sono esperienze vissute, non riconducibili a una testualità muta. La critica che Platone muove nel Fedro alla scrittura, riflette indubbiamente i metodi del maestro. Al testo scritto si riconosce  una certa autorevolezza (auctoritas ha la stessa radice di autore) e proprio per la sua natura intrinseca la scrittura è normativa, è prescrittiva. Anche dietro un’apparente leggerezza, gli atti della scrittura e la loro consacrazione nei libri manifestano dei rapporti di forza. L’autorità implicata dal testo, il suo possesso e gli usi da parte di una élite colta sono sinonimi di potere senza appello. All’opposto, nel concetto platonico, lo scambio orale autorizza una sfida immediata. L’oralità aspira , all’onestà dell’autocorrezione e in ultima analisi alla democrazia. Il secondo punto illustrato dal mito di Fedro è altrettanto eloquente: il ricorso allo scritto indebolisce l’efficacia della memoria. Ciò che è scritto è archiviato – si pensi alle banche dati, alla “memoria” dei computer. All’opposto sapere a memoria,  (per i francesi significativamente), par coeur, significa entrare in possesso dell’argomento, esserne posseduti, non a caso negli antichi, Mnemosine è la madre delle muse.

L’educazione moderna è esposta sempre più all’amnesia istituzionalizzata. A ciò che si apprende a memoria sostituisce la transitorietà dell’effimero. La poesia di Robert Graves ci avverte che amare con il cuore (loving by heart) è infinitamente superiore al semplice “amore per l’arte”.

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Come Socrate, Gesù non scrisse e non pubblicò. La saggezza, divinamente infusa nel piccolo Gesù, getta nello sconcerto la sapienza della classe sacerdotale basata sulla forma e la conoscenza del testo.

Il giudaismo della Torà e del Talmud e l’islam del Corano sono inevitabilmente libreschi. L’incarnazione del cristianesimo nella persona del Nazareno deriva dalla oralità e in essa viene proclamata. Si ignorano i motivi che hanno stimolato la produzione dei racconti di Gesù nei vangeli. Il passaggio, l’ingresso vero e proprio nella sfera del libro, avviene con l’ellenismo, negli accenti neoplatonici del quarto vangelo e specialmente in san Paolo, l’addetto stampa e il virtuoso delle relazioni pubbliche più abile che la storia ricordi. Le sue lettere sono annoverate tra i capolavori senza tempo di tutta la letteratura nel campo della retorica, dell’allegoria e del paradosso. Il fatto stesso che san Paolo citi Euripide fa di lui un uomo del libro, agli antipodi del Nazareno che in Paolo diventa Cristo. Permangono, tuttavia, le tensioni tra gli scriptoria monastici dopo Tommaso d’Aquino da un lato, e la preferenza per l’oralità dei padri del deserto, degli asceti che consideravano abominevoli i libri. Questa corrente di oralità penitenziale e profetica si ripresenterà in numerose occasioni, si pensi all’iconoclastia di un Savonarola.

Ma il punto più importante rimane l’atteggiamento ambivalente della chiesa di Roma riguardo alla lettura delle Sacre Scritture al di fuori di un’elite autorizzata. Per secoli la lettura della bibbia è stata ostacolata e, a più riprese, considerata eretica. Se esiste una differenza tra la sensibilità cattolica e il protestantesimo, essa è da individuare nei differenti atteggiamenti verso la lettura del Libro: centrale per il protestantesimo, ma ancora estranea al cattolicesimo.………

 Alla fine del medioevo è databile la nascita delle grandi biblioteche, ma l’età del libro e l’atto classico del leggere, si raggiungeranno solo nell’800 con la formazione di una borghesia privilegiata ed educata. I libri abbandonano un contesto ufficiale o pubblico per essere posseduti e custoditi in spazi privati appositi rivestiti di scaffali, sono le biblioteche dei colti. Un’altra componente essenziale è il silenzio: Montaigne vigila affinché siano tenuti a distanza dal suo santuario libresco perfino i familiari.

Il silenzio è ormai un lusso e il tempo si è accelerato notevolmente. Il piacere concentrato, necessario per una lettura seria, silenziosa, responsabile è diventato appannaggio di pochi. Si ammazza il tempo, invece di approfittare di avere uno spazio personale.…………..

Anche nella fase di pieno sviluppo del libro due correnti carsiche di negazione meritano un approfondimento.  La prima, Steiner la chiama pastoralismo radicale e la fa risalire a Rousseau nella sua pedagogia utopica e nel pensiero di Goethe, che vede l’albero del pensiero e dello studio sempre grigio, mentre quello della vita attiva sempre verde. Lo stesso culto dell’esperienza personale lo troviamo nel romanticismo: da Wordsworth ad Emerson e a Blake.

In quale misura i libri possono essere d’aiuto all’umanità sofferente? Hanno mai nutrito gli affamati? Si domandano alcuni nichilisti nella Russia zarista. I fondamentalisti più accaniti istintivamente vogliono bruciare i libri. Esistono però anche esecuzioni a fuoco lento come la censura che ha accompagnato il cattolicesimo romano lungo tutta la sua storia.  Ma le nostre sedicenti democrazie non sono da meno. Classici e opere di letteratura contemporanea sono stati censurati in nome di un politically correct puerile e degradante. Ma le relazioni tra la censura e la creatività possono rivelarsi fruttuose, la storia gloriosa della letteratura russa da Puskin a Pasternak e Brodskij sembrano legate alle pressioni e alle minacce di censura. D’altra parte laddove la repressione viene meno trionfa la paccottiglia. Le nostre edicole, l’ondata di pornografia sul web, lanciano sfide alla piena libertà di espressione e di comunicazione. Da Varsavia a Buenos Aires si pubblicizzano libelli che negano l’esistenza dei campi di sterminio nazisti e della Shoà, che non è difficile procurarsi.

La rivoluzione digitale rappresenta un mutamento potenziale non commensurabile all’invenzione della stampa a caratteri mobili dei tempi di Gutenberg. Quella che viene definita realtà virtuale può alterare i flussi abituali di coscienza. Grazie ad una manciata di microchip, banche dati smisuratamente ampie prenderanno il posto dei labirinti, ancora fuori controllo delle nostre biblioteche, con quali conseguenze sull’atto di leggere e sulla funzione dei libri, nessuno lo sa.

Giuseppe Costantino

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L'articolo è stato pubblicato sul mensile "Nessun Dorma" edito a Trebisacce di cui vi offriamo il primo numero del 2016

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