Skip to content

Sibari

Narrow screen resolution Wide screen resolution Increase font size Decrease font size Default font size    Default color brown color green color red color blue color
Advertisement
Vi Trovate: Home arrow Storie Miti e Leggende arrow Peste, flagello e flagellanti
Skip to content
Peste, flagello e flagellanti PDF Stampa E-mail
Scritto da prof. Stino Cannata   
lunedì, 04 febbraio 2008 08:37

INAUGURIAMO QUESTA NUOVA SEZIONE DEL SITO DEDICATA AD AVVENIMENTO STORICI, MITI E LEGGENDE, CON UN ARTICOLO TRATTO DAL SITO WWW.NUOVOSOLDO.IT  DEL PROF. STINO CANNATA PROFESSORE DI STORIA E RAPPRESENTANTE DEI "VERDI DI SICILIA". NELL'ARTICOLO SI FA CENNO ANCHE AL GRANDE SCRITTORE E POETA DI TERRANOVA DA SIBARI RAOUL MARIA DE ANGELIS CHE TRATTO' IN UN SUO IMPORTANTE ROMANZO IL FLAGELLO DELLA PESTE NERA. BUONA LETTURA 

la peste
La peste a Perugia
La peste nera, il terribile flagello, ospite delle pulci dei ratti, nascosta agli occhi degli ignari contemporanei, segue la via della seta e del pepe e a bordo di navi genovesi provenienti dalle lontani steppe dell’Asia centrale attraverso i fondaci genovesi sul Mar Nero, dove essa ha natura endemica, approda a Messina all’inizio del 1347 (data che Ugo Dotti in ‘Storia degli intellettuali in Italia’ colloca ai primi di ottobre dello stesso anno) facendo strage. L’anno dopo penetra la Francia da Marsiglia e colpisce Avignone in quel tempo sede papale. Come scrive Georgr Duby in ‘Mille e non più Mille’, si tratta di una malattia del progresso, figlia degli intensi traffici marittimi con l’Oriente. Tra il 1347 e il 1351 la “morte nera” mette a ferro e fuoco l’intera Europa e secondo alcuni, un terzo della popolazione scompare. Scrive Duby: “Il medico cercava il segreto dell’epidemia in una decomposizione dell’aria. Il popolo immaginava un veleno gettato nell’acqua dei pozzi e delle sorgenti.

  . I vecchi odi designavano colpevoli: l’antisemitismo si scatenò, … e in Alsazia 2000 ebrei furono vittime di un pogrom a Strasburgo nel 1349. Altri vollero vedere nell’evento un segno della volontà divina, un annuncio della sua collera e … membri delle confraternite dei flagellanti sfilarono in processione nel Nordest della Francia, fustigando le proprie carogne …”. Ma, come ci ricorda lo storico Carlo Maria Cipolla in ‘Allegro ma non troppo’, la gente dell’Europa medievale non amava lavarsi e, d’altronde, poco avrebbe potuto fare sconoscendo che la sequenza dell’infezione della peste fosse ratto, pulce, uomo. Per i tre secoli successivi a questa pandemia ci furono tragici strascichi con epidemie che a fasi alterne e in luoghi diversi devastarono l’Europa. Un’altra pandemia si avrà nel 1360 e un’altra ancora nel 1374 e tra pandemie, epidemie e carestie la popolazione europea all’inizio del 1400 si ridusse della metà. Negli stessi anni della peste di Messina, ovvero tra il 1347 e il 1351, Giovanni Boccaccio scrive il suo ‘Decameron’ con sullo sfondo la peste che falcidia Firenze. Di certo in quegli anni la peste non poteva non risultare utile ad attualizzare ogni racconto e le stesse novelle del Boccaccio, in effetti, non avrebbero potuto essere facilmente contestualizzate sottacendo il flagello.
Allo stesso modo, tre secoli e mezzo dopo, Daniel Defoe sentirà il bisogno, da buon opportunista qual era, seppur consolidando le basi del romanzo moderno, di scrivere ‘A Journal of the Plague Year’ (1722), tradotto e ridotto da Vittorini per Bompiani col titolo ‘La peste di Londra’. L’autore vi racconta la peste col tono del testimone oculare, ma nel 1665, anno della peste a Londra, egli aveva soltanto cinque anni.
Le pestilenze che hanno inizio nel 1613 e si concludono nel 1666 vengono suddivise da alcuni, come scrive C. M
. Cipolla in ‘Cristofano e la peste’, in un ciclo indiano e in uno levantino, anche se è probabile che si sia trattato di un unico ciclo pandemico, che va dal ’13 al ’66. Trent’anni prima della peste del Defoe, il 21 ottobre 1629, la notizia che la peste è a nord-est del lago di Como raggiunge Milano. Alla fine di agosto dell’anno successivo dei 130000 abitanti di Milano ne sopravviveranno solo 70000. La Milano della peste sarà il leit-motiv del Manzoni negli ultimi otto capitoli de ‘ I Promessi Sposi’. Abbracciando le tesi contemporanee seicentesche egli attribuisce la diffusione della peste alla soldataglia (i lanzichenecchi) che scorazzando in molta parte dell’Italia del nord, come sostenuto dal dottor Tadino, delegato dell’Ufficio di Sanità in quei giorni funesti, non rispetta certo i divieti imposti dagli attenti Magistrati di Sanità italiani. Le testimonianze del dottor Tadino sono prese in considerazione anche da Carlo Maria Cipolla.

Raoul Maria
Raoul Maria De Angelis

Il capolavoro del Manzoni sarà il modello di ‘La Peste a Urana’ del calabrese Raul Maria De Angelis, pubblicato nel 1943 e ultimato nel ‘41. A tal proposito alla fine degli anni quaranta scoppia una polemica su un giornale tedesco, ‘Die Tat’, tra De Angelis e Albert Camus. Quest’ultimo viene accusato di aver avuto a modello nella stesura del suo romanzo ‘La Peste’ (1949), ‘La Peste a Urana’ di De Angelis. Camus si difende sostenendo di ignorare l’opera di De Angelis, ma di non ignorare affatto l’opera di Defoe. In effetti punti di contatto tra l’opera del De Angelis e ‘La Peste’ non mancano: Urana, almeno nel nome, sembra confondersi con l’algerina Orano di Camus e la caccia di Cottard nel romanzo di Camus, somiglia alla cattura dei cinque evasi della ‘Peste a Urana’. Le somiglianze sono numerose, ma le differenze tra le due opere le schiacciano se non le rendono addirittura nulle: l’autonomia dell’opera di Camus non può essere messa in dubbio dai punti di contatto sopra citati seppur un vasto patrimonio storico sulla peste fosse comune ad entrambi: Tucidite, Lucrezio, Boccaccio, Defoe, Manzoni, Dostoevskij.
Del 1881-82 è il racconto ‘La Peste a Bergamo’ del danese Jens Peter Jacobsen. Un racconto nel quale la peste uccide il corpo mentre il peccato uccide l’anima. E’ una Bergamo
senza tempo, anche se il corteo di flagellanti provenienti dalla parte della pianura che canta il ‘Miserere’ e gli indizi storici fanno pensare ad un’ambientazione nel XIV secolo. Come sopra ricordato per il Nordest della Francia e l’Europa, anche l’Italia basso medievale pullula di compagnie di flagellanti o battuti che, errando di città in città, generosamente si purificano salassandosi ferocemente e facendo sgorgare il sangue impuro e la penitenza del gruppo non si scarica su un innocente capro espiatorio, ovvero non cerca l’ebreo di turno, come ci rammenta Camporesi in ‘Il sugo della vita’. Altra cosa saranno l’età moderna e quella contemporanea che vedranno veri e propri genocidi, primo fra tutti quello che ha inizio con la scoperta e rapida conquista dell’America che, come sostenuto da L. Parinetto in ‘Streghe e Potere’, diede un innegabile impulso alla caccia alle streghe e con la scusa di eliminare i servi del diavolo eliminò milioni di amerindi (69 milioni in pochi decenni), mascherando il vero volto della conquista: la colonizzazione. Allo stesso tempo la caccia alle streghe in Europa fu uno stratagemma politico impiegato dal Potere e volto all’eliminazione della diversità sociale, politica e religiosa. Anche se i rituali di flagellazione, particolarmente nel Sud Italia, si spingeranno fin all’inizio del novecento, il bisogno di individuare responsabilità per eventi catastrofici, fame, epidemie, guerre, crisi economiche, ecc. ricade in modo sempre più frequente e in modo sempre più esclusivo sui diversi che spesso non hanno scampo, e se va loro bene e non devono temere per la loro vita di certo hanno da temere per la negazione di diritti che fin lì erano parsi naturali.  

< Precedente   Prossimo >