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13 Aprile Domenica delle Palme PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
sabato, 12 aprile 2014 13:04
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 26,14-75.27,1-66 - Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: «Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d'argento. Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnarlo. Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?».Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: «In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà».Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà.

Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!».Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l'hai detto».

Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo». Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio». E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

ImageAllora Gesù disse loro: «Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge, ma dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea». E Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai». Gli disse Gesù: «In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte». E Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò». Lo stesso dissero tutti gli altri discepoli.

Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: «Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me?

Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole».

E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà». E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina».

Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo.

ImageIl traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!».

E subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio. Allora Gesù gli disse: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono. Or quelli che avevano arrestato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale gia si erano riuniti gli scribi e gli anziani. Pietro intanto lo aveva seguito da lontano fino al palazzo del sommo sacerdote; ed entrato anche lui, si pose a sedere tra i servi, per vedere la conclusione.

I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per condannarlo a morte; ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur essendosi fatti avanti molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: «Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni».

Alzatosi il sommo sacerdote gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l'hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico: d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo». Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «E' reo di morte!». Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano, dicendo: «Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?». Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». Ed egli negò davanti a tutti: «Non capisco che cosa tu voglia dire». Mentre usciva verso l'atrio, lo vide un'altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». Ma egli negò di nuovo giurando: «Non conosco quell'uomo».Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: «Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!».Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell'uomo!». E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: «Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte». E uscito all'aperto, pianse amaramente.

Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire. Poi, messolo in catene, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato. Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «Che ci riguarda? Veditela tu!».

Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi.

Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: «Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue». E tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu denominato "Campo di sanguè'fino al giorno d'oggi. Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato,

e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore.

Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l'interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose «Tu lo dici». E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla. Allora Pilato gli disse: «Non senti quante cose attestano contro di te?». Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore.

Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: «Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?».  Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia. Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua». Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò: «Chi dei due volete che vi rilasci?». Quelli risposero: «Barabba!». Disse loro Pilato: «Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?». Tutti gli risposero: «Sia crocifisso!».

Ed egli aggiunse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora urlarono: «Sia crocifisso!». Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli».

Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso. Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte. Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto

e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: «Salve, re dei Giudei!».

E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo.

Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo.Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui. Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa luogo del cranio, gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere. Dopo averlo quindi crocifisso, si spartirono le sue vesti tirandole a sorte.

E sedutisi, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: «Questi è Gesù, il re dei Giudei». Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra. E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: «Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!». Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: «Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. E' il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo. Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra.

Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!». E Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».

C'erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra costoro Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo. Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatèa, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù.

Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo

e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e l'altra Maria. Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo: «Signore, ci siamo ricordati che quell'impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò. Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: E' risuscitato dai morti. Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima!».

Pilato disse loro: «Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete».

Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia.

 

Domenica delle Palme

13 aprile 2014

La gloria della Croce 

Introduzione

Questa domenica, in cui celebriamo l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, apre quella che per le Chiese Orientali è la “Grande Settimana”, e per noi “ Santa”, per eccellenza, e per l’antico rito ambrosiano la “Settimana Autentica”. È una grande sinfonia quella della domenica delle Palme che si concluderà con l’alleluia pasquale. È un’unica celebrazione del mistero di Cristo. Tutte espressioni forti per dire che stiamo entrando nel cuore dell’anno liturgico, in cui la Chiesa dispiega, come non mai, il Vangelo delle sue meraviglie. Già con le letture di oggi, infatti, iniziamo a celebrare il Triduo Pasquale, cioè quel periodo breve che richiama l’espressione biblica “dopo tre giorni” (Cfr. Os 6,2; Gio 2,1; Mt 12,40), durante i quali ricorderemo e contempleremo i misteri della passione, morte e resurrezione di Cristo. In questa domenica troviamo tutto ciò che accadrà nella prossima settimana: troviamo infatti gli annunci della gloria e dell’umiliazione a cui è andato incontro il Cristo nel suo ultimo tratto di vita terrena. I nomi, con i quali i libri liturgici definiscono questa domenica, “Domenica delle Palme, della Passione del Signore”, danno il senso di questo duplice mistero. Infatti, in essa ricordiamo la fine dell’umanità di Cristo e l’inizio della sua regalità: l’accoglienza trionfale con cui Egli fu acclamato entrando in Gerusalemme e, a pochi giorni di distanza, le umiliazioni e la passione che avranno termine solo con la morte in croce. Più che orientarci nella comprensione del mistero umano e divino di Cristo, sembrerebbe che questa Parola ci disorienti, per lo stridente contrasto che Essa presenta. Eppure, questi due momenti, del trionfo e della morte , sono i volti di una stessa medaglia: le due maniere con le quali si dispiega il mistero di Cristo. È il canto della “gloria della croce” ( U. Van Balthasar), ovvero attraverso lo l’inimmaginabile contrasto dell’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme si può intravedere la croce sul cammino del trionfo, mentre con la proclamazione della Passione di Cristo è possibile presentire la gloria sul cammino della croce.

 Un ingresso trionfale

Iniziamo dai riti che danno avvio alla celebrazione della Domenica delle Palme: la benedizione dei ramoscelli d’ulivo e i cortei gioiosi che si dirigono verso le nostre chiese per celebrare i Sacri Misteri. Cortei che ricordano quello che, al canto dell’Osanna, accolse trionfalmente Gesù che entrava a Gerusalemme. È già qui troviamo la prima contraddizione. Lo stesso Gesù, che in altre parti del Vangelo abbiamo visto darsi al nascondimento non appena cominciava a trapelare tra la gente il proposito di proclamarlo re, oggi accetta e lascia che gli venga tributato il trionfo e lo fa proprio quando all’orizzonte si addensano le ombre scure della passione e della morte. Quella stessa città che oggi lo vede entrare trionfalmente, da lì a poco lo vedrà uscire con un legno sulle spalle, in un corteo non più festoso, ma malevolo e ostile.

A cosa va incontro trionfalmente Gesù in questa domenica? Va incontro alla sua morte, e come se Egli stesso ci volesse far celebrare ed esaltare in anticipo l’evento, l’ora che finalmente è “giunta”. Ecco perché i due momenti del trionfo e dell’umiliazione non vanno separati. Pensiamo al grottesco di una Chiesa, o di una cristianità, che contasse di sfuggire proprio attraverso le vie del trionfo, del potere, del successo e del consenso materiale ed esterno, all’inevitabile passione. L’incomprensione, il conflitto, la sofferenza, la passione stanno alla Chiesa come le doglie a una madre, come il marcire del seme sotto terra al maturare e fiorire della pianta. Ma Cristo, in questa domenica, va incontro soprattutto alla Sua resurrezione. Guai ugualmente a quella religiosità che, tutta persa, in un ripiegamento quasi masochistico, nell’idea della passione e della morte, dimenticasse la sua vera missione, che è quella di annunciare la resurrezione, di annunciare che è la vita a vincere, è la tomba vuota di Dio a trionfare sulla morte. Perciò, il vero trionfo ad essere celebrato, nella prima parte della nostra Liturgia delle Palme, è il trionfo della croce, passaggio necessario per ottenere la vittoria della vita.

 Il trionfo della vita e dell’amore

All’Osanna iniziale fa seguito il grido furente del “Crucifige!”. Un forte contrasto che tuttavia, apre la strada alle celebrazioni della “Settimana Santa”. Infatti, la lettura e l’ascolto della Passio Christi, in questa domenica di festa, è la via migliore per lasciarci pervadere dal clima dei misteri pasquali, per sentirci sollecitati a viverli con pienezza. È vero: le parole del Vangelo di Matteo di oggi, sono note sin dall’infanzia, eppure ogni volta che le riascoltiamo, si rinnova quella sensazione di profondo e arcano turbamento, che lascia il nostro animo come trasformato. Giacché la storia della Passione di Cristo non ci lascia indifferenti, in quanto Essa è la nostra storia, è la storia della nostra salvezza. I fatti che vi si narrano, infatti, a ritmo incalzante, sono nostri, ci riguardano, ci coinvolgono intimamente, poiché ad essi dobbiamo ciò che siamo, e ciò che siamo destinati ad essere, cioè salvati. Per questo è necessario ricordare ogni anno questo mistero di morte, come scriveva Sant’Agostino, “…per non dimenticare, ciò che è accaduto una sola volta” è ci è valso la garanzia di una salvezza imperitura. “Per non dimenticare…”. È questo un dovere fondamentale per chi consideri chi è Gesù, per chi rifletta sulle ragioni degli avvenimenti che oggi ricordiamo. Egli è, ci dice la profezia richiamata da Matteo quando racconta dell’ingresso trionfale a Gerusalemme, il re della “figlia di Sion”, che viene “mite”, spinto dall’ “amore”, a liberare e salvare. “Per non dimenticare…”. Che Gesù ha sofferto ed è morto per amore nostro. Infatti, la sua morte è adempimento libero ad una volontà d’amore superiore, quella del Padre, il quale ci insegna ad assolvere al primo dovere del vero amore: essere con l’amato. Per questo Gesù, umiliato, percosso, crocifisso è ancor prima che paradigma di sofferenza, paradigma d’amore. La croce di fatto è l’abisso dove Dio diviene l’amante, genesi perfetta di Dio fra gli uomini. Questo dicono le parole pronunciate da Paolo nell’inno della lettera ai Filippesi: “… pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, divenendo simile agli uomini” (2,6-7). Ma l’amore dell’Amante oltrepassa smisuratamente le attese dell’amato, facendosi non solo simile a lui, ma sostituendosi alla sua stessa morte, alla sofferenza, riscattandolo, da innocente, da quel peccato che condanna alla morte eterna: “…umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte” (2,8). Di fronte al Crocifisso dell’amore, tenero Amante ingiuriato, vilipeso, straziato nelle carni, non può che fiorire la fede, la sola risposta possibile dell’amato: “No, credere a Pasqua non è/giusta fede:/troppo bello sei a Pasqua!/Fede vera è al venerdì santo…/Quando non un’eco/risponde/al tuo alto grido” (D.M. Turoldo). Se, dunque, vogliamo conoscere il vero volto dell’Amante è necessario contemplare il volto di Dio crocifisso, perché è in quei tratti sfigurati che si possono contare i segni di un smisurato amore. Ma il Cristo Crocifisso ci apre ad altre speranze. Le su braccia inchiodate e distese, in un abbraccio eterno, sono le porte aperte dell’Eden spalancate per sempre; sono cuore dilatato fino a lacerarsi, effluvio di ogni grazia; sono accoglienza di ogni creatura; alleanza con tutto ciò che vive. Travaglio e nascita dell’uomo in Dio. Infatti, come l’amato rinasce dalle ferite del cuore di chi lo ama, così l’uomo nasce dal cuore trafitto del suo Creatore, e si riscopre vero uomo, realizzando pienamente la propria umanità nell’atto della donazione di sé agli altri. Allora la croce è davvero la gloria di Dio, l’ora gloriosa del trionfo dell’Amore e della Vita vera. Per penetrare questi misteri d’amore e di vita bisognerebbe sostare in silenzio, in ascolto, con quel “cuore liquido” dei santi di cui parla il Curato d’Ars, cuore cioè capace di intenerirsi per l’amore con il quale Gesù ha sofferto e perdonato. Se poi, leggendo il racconto della passione, abbiamo la grazia di intuire già i segni di gloria, preludio di quella pasquale, la pietà e la commozione si dischiudono alla speranza. Nasce così la fiducia che la gloria non è al di là della prova, ma è già nel momento oscuro e faticoso: si svela attraverso l’amore, il perdono, la capacità di uno sguardo e di una carezza che sanno di misericordia. La volontà, insomma, di donarsi servendo e con-soffrendo con gli altri e per gli altri. Vuol dire, in definitiva, perdere la vita e scoprire che ogni croce accettata per amore è già un’epifania di gloria.

 Conclusione

“La settimana santa è il cuore del Vangelo, il punto più santo dei misteri, la fonte delle grazie, il trionfo della misericordia divina” ( San Giovanni Crisostomo). Siamo di fronte ,oggi, al trionfo dell’umiltà, della modestia, della mitezza, dell’amore e non della potenza . È il giorno del trionfo della bontà. Il ramoscello d’ulivo che porterete a casa sia segno di Cristo nostra pace sia per ognuno di noi un richiamo ad essere come Cristo miti ed umili di cuore, costruttori di pace con la franchezza dell’annuncio, la trasparenza del servizio e la gratuità dell’amore. In un appassionato e immaginario soliloquio sulla croce, il Cristo di A. Merini pronuncia, rivolgendosi al Padre, queste parole: “Io, che sono giusto, amo l’uomo e ti chiedo perdono attraverso questa lenta agonia che dura nei secoli per il mondo. Ecco, Signore, io ti rendo il mio spirito in forma di bianca colomba che volerà verso il cielo” (Poema della Croce). Ma quella colomba non resterà presso il Padre, scenderà sulla terra e feconderà di Spirito nuovo tutta l’umanità, facendo fiorire il meraviglioso giardino di Dio. Ecco perché non possiamo lasciare che questa settimana trascorra come una settimana qualsiasi. In essa, infatti, si compiono i giorni del nostro destino, i giorni della “vendetta di Dio”. quando Dio si vendica di tutta la lontananza, di tutta l’indifferenza, di tutta la separazione, e inventa la croce, espressione massima dell’amore, per sollevare la terra, abbassare il cielo e raccogliere l’umanità ovunque dispersa.

Serena domenica.

           + Vincenzo Bertolone

 


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