Vangelo di Domenica 3 Agosto |
Scritto da P.Curtaz | |
domenica, 03 agosto 2014 08:57 | |
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 14,13-21. - In quel tempo, quando udì della morte di Giovanni Battista, Gesù partì su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città. Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù rispose: «Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare». Gli risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qua». E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (03/08/2014) Vangelo: Mt 14,13-21
Il miracolo della condivisione
Abbiamo fame, tanta. Non la fame di cibo. Quella, almeno in occidente, è lasciata al passato. Fame di significato, di senso, di pienezza, di felicità, di pace. Possiamo interpretare la nostra vita come una ricerca di sazietà: affetti, soddisfazioni, gioie... tutto quello che facciamo, a pensarci bene, serve a colmare quella fame profonda, assoluta, che alberga nei nostri cuori. Gesù vede la nostra fame profonda. Sa che non abbiamo in noi stessi la risposta alle grandi domande. Sa che corriamo il rischio, come i deportati in Babilonia della prima lettura, di accontentarci dell'oggi, senza avere più sogni, senza desiderare più nulla. Per sei volte gli evangelisti parlano della moltiplicazione dei pani. È un miracolo fondamentale, non tanto per la potenza del gesto, quanto per l'intensità del suo significato. È un atteggiamento profondo, il termine greco soggiacente ha a che fare con le viscere, un sentimento di profonda condivisione. Se Dio prova compassione per noi certamente risolverà il problema!
In esilio Isaia promette al popolo in esilio un pane gratis che sfamerà ogni cuore. In realtà il popolo, in esilio da ormai cinquant'anni, ha la pancia piena. Si è integrato, ha comperato case in Babilonia, nessuno pensa più seriamente di tornare ad una terra che non ha mai visto. Pochi torneranno, dopo l'editto di liberazione e non troveranno pane e miele, ma difficoltà e odio. Anche noi, a volte, ci accontentiamo delle piccole e temporanee sazietà che la vita ci offre. Pensiamo di avere capito e fatto tutto perché siamo riusciti a realizzare qualche sogno. Quanto è difficile suscitare fame in chi ha la pancia piena! La fame di senso, di felicità, di pace a chi si accontenta della piccole (legittime) gioie che la vita ci offre! Il primo passo verso la conversione è la consapevolezza del desiderio felicità profonda che portiamo nel cuore.
Folle Ha compassione, il Signore, ama il popolo, sa di cosa abbiamo bisogno. Non è distratto il nostro Dio, non se ne sta sulle nuvole a governare le formichine. Eppure, davanti alla folla, il Signore non agisce, ma chiede ai suoi di agire. Con tanto buon senso i discepoli gli suggeriscono di ignorare il problema: ognuno si arrangi. Non è forse il messaggio che il mondo ci riporta ogni giorno? Gesù non ci sta: la fame si può saziare, quella fisica e quella interiore, ma ad una sola condizione: mettersi in gioco.
Pani e pesci Non siamo capaci, non abbiamo i mezzi, non abbiamo sufficiente fede, abbiamo troppa zizzania nel cuore. Ogni scusa è buona per aggirare la richiesta. Gesù insiste: a lui serve ciò che sono, anche se ciò che sono è poco. La sproporzione è voluta: pochi pani e pesci per una folla sterminata; è una situazione che produce disagio, sconforto, la stessa sensazione che proviamo noi quando cerchiamo di annunciare la Parola, di porre gesti di solidarietà, di bene. Incontro i miei ragazzi e sto con loro un'ora a settimana: giochiamo, parliamo, annuncio loro il bel modo di vivere che aveva Gesù. Poi escono, e per un'intera settimana sentiranno e vivranno il contrario: violenza, egoismo, opportunismo. Vivo come uomo di pace e i miei colleghi d'ufficio ne approfittano e mi fregano. Consacro la mia vita al Vangelo, corro come un pazzo da una Parrocchia all'altra e la gente pensa che io sia una specie di funzionario del Vaticano. No: il nostro è gesto fecondo se accompagna l'opera di Dio, è segno profetico che imita l'ampio gesto del seminatore, è icona di speranza che imita la pazienza verso la zizzania del padrone del campo.
L'altro pane Matteo, nel raccontare il gesto di Gesù, allude chiaramente all'eucarestia della comunità. Troviamo la forza per metterci in gioco, per condividere quel poco che siamo solo e a condizione di attingere al gesto straordinario di Gesù che, lui per primo diventa cibo. Anche noi, come Cristo, possiamo diventare pane spezzato per gli altri!
Paolo Curtaz |
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