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Sibari

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Vangelo di Domenica 5 Ottobre PDF Stampa E-mail
Scritto da don Michele   
sabato, 04 ottobre 2014 07:55
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 21,33-43.  - In quel tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio!  Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità.  E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero.  Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli? ».  Gli rispondono: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo».  E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri?  Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare.» (Nella seconda parte, in coda all’Omelia, pubblichiamo il foglio informativo settimanale della Parrocchia di San Giuseppe in Sibari e il solito commento di mons. Bertolone)
 

Da questa domenica l'abituale riflessione sul Vangelo viene fornita dai responsabili della Parrocchia di San Giuseppe di Sibari

don Michele Munno e don Nicola Francomano 

 

Riflettiamo “insieme” sulla Parola di Dio della Domenica

5 ottobre 2014

XXVII Domenica del Tempo Ordinario – A

(Is 5,1-7; Sal 79(80); Fil 4,6-9; Mt 21,33-43)

 

Per la terza domenica di seguito ritorna nel Vangelo l’immagine della vigna.

In questa domenica, però, tale immagine è centrale. Infatti, mentre due settimane fa la liturgia della Parola ci chiedeva di confrontarci con gli operai della prima e dell’ultima ora e domenica scorsa con i due figli inviati a lavorare nella vigna dal proprio Padre, oggi la Parola di Dio ci chiede di fare un passo ulteriore: da una parte ci invitata a leggere la nostra vita di fede a partire dall’immagine della vigna – che ci viene consegnata nella prima lettura e nel salmo responsoriale – e dall’altra ci chiede di confrontarci con i vignaioli, di cui si parla nella pagina del vangelo.

Prima di concentrarci sulla vigna e sui vignaioli, però, è necessario contemplare l’amore e la cura che il Padrone riversa instancabilmente sulla propria vigna!

Il profeta Isaia, nella prima lettura, canta proprio di quest’amore! Il Padrone ha ricercato per la propria vigna un fertile colle, ha instancabilmente lavorato per preparare il terreno, per dissodarlo dai sassi, e vi ha piantato le viti più pregiate ... vi ha costruito una torre e scavato un tino!

Nell’opera del Padrone possiamo riconoscere l’opera di Dio che, dal principio, crea e dice bene della sua creazione e delle sue creature!

Proprio a partire dall’infinito amore del Padrone – Dio – possiamo meglio comprendere la “delusione” di fronte ad una vigna che, anziché produrre frutti buoni, produce acini acerbi!

Attenzione però a non sminuire l’immagine!

Il Padrone non si aspetta uva buona per il proprio tornaconto, ma desidera che la vigna produca uva buona per “realizzare se stessa”.

Che senso ha, infatti, una vigna bella e curata se poi è incapace di realizzarsi portando frutti buoni?

Attualizzando l’immagine: che senso hanno le nostre celebrazioni – che si ridurrebbero a sterili cerimonie! – e le nostre pratiche di pietà se noi cristiani non portiamo frutti di opere buone? Che senso ha una Chiesa narcisista e autoreferenziale se non continua a generare e a portare, attraverso l’annuncio e una testimonianza credibile, Cristo e il suo Vangelo al mondo?

Paolo – nella seconda lettura – sembra quasi “ossessionato” dalla stessa preoccupazione, dal timore che la comunità cristiana a cui indirizza la propria lettera produca “acini acerbi” anziché uva buona, quando esorta con queste parole: “quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri”.

Gesù, nella pagina evangelica, riprende il “cantico” di Isaia e lo rilegge rivolgendosi ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo.

A questi, che avevano un ruolo di responsabilità e che avrebbero dovuto continuare a curare la vigna facendo gli interessi del Padrone, ma che in definitiva ed egoisticamente hanno ricercato solo i propri interessi e il proprio tornaconto personale, Gesù rivolge parole durissime, che dovrebbero far riflettere seriamente anche noi: “io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”!

Oggi, come cristiani e come comunità di credenti, dobbiamo chiederci se siamo consapevoli dell’amore che il Signore continuamente ha riversato e riversa su di noi, prendendosi cura di noi, e se stiamo corrispondendo al suo amore attraverso frutti di opere buone.

Chiediamocelo seriamente!

Ti ringraziamo, Signore, per il tuo ineffabile amore: aiutaci a portare frutti abbondanti di opere buone per la vita eterna!

Don Michele Munno 

 

Cliccare quì per il foglio informativo

 

 

XXVII Domenica del Tempo Ordinario

5 ottobre 2014

Il tempo del raccolto

Introduzione

In queste prime domeniche d’autunno, compresa questa XXVII del tempo ordinario, la Parola ci offre il tema della vigna e della vite. La Liturgia è in sintonia con la stagione. È questo il momento della vendemmia. Sulle nostre colline, un po’ ovunque, è in atto la gioiosa fatica della raccolta dell’uva. Le mani avvolgono con cura la vite per staccarne il grappoli e fare mosto e frutto. È il ciclo mai interrotto del dono di Dio e del rendimento di grazie dell’uomo. Perciò questa non è una realtà che ci può rimanere estranea e lasciarci indifferenti. Essa ha fornito materia ed immagini a Dio per parlarci, assunta dai profeti e da Gesù è diventata parola di Dio, tramite espressivo dei suoi misteri, linguaggio d’amore. È una ricchezza di simboli che rimanda a verità più profonde e inafferrabili. È polisemia dei simboli: la vigna è il popolo d’Israele ed è la Chiesa; è la vita stessa dell’uomo, passione e desiderio di Dio. Il padrone della vigna è Dio che manda i suoi servitori e in fine il figlio per raccogliere i suoi frutti, mentre i servitori successivi al figlio è ciascuno di noi chiamato a far fiorire la vigna del Signore. E, ancora, la fine tragica del Figlio, il suo rifiuto e il suo sacrificio, è la cronaca annunciata da Gesù della propria fine. E la delusione del Padre per i vignaioli infedeli, miopi e ostili alla venuta del Signore, mentre i nuovi vignaioli sui quali si risolve la nuova scelta di Dio è il popolo dei battezzati, il nuovo Israele, la Chiesa. Ma c’è di più. Il vino che deriva dal frutto della vigna e del lavoro dell’uomo, eterna complicità tra Dio e l’uomo che arricchisce di ogni sapore e bellezza il mondo, è a sua volta simbolo prezioso: il vino è la bevanda dell’altare, è il sangue di Cristo. E questo sacrificio è rimando a sua volta di un’altra verità: l’amore di Dio per l’uomo. Tutto si scioglie alla fine in questo dolce canto d’amore, che è insieme lamento di amore tradito e canto di amore sperato. L’innamorato deluso non conta il numero dei tradimenti, non mette sulla bilancia il peso delle frustrazioni, né spreca il suo tempo a meditare vendetta e serbare rancore. Questo innamorato è sui generis: dopo l’ennesimo rifiuto continua ad attendere e sperare che il grande oggetto della sua passione ritorni a sé, ritorni in sé. Amore di Dio e meravigliosa speranza per l’uomo.

Come un canto d’amore

“Canterò per il mio amato la mia canzone d’amore per la sua vigna…”. Ouverture di un poema d’amore, che racconta la storia di Dio con l’umanità e che ha ispirato profeti e poeti, preparando all’atto finale del canto evangelico. E Matteo nel breve spazio di una parabola, appena ascoltata in questa domenica, riproduce simbolicamente la storia di questo canto d’amore: storia di tradimenti, di infedeltà e odio, ma anche storia di una passione, quella di Dio per l’uomo, che nessuna delusione, per quanto cocente, può spegnere. Storia di una passione che non si arrende e prende sempre nuovi sviluppi, non è mai accorto di meraviglie e ricomincia, dopo ogni rifiuto ad assediare il cuore con nuovi profeti, con nuovi servitori, con il Figlio e da ultimo con le pietre scartate. Ma è anche un canto religioso, sinfonia di un’alleanza sacra, in cui la vigna è inizialmente stemma del popolo d’Israele, e da Cristo in poi lo è della Chiesa. Entrambi scelti da Dio come popoli prediletti, figli da amare e salvare. La scena parte da un quadretto piacevole: un Padrone e la sua vigna, un rapporto di fiducia e speranza fra Lui e i suoi vignaioli, attesa paziente di un raccolto fruttuoso. Ma lentamente il rapporto si logora e la fiducia e la speranza di un tempo si scioglie in lamento per un raccolto deludente e un amore tradito: i vignaioli al momento della raccolta si rivelano servitori infedeli e disobbedienti. Sorprendente è scoprire però che alla fine il lamento non si scioglie in un fallimento: il Padrone non soccombe alla delusione, continua ad amare e dare ad altri la possibilità di ricevere ed accogliere. Dio continua ad attendere, perché il dolore per le aspettative deluse non prevale sulla speranza del bene che l’uomo può ancora fare; il rifiuto ripetuto dell’uomo non provoca la chiusura dell’amore di Dio, anzi rimette in circolo con più vigore quest’amore. Sembra quasi che il fallimento dell’uomo faccia risplendere ancora di più la misericordia di Dio. E questo è possibile perché agli occhi di Dio il frutto di domani conta più del rifiuto di ieri, il bene potenziale racchiuso nel cuore di ciascuno vale più della sconfitta patita. Dunque, il cuore di Dio è una porta sempre aperta, una possibilità mai disattesa. Niente può impedire ciò, neppure la negazione di Cristo, anzi Gesù, pietra scartata dai costruttori e vite strappata violentemente alla terra, Dio ha lasciato che divenisse: testata d’angolo, fondamento solido sul quale poggiare l’edificio della Chiesa e dell’animo umano; Vite rigogliosa dalla quale pendono i tralci più abbondanti e gustosi.

Accogliere e donare

Canto d’amore e canto religioso, quindi, quello della parabola dei vignaioli, ma anche canto autobiografico. Gesù intona il poema della sua storia: storia umana e divina, storia di morte e di vita, storia di umiliazione e salvezza, di grande sacrificio ed estrema passione. Egli infatti sente incombere su di sé la morte, la respira nelle manovre e nei complotti degli avversari che gli stanno attorno. Misteri di peccato e di oscurità che ancora oggi si ripetono per quanti scelgono di vivere, agire, sentire e parlare in imitatioChristi, facendosi cioè una sola cosa con la persona del Divino Maestro. Tanti volti non più distinti da quello di Cristo, che arsi dall’amore per il Padre e il Figlio, ostinatamente continuano a lavorare alla loro vigna. Costoro ci insegnano a guardare al di là delle delusioni e delle sconfitte del momento, a puntare il punto dell’orizzonte dove nasce la nuova luce dell’alba eterna, che mette in fuga le tenebre della notte. È l’eterna speranza del Padre che riesce a far spuntare un altro fiore di vita dalle macerie del male, dal sangue della violenza, dalle contraddizioni scandalose della storia. E la storia di queste tante meravigliose rinascite non è storia mitica, non si perde nella notte dei tempi. Il suo inizio è collocato nel flusso temporale della storia dell’uomo, quando Dio nel figlio Gesù fa il suo ingresso ufficiale nella storia degli uomini: non più come tenda o tempio in mezzo al suo popolo, ma come Persona viva e vera che cammina tra le persone del suo popolo. L’incipit però non è segnato da un accoglienza gioiosa, ma da un secco “no”. Il “no” a Cristo si è trasformato nel nuovo “sì” di Dio alla salvezza dell’uomo, dalla Sua morte è nata per noi la nuova vita. Dalla umiliazione della croce è esplosa la luce gloriosa della Resurrezione. Tutto ciò reca la firma di Dio, è Lui, unitamente al Figlio, il solo artefice dell’amore che ci ha fatti tutti salvi. Un amore illogico: che continua a donare senza ricevere; che si appassiona per ogni uomo anche a fronte di cocenti delusioni e fallimenti; che attende pazientemente la possibilità dei buoni frutti; che non ricerca il proprio interesse e il proprio utile, ma desidera l’interesse dell’altro. La passione e il desiderio di Dio, infatti, il frutto tanto atteso non appaga il suo piacere, ma ricerca il soddisfacimento del bisogno dell’uomo. E Dio che conosce bene l’animo umano sa che il bene per l’uomo è il recupero della propria umanità, la ricostruzione del suo volto più autentico, quello che reca in se i tratti della sua divinità. Ecco il più grande desiderio di Dio, il raccolto sperato e atteso è che l’uomo recuperi la sua integrità, la sua dignità, la sua santità. Questo è il prezzo per l’uomo dell’amore di Dio, questo il motivo del patimento divino e l’oggetto del suo desiderio: che l’uomo ritorni alla sua primigenia natura. Allora il vero protagonista della parabola e del poema d’amore cantato dai profeti e ripreso nei Vangeli, e annunciato e tramandato dalla Chiesa, è sempre l’amore di Dio e il suo desiderio per l’uomo. Nel canto dei profeti si traduce in canto di eterna fedeltà del Padre, non scalfita dalle delusioni umane; nel canto dei Vangeli è l’ultima parola d’amore di Dio che si fa Persona in Cristo e che fino alla fine dei tempi attenderà il frutto più maturo dell’uomo: il raggiungimento della sua santità.

Conclusione

La trama dell’amore di Dio non è complicata. Essa non ci parla di una relazione intimista, è personale ma non esclusiva. Gli innamorati del Padre e del Figlio, infatti, non sono gelosi custodi del loro rapporto, ma quanto più intenso esso diventa tanto più c’è il desiderio di condividerlo e farlo conoscere. Per questo il frutto atteso da Dio, il raccolto sperato è l’uomo capace di far fiorire la terra. È una vigna rigogliosa e abbandonante, aperta a sfamare i bisogni di ogni uomo materiali e spirituali. Ecco cosa significa accogliere i doni di Dio: coltivarli, renderli abbondanti perché a loro volta siano donati. Senza il ciclo eterno dell’accoglienza e del dono la terra diventerà un deserto arido. Diceva F. Mauriac: “Il giorno in cui tu non brucerai d’amore per il Cristo, molti accanto a te moriranno per il freddo”.

Serena domenica

             + Vincenzo Bertolone

 

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