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Vangelo 1.a Domenica d'Avvento PDF Stampa E-mail
Scritto da don Michele   
sabato, 29 novembre 2014 13:28
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 13,33-37.   In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso.
E' come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino,  perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!».
(in coda il commento di mons. Bertolone arcivescovo della diocesi di Catanzaro)

I Domenica d’Avvento – B

30 novembre 2014

Vegliare! È questa la prima richiesta/consegna che ci viene rivolta all’inizio di questo nuovo anno liturgico e di questo nuovo tempo d’avvento.

Una richiesta/consegna particolarmente insistente! Tant’è che in solo cinque versetti – di cui si compone il testo del Vangelo, che ci viene proposto in questa prima domenica – il verbo vegliare ricorre ben quattro volte: “Fate attenzione, vegliate … ha ordinato al portiere di vegliare … vegliate dunque … lo dico a tutti: vegliate”!

 

Una tale insistenza ci aiuta subito a capire che il tempo d’avvento non è solo quello che ci prepara a celebrare il natale del Signore, a fare memoria del suo primo avvento – avvenuto con la sua “Incarnazione” – ma è un tempo che vuole allenare il nostro cuore a cogliere il suo continuo “avvento” nella nostra vita, il suo continuo “visitarci”, nell’attesa del suo ritorno, quando verrà nella sua gloria e “siederà sul trono della sua gloria … davanti a lui verranno radunati tutti i popoli … e … separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre”.

Il tempo di avvento, perciò, è come una “palestra del cuore” e vuole aiutarci a capire che l’avvento non è solo un “tempo liturgico”, una parte dell’anno liturgico, ma molto di più: è la caratteristica fondamentale di tutta la nostra vita! Sì, la nostra vita è un grande tempo d’avvento!

 

Se, invece, dovessimo assopirci e addormentarci le conseguenze sarebbero – come di fatto, e purtroppo, sono! – disastrose!

Il profeta Isaia, che rilegge il tempo della deportazione e dell’esilio come una conseguenza della mancanza di fedeltà e di vigilanza, scrive nel testo che ci viene proposto come prima lettura: “Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento”.

L’immagine della foglia avvizzita e portata via dal vento è particolarmente efficace. Infatti, quando la foglia si stacca dall’albero essa muore, poiché non riceve più la linfa vitale e, di conseguenza, si secca e svanisce!

Così accade a noi quando decidiamo di non vegliare più, quando ci lasciamo prendere dal sonno: ci “chiudiamo” a Dio, ci dimentichiamo che Egli ha messo nelle nostre mani “il suo potere”, affidando a ciascuno di noi un compito specifico.

Quando qualcuno si addormenta, infatti, “chiude gli occhi”, diventa “cieco” … in qualche modo è come se si sigillasse dentro il guscio del proprio “io”, diventando indifferente verso gli altri e verso Dio.

La vita, come “foglia avvizzita e portata via dal vento”, perderebbe di bellezza e di senso!

Questo è il dramma del peccato … e le conseguenze, purtroppo, stanno sotto gli occhi di tutti!

 

L’invito a vegliare, perciò, si accompagna a quel “grido d’aiuto” che il profeta eleva nella prima lettura: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi”! Un grido che trova eco in quell’invocazione che ripetiamo spesso durante l’avvento “Maranatha”!

 Il tempo di avvento, infatti, ci aiuta a prendere coscienza – ci aiuta ad avere la chiara consapevolezza – che senza Dio il mondo va in rovina, va verso l’autodistruzione!

 

Perciò, da una parte, dobbiamo fare nostra la toccante preghiera di Isaia: “Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore … Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità … Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani”!

 

D’altra parte, però, perché la nostra preghiera non resti una sterile invocazione, dobbiamo essere consapevoli che il Signore ha messo nelle nostre mani “la sua casa” e il suo “potere”, ha affidato a “ciascuno il suo compito” – o, per utilizzare le parole di Paolo, ci ha “arricchiti di tutti i doni” tanto che non ci manca più “alcun carisma”!

Dobbiamo essere noi, perciò, i collaboratori dell’avvento del Signore!

Avendo la chiara consapevolezza di ciò che siamo e di ciò che il Signore ha messo nelle nostre mani, possiamo realmente vivere con vigilanza operosa l’attesa della manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo!

Ogni volta, infatti, che compiamo un gesto di amore gratuito e generoso, ogni volta che non ci preoccupiamo di noi stessi, dei nostri interessi, del nostro tornaconto – ci comportiamo, cioè, da servi che vegliano! – noi contribuiamo all’edificazione del Regno di Dio, manifestiamo il suo quotidiano avvento nella nostra vita … e affrettiamo il suo ritorno glorioso!

Maria, Donna dell’attesa e Porta dell’avvento, interceda per noi! Amen.

Vieni, Signore Gesù! Maranatha!

don Michele Munno

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I Domenica d’Avvento

30  novembre 2014

 

Incontro alla speranza

 

Introduzione

Questo è il tempo dell’inizio. Oggi infatti I Domenica d’Avvento, la Chiesa celebra il primo giorno di un nuovo anno liturgico, durante il quale il vangelo di Marco ci aiuterà a scoprire progressivamente il volto umano di Gesù e, in Lui, il volto divino del Padre. Si tratta di un viaggio nella storia e nella missione di Gesù, segnato continuamente da un passaggio dall’oscurità alla luce. Infatti, nei lineamenti dell’uomo Gesù di Nazareth emergono quelli gloriosi del Messia, mentre dai tratti sofferenti del Crocifisso, quelli del Figlio di Dio. Due proclamazioni aprono e chiudono il vangelo di Marco, entrambe riconoscono l’identità propria dell’uomo Gesù: la prima è il riconoscimento del Padre. Durante l’episodio del battesimo di Gesù la voce celeste lo presenta come: “Il Figlio Prediletto in cui il Padre si compiace” (1,11). La seconda proclamazione, infine, posta a chiusura del Vangelo, è quella in cui il primo convertito pagano conferma che “quest’ uomo è veramente Figlio di Dio” (15,30). Tuttavia, l’Avvento con cui l’anno liturgico si apre, ci costringe a iniziare la lettura di Marco dal fondo, con un brano che ci parla di “attenzione” e “vigilanza”, in perfetta armonia con il contenuto del profeta Isaia (I lettura), dove si parla di “attesa”; ma anche concordante con la certezza di una “Presenza” annunciata dall’Apostolo Paolo (II lettura). Tre parole, “vigilanza”, “attesa” e “presenza”, ci permettono di scoprire ciò che l’Avvento è nella sua realtà più profonda: un intreccio di attenzione, attesa e presenza. Così con Isaia apriamo l’Avvento nel desiderio e nell’attesa che ritorni il Signore: “Ritorna Signore, tu amore! Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”; con le parole di Gesù lo riempiamo di “attenzione”: “State attenti, vigilate, perché non sapete in quale momento tornerà”. Mentre, con Paolo all’Avvento attribuiamo un volto, la realtà di una presenza. Ecco allora che Avvento diventa invito a rivolgere l’animo, tendere il cuore verso una Presenza, che troppo spesso manca. La speranza di incontrar-La ed accoglier-La diventa l’anima di questa attesa vigilante: “è la speranza che mi commuove – così Péguy fa parlare il Padre -; io mi commuovo non tanto perché credono, perché credere è di tutti; ma che i miei figli sperino, questo mi commuove”.

Attesa, vigilanza e presenza

Una introduzione lunga ma necessaria, per parlare di Marco e per ricordare il significato del tempo che stiamo per vivere. Un tempo di “attesa” e di “vigilanza”, ma anche di “speranza” e “presenza”, abbiamo detto all’inizio. L’ “attesa” è quella di un ritorno, un desiderio struggente che Dio si incammini di nuovo verso l’uomo. Il ricordo della bontà e della cura di Dio, che genere tristezza nel cuore di chi ne avverte la mancanza, da qui la speranza. La speranza, per il futuro, di un nuovo intervento di Dio. nell’accorato appello del profeta Isaia, è racchiuso anche lo struggente desiderio dell’uomo di ritrovare finalmente se stesso: l’io mancante di Dio. ora è il tempo di ricordare, di sentire nostalgia per il Paradiso che abbiamo perduto scegliendo le vie seducenti e dorate del male. Ora è tempo di fermarsi e attendere. Ma questa attesa, ci ricorda Gesù nel vangelo di Marco, deve riempirsi di vigilanza, di tensione operosa verso Colui che a noi manca per essere uomini veri. Noi come la sposa del Cantico dei Cantici, dobbiamo desiderare lo Sposo perché ci renda la nostra dignità: “Io dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! È il mio amato che bussa: Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia” (5,2). Ecco l’identikit di un animo in avvento: esso è teso ad ascoltare e ad accogliere Colui che viene e che verrà sempre. La Sua però è una venuta imprevedibile, è una sorpresa. Può venire quando le ombre stanno scendendo o nel pieno della tenebra a notte fonda, o quando si profila all’orizzonte la prima luce dell’alba o magari può accadere al primo mattino, quando il sole sfolgora in cielo. Dio è imprevedibile nella Sua venuta, e noi non possiamo che rispondere stando svegli, attenti, non abbandonandoci all’indifferenza, alla pigrizia e alla distrazione. Ecco allora profilarsi all’orizzonte il vero identikit del cristiano: egli è l’uomo del giorno, è l’uomo della speranza, perché nella notte della prova, nel momento della sconfitta e della malattia, volge l’animo ancora in avanti; perché nel giorno della crisi, del fallimento, della separazione rivolge ancora il cuore a Qualcuno. A quel Qualcuno che si fa presente non solo a Natale, ma ogni giorno quando si ripete per ciascuno il miracolo della vita e dell’amore. il miracolo della realizzazione nella propria umanità, dell’umanità di Cristo.

Nostalgia di Dio

Da solo questo esercizio di umanità giustifica la nostra attesa e la nostra vigilanza. Infatti, riusciamo a realizzare in pieno la nostra umanità se accogliamo le mani di Dio che ci plasmano nel quotidiano, se non facciamo resistenza alla pressione sicura e attenta del vasaio. Saremo ancora uomini realizzati se saremo attenti che nessuno seduca le nostre coscienze, facendoci credere che tutto quanto ciò che vediamo è bene, tutto ciò che desideriamo, seguiamo e vogliamo è buono. Ma soprattutto saremo uomini realizzati se saremo attenti agli altri, alle loro parole, ai loro silenzi e alle loro domande; saremo attenti ad ogni uomo perché in ciascuno è scritta la storia di Dio: un tassello importante della Sua trama di salvezza. Ora, se non vegliamo rischiamo di perdere la trepidazione dell’attesa, rischiamo di lasciarci sfuggire i tanti segnali di una venuta che è in realtà già ora presenza. L’Atteso non è forse il già venuto? Il Padrone già molte volte tornato e molte volte torna ancora. Torna come straniero, come donna o uomo dal volto sfigurato, come emarginato, escluso, povero, calpestato, irregolare, clandestino; torna come tribolato, come minoranza, come invisibile. È già tornato e tante volte torna ancora in coloro che vivono negli scantinati della storia e del mondo, in colore che subiscono ingiustizie, in coloro che pagano perché non si adeguano; torna in colo che soffrono per le calamità di oggi per essere voce fuori dal coro, come dissidente, perseguitato, disobbediente, crocifisso. È tornato e torna. Spesso senza essere riconosciuto proprio dai suoi. E non perché viene di soppiatto, sotto mentite spoglie, ma perché trasformato dal viaggio. Anche per il Padrone il viaggio non è senza frutto: il viaggio lo ha incarnato, lo ha rivestito delle carni dell’uomo, anche Lui sporco di quel fango che ci devasta. Si è fatto uomo in mezzo a noi già ora, nel bisogno e nella sofferenza. Mentre noi aspettiamo l’incarnazione, Lui a sorpresa si è fatto già uomo. Questo in fondo celebriamo in Avvento: la fedeltà di Dio all’uomo, il suo stare instancabilmente in mezzo a noi, il suo essere Presenza consolatoria e rassicurante che suscita speranza anche quando motivi di speranza ce ne sono pochi. Ora, un cuore sopito è incapace di cogliere tutto ciò, di percepire la carezza e il tepore delle mani di Dio, vasaio fedele ad oltranza: per quanto noi tradiamo la nostra speranza in Lui, Lui la rinnova sempre in noi. Sapere questo, fa nascere in noi il desiderio struggente di Dio e, con esso, il desiderio delle grandi cose, degli interrogativi radicali, degli ampi orizzonti. Il tempo d’Avvento è tempo di preparazione del cuore ad ospitare il grande orizzonte della nostra vita: l’infinito da cui veniamo e a cui siamo destinati.

Conclusione

Aveva ragione lo scrittore moralista francese secentesco La Rochefoucauld quando dichiarava: “Chi si dedica troppo alle piccole cose diventa incapace delle grandi”. In molti oggi è diffusa l’abitudine di accontentarsi, si sta bene nella banalità di un’esistenza priva di fremiti e di tensione, non si attende più “oltre”, cioè una meta più alta, una destinazione che non sia solo una qualsiasi stazione di passaggio. Non ci si emoziona più nella ricerca interiore e umana, lo sguardo non si leva più verso il cielo del desiderio e della speranza. Allora, approfittiamo di questo tempo d’Avvento, per ritrovare in noi il lievito evangelico della fiducia, la nostalgia per un orizzonte più vasto e più luminoso: l’orizzonte del nuovo sole che sorge, Cristo.

Serena domenica

+ Vincenzo Bertolone

 

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