Il ritmo frenetico della ‘ndrezzata, una tarantella armata - La stessa parola tarantella richiama alla mente Napoli, anche se, secondo autorevoli studiosi, deriva da una tarantella ballata nelle Puglie che, secondo la credenza popolare, serviva a liberare dal veleno iniettato dal morso della tarantola.Ben presto la tarantella napoletana acquistò una sua precisa autonomia, divenendo una danza caratterizzata da precisi movimenti segnati da ritmica gioiosità e da una evidente allusività erotica, che ne ha fatto per due secoli uno dei balli più popolari del mondo.
Bisogna precisare che il tarantismo rinvia ai culti orgiastici dell’antichità greca nei quali la musica ha una funzione catartica
in linea con le pratiche culturali del dionisismo; poi, con il predominio del cristianesimo, si determinò una crisi degli orizzonti
mitico rituali del mondo antico, a tal punto che vi fu una polemica tra San Paolo e la Chiesa di Corinto, che praticava una
liturgia che tendeva eccessivamente al raggiungimento dell’estasi.
Le pulsioni represse durante il medio evo trovarono nella danza sfrenata seguaci in tutta Europa, come i danzatori di San
Giovanni e di San Vito ricordati da Nietzche nei suoi scritti.
Il tarantismo è da interpretarsi come l’esorcismo coreutico musicale dell’eros represso, quell’eros che poteva manifestarsi
liberamente nell’orgiasmo pagano e che in epoche successive era costretto ad utilizzare travestimenti simbolici e differenti
modalità di estrinsecarsi. A Napoli nel 1721 l’illustre medico Cirillo identificò nell’Ospedale degli Incurabili un caso di
tarantismo che riuscì a guarire attraverso l’intervento di suonatori da lui convocati.
E passiamo ora alla nostra tarantella, non più danza di possessione bensì danza di costume. Sotto il profilo musicale
dobbiamo rilevare una sostanziale differenza tra il tarantismo pugliese, che ha un tempo pari, e la tarantella, nella quale il
tempo dispari crea un ritmo più svelto e brioso.
Accenniamo infine all’ipotesi sostenuta dallo studioso Renato Penna che fa derivare la tarantella dalla fusione del ballo di
Sfessania, di origine moresca, con ilfandango di origine spagnola.
Per quel che riguarda gli strumenti d’accompagnamento vi è il predominio di quelli a corda ed a percussione (calascione e
tamburello) su quelli a fiato con l’introduzione di nuovi strumenti autoctoni come il putipù, lo scetavajasse, ‘o siscariello e
il triccaballacco.
Inoltre, nella tarantella la gestualità viene scandita in tre fasi: in piedi, caduta al suolo e movimenti a terra, oltre ad altri passi
e figure d’incerta origine.
Ne esistono due forme: una semplice, ballata da sole donne, ed una complicata, in cui si esibiscono anche gli uomini.
La tarantella, come raffigurano numerosi dipinti, veniva ballata dal popolo in occasioni importanti come la festa della
Madonna dell’Arco, quando i partecipanti si scatenavano in maniera talmente eccitata da far esclamare al Mantegazza che
essa gli ricordava, per lo sfrenato erotismo, le orge di alcune popolazioni selvagge.
All’epoca del Gran Tour essa viene illustrata più volte dagli artisti che accompagnavano i ricchi visitatori, come il nobile
Bergeret de Grancourche portò con sé in Italia il sommo pittore Fragonard.
La tarantella ritorna anche in numerosi immagini del Voyage pittoresque dell’Abbè De Saint-Non, pubblicato a Parigi nel
1781. Seguì poi, ad uso dei forestieri meno danarosi, una vera e propria produzione in serie di immagini da riportare in patria
come souvenir.
Di nuovo abbiamo però rappresentazioni della tarantella eseguite da artisti famosi come Angelica Kauffman, Filippo Palizzi
ed Edoardo Dalbono, che ci forniscono una serie importante d’informazioni sulla classe sociale ed il sesso dei ballerini,
sull’ambiente dove si svolge, sugli strumenti musicali d’accompagnamento, sulle gestualità più comuni. Abbiamo anche
testimonianza di una tarantella tra femminielli.
Anche la letteratura ci fornisce descrizioni accurate della tarantella, soprattutto da parte di autori stranieri, che
costantemente sottolineano le valenze erotico sessuali della danza.
Valenti musicisti sono stati attirati dall’energia che sprizza vigorosa dai movimenti dei ballerini. Tra questi possiamo citare
Ciaikovsky che conclude il Capriccio Italiano op.45, tutto luminoso e vibrante, con una trascinante tarantella, oppure
Stravinsky, autore nel 1919 del balletto Pulcinella, che si compone di più brani, uno dei quali, appunto, è una tarantella, o,
andando a ritroso, la celeberrima Tarantella di Rossini, cavallo di battaglia, ancora oggi, dei più importanti cantanti lirici.
Nell’ultimo secolo il celebre ballo, da fenomeno di costume popolare, si è trasformato in attrazione turistica e solo nell’area
sorrentina e nelle isole del golfo si possono, raramente, ammirare esibizioni spontanee.
Tra i libri, che cercano di conservarne viva la tradizione, fondamentale è il testo di Max Vajro, pubblicato nel 1963 per conto
dell’Azienda di Soggiorno e Turismo di Sorrento oltre al volume, edito nel 1967 dal Touring Club Italiano, dedicato ai balli
popolari.
Vogliamo ora, dopo questo lungo preambolo, ricordare una rarissima forma ballata ancora oggi a Barano d’Ischia: la
‘ndrezzata, una tarantella armata in cui gli uomini brandiscono bastoni, ricordata anche in un celebre film di Pieraccioni, che
si pratica il lunedì dell’Angelo a Buonopane, perché a differenza di altri eventi, non è ispirata alla risurrezione di Cristo, ma
simboleggia un momento di pace e la fine delle ostilità tra gli abitanti di due frazioni: Barano e Buonopane.
Si racconta infatti che intorno al 1500 un pescatore baranese aveva regalato alla propria fidanzata una cintura di corallo, ma
questa un giorno venne trovata nelle mani di un giovane di Buonopane. La lotta che ne seguì non si limitò soltanto ai due,
ma coinvolse la popolazione di entrambi i paesi. Dopo scontri sanguinosi, la pace avvenne ai piedi della statua della
Madonna della Porta, nella chiesa di San Giovanni Battista, il lunedì in Albis. Da allora questo ballo popolare si ripete il
giorno della Pasquetta e il 24 giugno in onore del Santo Protettore, San Giovanni Battista.
L’origine della danza si intreccia con altre tradizioni che alimentano e rendono vivace il folklore isolano.
"A mascarata", "Ndrizzata" e "A vattute e ll'astreche" erano le danze popolari legate ad alcuni momenti della comunità
ischitana, oggi divenute danze folkloristiche grazie alla nascita di gruppi specializzati.
Secondo alcune fonti "A mascarata" ha origini greche, secondo altre spagnole in quanto si ballava in alcune sue località il
giorno di Pasquetta o in occasione della festa di San Giovanni, tra l'altro Santo patrono di Buonopane.
Ci sono diverse ipotesi che riguardano la genesi del ballo. Quella che unisce mito e leggenda sostiene che la danza affonda
le proprie radici nel 1500 in una faida tra gli abitanti di Buonopane e Barano. Il manoscritto, rinvenuto nella sacrestia della
Chiesa di San Giovanni Battista a Buonopane, documenta la venuta del Vescovo per placare la lite tra due abitanti dei
rispettivi paesi nata per la contesa di una ragazza. E' dal lontano 1540, che il lunedì in Albis, a Buonopane, si ripete questa
tradizione.
Altre fonti, sicuramente più attendibili, definiscono il ballo " 'Ndrizzata" e risalgono al primo dopoguerra. In questo periodo
un numero considerevole di buonopanesi, spinti dalla povertà, emigrarono negli Stati Uniti. A New York, un gruppo di oltre
centosessanta persone iniziò a ballare la danza che fu subito repressa dalle autorità statunitensi perché interpretata come
addestramento di un gruppo sovversivo filo-comunista. Questo causò l'immediata espulsione dei ballerini, che una volta
rimpatriati ripresero la tradizione definendo la danza "Mascarata" per la mancanza di un costume ufficiale, in quanto non si
disponeva di mezzi economici per realizzarlo. Solo negli anni '30 comparve il primo, costituito principalmente da tessuti
modesti come canapone, seta grezza e lana, che attingevano agli abiti dei pescatori del '600.
Nel 1941, il gruppo di allora si recò alla Reggia di Caserta. L'esibizione fu riportata nel libro di Maria Bianca Galante,
pubblicato nel 1943 dall'Università di Roma in cui furono descritti, nei minimi particolari, la danza, il costume e la
disposizione dei ballerini.
Durante gli anni '50 la danza diventò un connubio tra diversi balli praticati sull'isola, assumendo il nome di " 'Ndrezzata",
che ancora oggi è eseguita dal "Gruppo Folk 'Ndrezzata". Figlia della "Trallera" per la presenza della serenata del paesino
collinare di Fontana, della "'Ndrizzata" di Campagnano per la predica, della "Intrecciata" di Forio per i costumi da pescatore
e della "Mascarata" di Buonopane per il ballo. Anche il costume cambiò radicalmente con l'utilizzo del velluto e del tricolore
italiano. Le donne furono rigorosamente escluse . Solo dal 1983, grazie alla nascita della "Piccola 'Ndrezzata" è stato
possibile ballare la danza nuovamente tra coppie miste. Con la nascita della "Scuola del Folklore", nel 1997, è stata ripresa
quella cultura popolare infangata in passato, realizzando la danza con gli stessi costumi e la stessa struttura che la
caratterizzavano nella prima metà del '900. Raffaella Maritato, una Sibarita ballerina di taranta
'A Vattute e ll'Astreche, invece, deriva dall'usanza di costruire fino agli anni '50 i tetti delle case a botte o a forma di piccole
cupole emisferiche, dette a carusiello, attingendo dalla cultura architettonica greco-araba. Le case che oggi si costruiscono
in cemento armato e spesso lasciano spazio a storie di abusivismo e devastazione, prima venivano realizzate secondo
canoni ben precisi. La sagoma veniva preparata con un'intelaiatura di pali di castagno su cui venivano appoggiati i
"penicilli" (fasci di viti secche), che si ricoprivano con un manto di creta (argilla o altro materiale lavico) e pietra pomice
(pietre vulcaniche leggere, ma forti e compatte). Terminata questa fase, il proprietario issava di buon'ora una bandiera: era il
segnale con cui si chiamavano a raccolta parenti, amici, vicini, compagni. Tutto il paese era coinvolto e felice di dare il
proprio contributo alla realizzazione finale della nuova abitazione. Coloro che partecipavano, portavano un puntone, un
palo di pioppo con una parte più larga, che serviva per comprimere il lapillo bagnato da calce bianca viva, fino a renderlo
impermeabile. Tale fatica durava per tre giorni, giorno e notte ininterrottamente , ore che i puntunari scandivano cantando,
raccontando aneddoti o intonando filastrocche. Chi sapeva suonare uno strumento accorreva.
Si iniziava con un canto propiziatorio Jesc sole, si passava a quello Saluta allu padrone, per giungere al pettegolezzo
principe del paese Nu sacce che succise a Murupane. Poiché molti erano omonimi, il capo mastro dava il ritmo chiamandoli
per soprannome. Se il bere e il mangiare tardavano ad arrivare si era soliti ricordare che una volta completato il tetto si usava
buttare del grano di tanto in tanto per evitare la comparsa di piccole fessure.
Nel frattempo, le donne, accorse numerose, si dilettavano in cucina preparando pietanze prelibate. Finita la grande
abbuffata si iniziava a ballare tammurriate e tarantelle, cantando per un'intera giornata. Il popolo era felice perché un altro
concittadino era riuscito a costruirsi un tetto e quindi il nido dove far prosperare la propria famiglia.
Ritorniamo ad esaminare la genesi della ‘ndrezzata che racchiude l’anima di Ischia, dove si balla, si beve e si fischia….come
recita un detto popolare napoletano.
Non sono chiare le origini di questa danza, per alcuni è un poemetto nato nel medioevo di tipo bellicoso e guerresco. Ma le
origini del canto appaiono ben più remote, strettamente connesse al retaggio mitico della cultura greca che si era andata
diffondendo a Ischia grazie ai primi coloni di Pithecusa.
Le fonti storiche disponibili sono due: un testo custodito nella Biblioteca Antoniana di Ischia dove è citata un'ode del 1600
di Filippo Sgruttendio, in voga nel beneventano: "a Cecca - invito a vedere la Ntrezzata" ed un manoscritto, rinvenuto nella
sagrestia della chiesa di San Giovanni Battista a Buonopane, una frazione del comune di Barano d’Ischia in cui si racconta
dell'intervento del Vescovo al fine di dirimere una controversia tra gli abitanti della contrada di Buonopane e quelli di
Barano.
Si racconta che due uomini, Rocc'none di Barano e Giovannone di Buonopane, corteggiavano la stessa donna. Rocc'none
era un marinaio e in uno dei suoi viaggi aveva acquistato una fusciacca (una specie di sciarpa) per farne dono alla donna
amata. Nessun altro possedeva quella fusciacca, così quando l'innamorato tradito vide Giovannone indossarla, lo sfidò a
risolvere la faccenda tra uomini presso il ponte che divide i due paesi. Intorno al 1930 fu realizzato il primo costume,
inspirato al passato della gente comune, per lo più pescatori. I tessuti erano poveri e per risparmiare la stoffa le maniche
delle camicie vennero cucite al panciotto di tela, assicurato da una doppia fila di bottoni; i pantaloni arrivavano sotto le
ginocchia, con stringhe allacciate all'estremità e per finire venivano calzati sandali di cuoio.
Il mito antico legato alla ‘ndrezzata invece racconta di che Zeus trovò un giorno Demetra furibonda e disperata perché Ade,
dio dell'Averno, le aveva rapito la figlia Persefone. Mosso da pietà verso la povera madre, il capo degli dei le inviò le Muse
e Afrodite per placarne l'animo, allietandola con musica e danze. Tradizione vuole che la danza fosse praticata dalle Ninfe al
ritmo di spade di legno battute dai Satiri su rudimentali manganelli che accompagnavano la melodia prodotta dalla cetra
d'oro di Apollo. Apollo, pizzicando la cetra, si innamorò della ninfa Coronide e dall'unione dei due nacque Esculapio.
Appagato dall'amore con la ninfa, il dio concesse alla sorgente Nitrodi, lì dove si svolgevano le danze, la proprietà di offrire
bellezza e guarigione. La cultura della danza si diffuse ben presto in tutta l’isola, trovando terreno fecondo presso la
sorgente di Nitrodi a Buonopane, vicino Barano, zona agricola sul versante sud-orientale di Ischia e divenendo un elemento
caratterizzante del folklore locale.
Per via di tutti questi elementi carichi di fascino, mistero e leggenda la ‘ndrezzata non può essere considerato un semplice
ballo ma è da ritenersi un vero e proprio rito, composto da tre fasi distinte: sfilata, predica e danza. Ciascuno dei 18
danzatori tramanda ai propri discendenti i segreti della danza e il privilegio di parteciparvi. Durante la sfilata metà dei
danzatori entra in scena con un giubbetto di colore rosso, che rappresenta gli uomini, mentre l'altra metà indossa un
corpetto verde che simboleggia le donne. Alla testa del gruppo sfila il caporale, al suono di due clarini e due tammorre, un
tempo flauti e fischietti.
Al termine della sfilata i gruppi di danzatori formano due cerchi concentrici, impugnando, proprio come i fauni della
leggenda, un mazzariello nella mano destra e una spada di legno in quella sinistra. Agli ordini del caporale e al ritmo dei
suonatori parte la danza, che ricalca le mosse di base della scherma: saluto, stoccate, parate e schivate. All'interno della
danza due sono le figure fondamentali: la formazione della rosa con l'intreccio delle mazzarielle a mani alzate e l'elevazione
su di essa del caporale, che in antico dialetto ischitano recita la parte narrata (predica): le strofe sono dedicate all'amore, alla
paura dei saraceni, alle fughe sul Monte Epomeo, alla difficoltà del lavoro nei campi e alla A vattut´ e ll´ astreche, cioè alla
costruzione del tetto bombato in pomice e calce delle abitazioni di Ischia e Procida. Per ammirare questa danza
l’appuntamento principale è la festa di San Giovanni Battista a Buonopane, frazione di Barano d’Ischia alla fine di giugno. Achille della Ragione |