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Un museo etrusco a Napoli PDF Stampa E-mail
Scritto da A.Della Ragione   
lunedì, 28 settembre 2015 08:01
ImageUn museo etrusco presso l’istituto Denza a Posillipo - Napoli è città ricca di musei prestigiosi con punte di diamante quali Capodimonte, San Martino ed il museo nazionale archeologico. A questo già vistoso patrimonio si aggiunge ora un piccolo museo etrusco grazie al Padre provinciale dei Barnabiti di Napoli, Pasquale Riillo, circa 800 reperti antichi sono infatti visibili da marzo presso la sede dell’Istituto Denza a Posillipo. Allestito a cura dell’archeologa dottoressa Fiorenza Grasso, il museo ospita reperti che appartengono al periodo collocabile tra l’età del bronzo e l’epoca imperiale e provengono dalla collezione di Leopoldo De Feis, databile verso la seconda metà dell’800, quando il padre barnabita li raccolse con la volontà di dotare il collegio fiorentino barnabita “Alle Querce” di un museo didattico dedicato a questa antica popolazione.

Purtroppo per mancanza di fondi il collegio fu chiuso nel 2003 e la collezione fu conservata nei depositi della sede barnabita di Firenze. Dopo un lungo periodo, con il trasferimento a Napoli del padre provinciale dei Barnabiti, oggi i reperti sono esposti al pubblico e fruibili dall’intera città.
Una straordinaria occasione per conoscere le tracce di un ampio dominio, arrivato fino in Campania.
L'insediamento etrusco Caudium rappresenta, infatti, una delle più importanti testimonianze degli Etruschi in Campania. Una realtà che coinvolge una vasta area, a partire dalle zone di Montesarchio fino alle terre dell'Agro Picentino dove sorgono Nola, Nocera, Ercolano, Pompei e tante altre importanti città tra le quali Capua, che risulta essere una dei principali capoluoghi etruschi del territorio.
Un prezioso patrimonio storico e culturale che racconta dei Napoletani, della loro storia e delle radici da cui provengono. Una realtà che varrà la pena conoscere.
Gli Etruschi erano un popolo stanziatosi tra l’alto Lazio e l’attuale Toscana agli albori del VIII secolo a.C. L’Etruria, secondo Strabone, si estendeva sino al salernitano Agro Picentino, dove nacquero le città di Nola, Nocera, Ercolano, Pompei, Marcina, Velcha, Velsu, Irnthi, Uri Hyria, Capua, tra cui quest’ultima era quella egemone.
Vivevano di un’arte propria, senza alcun influsso esterno, e prima dell’arrivo dell’imperialismo romano – la presa di Veio avviene nel 396 a.C. – ci hanno lasciato ceramiche, urne funerarie, pitture, tombe e altre testimonianze della loro cultura.
Ottocentoventicinque reperti, per gli amanti della precisione, che vanno dal 7° al 3° secolo avanti Cristo. Di questi, 250 sono stati ritrovati nella zona di Orvieto e sono proprio d’epoca etrusca. Altri 47, invece, sono reperti di origine sannitica provenienti dalla zona di  Montesarchio. Questi ultimi sono passati per mani di proprietari illustri come la reale famiglia D’Avalos d’Aragona. Coppe e brocche con pregiati mascheroni decorativi con cinghiali e cavalli alati nei tipici colori nero lucente.
Tra i pezzi di maggior pregio l’archeologa Fiorenza Grasso, che si occupa della struttura, cita dei calici con decorazioni a cilindretto e delle brocche con decorazioni a rilievo di stile orientalizzante e ribadisce l’importanza del fatto che gran parte degli oggetti esposti siano in ceramica di bucchero, elemento tipico dell’epoca trattata. La caratteristica di questo materiale, è quella di essere di un nero lucente all’esterno, in superficie, così come mantiene lo stesso colore anche al suo stesso interno, al suo spessore, o in frattura così tecnicamente si indica. Altro pezzo da non perdere è un sarcofago in terracotta databile tra la fine del 3° e l’inizio del 2 secolo avanti Cristo, con una splendida raffigurazione di una figura femminile riccamente ingioiellata.
Il museo è suddiviso in quattro sale che sono state anche attrezzate con appositi pannelli esplicativi e le visite gratuite avvengono tramite prenotazione.
Il primo e più consistente nucleo della collezione comprende reperti delle necropoli etrusche orvietane di Crocifisso del Tufo e della Cannicella, che in quel periodo erano in fase di scavo. Tra i materiali di provenienza orvietana si segnala un gruppo di ceramiche di bucchero decorate a rilievo con soggetti orientalizzanti, ceramica proto corinzia e un’ampia selezione di graffiti etruschi su oggetti di bronzo e ceramica. Di eccezionale livello artistico è il sarcofago in terracotta con immagine muliebre distesa su letto funebre, di cui abbiamo prima accennato.
Il secondo più consistente nucleo della raccolta è esito della donazione della famiglia D’Avalos, feudataria di Montesarchio, città sorta sull’antica Caudium, indagata da sporadiche esplorazione già nel corso del Settecento. I materiali provengono dalle necropoli cittadine del periodo arcaico; sono esemplificative le ceramiche di produzione campana “a figure rosse” e fibule di bronzo di varie tipologie.
Il terzo nucleo più consistente è rappresentato dalle iscrizioni di epoca imperiale donate dal barnabita Luigi Bruzza e provenienti dal territorio romano. Tra gli altri materiali notevoli si indicano: una statuina raffigurante la dea Minerva, dono della famiglia Strozzi, un gruppo di ex voto provenienti dal territorio di Tivoli, un’urna cineraria di vetro e strigili di bronzo.

Achille della Ragione

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