Skip to content

Sibari

Narrow screen resolution Wide screen resolution Increase font size Decrease font size Default font size    Default color brown color green color red color blue color
Advertisement
Vi Trovate: Home arrow Arte arrow Capolavori di Mattia Preti in Francia
Skip to content
Capolavori di Mattia Preti in Francia PDF Stampa E-mail
Scritto da A.Della Ragione   
sabato, 22 agosto 2015 11:34
ImageDella Negazione di Pietro(tav. 1) del museo di Carcassonne si ignora l’antica provenienza ed a lungo ne è stata contestata l’attribuzione al Cavaliere calabrese, fino a quando si è pronunciato Spike, massimo esperto dell’artista, il quale ritiene trattarsi di una delle prime opere del Preti da collocare al 1630 – 35. Egli fa notare che i dubbi nascono da alcune debolezze: i personaggi sono tutti disposti in primo piano ed alcuni atteggiamenti sono resi in modo maldestro, come il braccio sinistro del soldato che si spinge fin troppo avanti o, al contrario, la mano destra della serva troppo indietro. Malgrado questi difetti, la leggera preparazione bruna, i riflessi argentati sull’elmo e la corazza del soldato, e alcuni particolari – il movimento della serva o il volto di San Pietro – sono caratteristici dell’opera del Preti, così come la grande forza drammatica della composizione resa con semplicità. Questa è una delle più evidenti testimonianze dell’adesione giovanile del Preti alla lezione del Caravaggio.
 
La Crocifissione di San Pietro (tav. 2) del museo di Grenoble, già nella collezione della regina Cristina di Svezia prima del 1687, viene acquistata dalla città di Grenoble nel 1828.
Per le cospicue dimensioni probabilmente doveva essere una pala d’altare per una chiesa di Roma, forse rifiutata dai committenti e rimasta nella disponibilità del pittore.
Cronologicamente si inserisce certamente nel contesto delle grandi pale eseguite durante i primi anni Quaranta, nelle quali molto forte è il riferimento alla lezione del Caravaggio.
Nella tela in esame si può apprezzare come la rivisitazione di motivi chiaramente ripresi dal Merisi viene rielaborata in spunti compositivi di grande effetto, ma senza la carica drammatica che avevano in Caravaggio. Si pensi alla splendida idea dell’angelo che irrompe dall’alto, chiaro ricordo da San Luigi dei Francesi, ma anche dalle Sette opere di Misericordia.
Nella tela di Grenoble la sequenza di piani determinata dal corpo del santo e dalla sua croce, nonché dalla ardita posa del carnefice in primo piano a sinistra, sottolineata dai tocchi di luce sulle spalle, la camicia e il polpaccio, dà un senso di profonda spazialità alla scena e di accentuato dinamismo.
 
Il Ritorno del figliuol prodigo(tav. 3) fu acquistato dal museo di Le Mans con un’attribuzione a Caravaggio. Fu poi il Longhi ad attribuirlo correttamente al Preti, il quale nel corso della sua carriera ha replicato più volte la stessa iconografia, molto richiesta dalla committenza, in formati e strutture molto diversi tra loro. La versione francese è una delle più antiche rielaborazioni del tema, ancora intrisa di un naturalismo di ascendenza caravaggesca, riletto attraverso i modi del Guercino, con un gusto per il colore denso e compatto e con una definizione accurata della materia, sia essa stoffa, incarnato, elemento architettonico.
Siamo nei primi anni Quaranta, in un momento particolarmente fecondo nella produzione del Preti, al quale appartengono anche le due celebri versioni conservate a Napoli, tra Capodimonte e Palazzo Reale.
 
Il Mosè sul monte Sinai (tav. 4) del museo Fabre a Montpellier, anticamente attribuito al Poussin, è stato restituito dal Longhi al Preti assieme al suo pendant conservato a Tours. Cronologicamente si tratta di opere eseguite tra il 1630 ed il 1640, durante il soggiorno romano dell’artista, in un momento in cui trionfa nella città eterna la corrente neoveneta, che fa capo al Poussin, al Mola ed al Testa, a cui il Preti, oltre alla vena caravaggesca aderirà negli anni di formazione.
Il soggetto del dipinto mescola più episodi biblici più che riferirsi ad un momento preciso del racconto del passaggio degli Ebrei nel Sinai raccontato nell’Esodo(XXIV, 1 – 36).
La composizione coniuga felicemente l’eleganza del disegno all’intensità del colore con toni caldi grigio verde, bruni e giallo dorati, disposti su una preparazione leggera.
 
Il Trionfo di Sileno (tav. 5), pendant della tela precedente fu anche esso sequestrato nel 1799 alla Galleria Reale di Torino.
Spike, massimo conoscitore del Preti, ha messo in dubbio che, nonostante le medesime dimensioni, possano associarsi un soggetto profano come un baccanale ed un episodio tratto dall’Antico Testamento. Bisogna tener conto però che altre volte l’artista ha predisposto coppie di quadri con un soggetto profano ed un soggetto religioso, come quelli conservati a Chambery: Morte di Didone (tav. 6) e Giuditta presenta agli Ebrei la testa di Oloferne(tav. 7), di cui ora parleremo e la cui storia conosciamo dai tempi del De Dominici.
 
Narra infatti il celebre biografo che furono commissionati dal duca di Monte Accolici, per poi passare nella collezione del marchese Rinuccini, fiorentino, per adornare le sue nobili stanze.
Entrambi i dipinti sono datati dalla critica alla metà degli anni Cinquanta, subito dopo il soggiorno a Modena e poco prima degli anni trascorsi all’ombra del Vesuvio.
La tavolozza è improntata ad una gamma di colori giocata tra il nero, l’azzurro, l’argento e i grigi bronzei, a causa della potente suggestione della pittura emiliana.
Dal punto di vista iconografico è interessante notare l’associazione di un’eroina pagana con un’eroina biblica.
 
Già nella collezione del marchese Berio a Napoli la Morte di Sofonisba (tav. 8) del museo di Lione è uno dei tanti quadri che il Preti ha dedicato all’episodio raccontato da Tito Livio. Nel quadro in esame la regina ha già vuotato la coppa di veleno e livida sembra già avvertirne gli effetti, mentre tutti i presenti sono volti verso di lei, che domina la scena guardando verso lo spettatore.
La critica ha ipotizzato più date per l’esecuzione del dipinto, ma il carattere teatrale della scena, fissata sullo sfondo mediante elementi architettonici e lo schiacciamento dei primi piani, ricordano il Veronese, la cui influenza è molto pregnante nei grandi banchetti dipinti nel corso del soggiorno napoletano tra il 1653 ed il 1660.
 
L’Ecce Homo (tav. 9) del museo di Chantilly è collocato cronologicamente da Spike alla fase cosidetta eroica dell’artista, un periodo che va dal 1656 al 1666, prima che, trasferitosi a Malta da qualche anno, la sua pennellata perderà baldanza e creatività.
Il dipinto francese è collegato strettamente all’Andata al Calvario del museo di Capodimonte, col quale condivide il taglio compositivo, l’illuminazione della scena, la disposizione delle figure e il trattamento dei personaggi in secondo piano.
Comune è anche la provenienza, essendo entrambe citate nel novembre 1803 dal pittore Tommaso Conca, chiamato a valutare gli acquisti operati a Roma da Domenico Venuti per conto dei Borbone per arricchire le collezioni reali.
 
Concludiamo citando semplicemente due dipinti modesti collocabili cronologicamente alla fase maltese del Preti, quando la qualità della sua produzione scese notevolmente. Essi sono un Diogene con la lanterna(tav. 10) del museo Ingres di Montauban ed un San Giovanni Battista (tav. 11) conservato nel municipio di Falaise.
 
Achille della Ragione
< Precedente   Prossimo >