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Le donne nella Storia, Marozia (part 2) PDF Stampa E-mail
Scritto da Galatea   
mercoledì, 19 febbraio 2014 08:07
ImageMarozia, la papessa della pornocrazia “Bella come una dea, focosa come una cagna.” Fulmineo è il ritratto che di Marozia fa Liutprando di Cremona, vescovo e suo avversario politico: un ritratto che, se pur pregno di acredine, non può far a meno di sottolineare il fascino di questa donna che contende il titolo di dark lady del Papato a Lucrezia Borgia, e per molti versi surclassa la rivale. Del resto se c’è un personaggio storico del Medioevo che potrebbe dare dei punti a quelli della saga fantasy di Games of Thrones, questa è lei, Maria dei Teofilatti, detta Marozia: amante e madre di papi, moglie di aspiranti re d’Italia, adultera, spergiura, assassina, ingannatrice, esponente di spicco di quella che gli storici hanno chiamato la “pornocrazia romana” , e presunto modello di quella Papessa Giovanna che le leggende medievali volevano essersi travestita da uomo per salire al Soglio di Pietro.

Quando appare per la prima volta alla ribalta della storia ha solo quindici anni, ma è già amante di un Papa, che peraltro è anche suo cugino, Sergio III. I due non si nascondono nemmeno, nella Roma papalina del 910 d.C. Marozia vive more uxorio in Laterano, come concubina ufficiale del pontefice, che è diventato papa dopo essere stato vescovo di Fiumicino, e, secondo alcuni, perché figlio naturale di un suo predecessore, Benedetto III. Era così la Roma di quegli anni, in quello scorcio di Medioevo che, chissà perché, tutti si figurano sempre come cristianissimo, pudicissimo e popolato di

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Marozia, incisione del tempo
bigotti, e invece era un periodo in cui per i Papi era normalissimo piazzare le amanti in Laterano come se fosse la cosa più naturale del mondo, avere da loro figlioli, e farli diventare Papi per diritto ereditario. La famiglia di cui Marozia fa parte, del resto, è una delle più potenti dell’Urbe, ed è abituata a fare e disfare papi con la stessa facilità con cui le massaie cambiano le lenzuola al letto di casa. Teofilatto, il padre, e Teodora, la madre, sono noti per la loro condotta disinibita, sia politicamente che sessualmente: non v’è da dubitare quindi che a mettere Marozia nel letto di Sergio III siano stati loro, dandole anche buoni consigli su come restarci a lungo e ottenere dal maturo amante ogni genere di favori. Nel 910 a Marozia nasce un figlio, Giovanni. Chi sia il padre del bimbo non è ben chiaro: il candidato più probabile è proprio papa Sisto III. Ma qualcosa si è rotto negli equilibri familiari, politici e anche sessuali della coppia, perché poco dopo la nascita del bambino, Marozia comincia a mostrarsi insofferente nei confronti dell’amante. Forse ha già intrecciato una relazione con Alberico di Spoleto, ambizioso cavaliere di origine germanica che s’è conquistato un ducato ed è amico del padre di Marozia, Teofilatto. Marozia diviene la compagna ufficiale del neoduca e poi moglie nel 915, dopo che l’anziano Sergio III ha tolto il disturbo, morendo di una morte così repentina ed opportuna da far sospettare che Marozia lo abbia tolto di mezzo con il veleno. Fatto sta che, dopo le nozze, Alberico legittima come suo Giovanni, e i due hanno diversi altri figlioli: un altro Alberico e poi Costantino, Sergio e Deodato. A Roma Teofilatto, Teodora ed il nuovo genero gestiscono il potere: fanno e disfano i Papi, scegliendo una serie di figure scialbe e senza gran carisma, che obbediscono ai loro ordini. Finché al soglio di Pietro non viene eletto Giovanni X. Arriva al potere sempre come protetto
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Papa Sergio III
dei Teofilatti e di Alberico, e forse perché amante della matriarca della famiglia, Teodora; ma al contrario dei predecessori, questo prelato ex vescovo di Ravenna che si dice abbia sedotto Teodora nel corso di un’ambasciata e l’ha convinta a chiamarlo nell’Urbe per non essere troppo distanti, ha carattere ed ambizione, per cui vuole giocare in politica in proprio, e non essere il fantoccio di nessuno. Comincia quindi a tessere alleanze che a Teofilatto, Alberico e Marozia sembrano pericolose: in palio, oltre che il potere a Roma, c’è anche il titolo di Re d’Italia. Giovanni, ancora alleato dei Teofilatti, lo attribuisce a Berengario del Friuli, che incorona a Roma con grande sfarzo. Poi mette in piedi una grande Lega Cristiana per combattere i Saraceni, che hanno fondato avamposti in Campania e nel basso Lazio. Con l’ausilio della flotta bizantina, gli Arabi sono sconfitti e scacciati. Gli equilibri incerti della politica italiana reggono per alcuni anni, ma poi Berengario ha la pessima idea di farsi uccidere dagli Ungari, e la corona d’Italia diviene di nuovo vacante. Alberico di Spoleto e Marozia ci fanno un pensiero su, ma il Papa non li appoggia come si sarebbero aspettati. Giovanni forse non ama l’idea di avere in casa un Re d’Italia, dato che Alberico e gentile signora sono già tanto ingombranti essendo dei semplici duchi. Fatto sta che i rapporti si fanno tesi e poi si rompono del tutto, ed Alberico con le sue truppe organizza un colpo di mano per impadronirsi di Roma. Giovanni però non si arrende: pur se momentaneamente cacciato, si riorganizza e riprende la città. Alberico è costretto a riparare ad Orte, dove muore nel 924, perché il popolo della città, sobillato dal Papa, si ribella e lo ammazza. A questo punto le carte a Roma sono del tutto sparigliate: Teofilatto e Teodora sono morti, Marozia è vedova e all’angolo, e Giovanni pare il vincitore della partita. Ma il destino ha altri progetti. I principi italiani eleggono Re d’Italia Ugo di Provenza, e non chiedono al Papa nemmeno un parere. Mentre Giovanni cerca di parare il colpo e prende cauti contatti prospettando a Ugo di poter riconoscere il suo titolo, Marozia non perde tempo, sale sul carro del vincitore, decide di sfruttare a suo vantaggio la circostanza di essere momentaneamente single, e seduce e sposa subito Guido duca di Toscana, fratello di Ugo, il nuovo re.

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Papa Stefano VIII
Papa Giovanni X capisce che le cose si stanno mettendo malissimo. Nomina di corsa difensore del Papato suo fratello Pietro, Ma Guido e la moglie attaccano Roma. Pietro si dimostra incapace di difendere il fratello ed il potere: perde la battaglia, non riesce ad avere i soccorsi dagli Ungari e muore. Il fratello papa, Giovanni, viene catturato e chiuso da Marozia e Guido in Castel Sant’Angelo: morirà l’anno dopo, forse di veleno, un’arma che Marozia usa sempre volentieri per far fuori i Papi quando le sono venuti a noia. A questo punto Marozia ha vinto, vinto, vinto su tutta la linea: é lei la signora di Roma, assieme al nuovo marito. Si fa nominare senatrice dell’Urbe, come era stato il padre, e riprende le allegre consuetudini di famiglia, disponendo a suo piacimento l’elezione dei papi. Salgono così al soglio gli scialbi ed inutili Leone VI e Stefano VII: l’uno un vescovo piuttosto anziano, di cui forse Marozia fu anche amante: unico atto degno di nota del suo pontificato fu una lettera inviata ai vescovi della Croazia in cui li pregava di non litigare fra loro; l’altro, che durò in carica pochi mesi, non scrisse nemmeno una lettera, e viene ricordato solo per non aver mosso un dito o emesso un fiato quando Marozia fece uccidere, nelle segrete di Castel Sant’Angelo dove era rinchiuso, Giovanni X. Del resto nei piani di Marozia i due pontefici dovevano essere semplicemente dei segnaposto, messi lì a scaldare il seggio di Pietro finché Giovanni, il suo primogenito, non avesse raggiunto una età appena appena decorosa per poter divenire papa. Ha ventun anni appena compiuti, infatti, quando prende il nome di Giovanni XI e mette al dito il sigillo papale. Ma non è la giovane età il problema principale, quanto il suo essere totalmente succube della madre, senza la quale non prende decisioni e forse nemmeno respira. Marozia si trasferisce in Laterano come una padrona assoluta: figlio e marito le ubbidiscono senza un fiato, e lei comanda. Non è giovane, forse non è più nemmeno così bella, e di certo il suo fascino non è dovuto alla cultura, perché, assai probabilmente, come la madre era assolutamente analfabeta. Ma Marozia è una donna che ama il potere per il potere, e se stessa sopra tutto. Ha una volontà in grado di piegare le montagne, ed un carattere che non recede mai: è già risorta tante volte quando il mondo la dava per spacciata, quindi ora non si pone freni, né li accetta. Ma il Destino, si sa, è sempre pronto a fare tiri birboni. E così quando Marozia si trova al massimo della gioia, che per lei consiste nell’essersi ormai impadronita del potere assoluto, il marito Guido muore. Anche qui, Marozia non si perde d’animo: la sua bellezza è ancora notevole, il suo potere intatto sulla città, e la sua astuzia politica spregiudicata. Quindi non fa a tempo a seppellire Guido che già manda al fratellastro Ugo di Provenza, Re d’Italia, una lettera in cui lo chiede in marito.

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Papa Giovanni XI
Ugo, che è rimasto da poco vedovo anche lui, accetta subito. C’è qualcosa di strano in questo matrimonio così bislacco e precipitoso. Ugo infatti deve superare un bell’impiccio: Marozia è sua cognata, vedova del fratello Guido. Il matrimonio non potrebbe essere considerato lecito per le regole della Chiesa. Qui il colpo di scena: Ugo, per ottenere la dispensa, è disposto a giurare di essere figlio illegittimo di suo padre, e quindi non fratello del defunto Guido. Perché un uomo della sua levatura decide di dichiarasi bastardo, infangando la memoria dei genitori, per poter sposare Marozia? Solo per poter mettere le mani su Roma? Solo realizzare con un colpo di fortuna e un matrimonio il sogno di tutti quelli che han cercato nel Medioevo di governare l’Italia, cioè prendere Roma senza avere come oppositore il Papa? Può darsi. Oppure il fascino di questa donna ha qualcosa che va al di là di tutto, ed è più forte persino delle prospettive politiche che il suo appoggio assicura. Marozia, la donna a cui nessun uomo, sia papa, vescovo, duca o re, sa resistere. Il povero Giovanni XI figuriamoci se è in grado di opporsi: è vissuto all’ombra della madre, e neppure sospetta che possa esserci un’altra maniera di stare al mondo se non assecondandola in tutto e per tutto. Anzi, celebra giulivo le nozze , e Marozia diviene così Regina d’Italia. Ed è qui che accade ciò che Marozia mai avrebbe potuto preventivare: lei che aveva sempre trattato gli uomini come burattini e considerato i figli come creature sue, nate per assecondare i suoi disegni, si ritrova a dove fare i conti con l’opposizione di Alberico, il suo secondogenito, divenuto duca di Spoleto. Alberico dalla madre deve aver ereditato il carattere deciso e soprattutto l’idea che il potere non si spartisce con nessuno, tanto meno con un nuovo patrigno troppo ingombrante. Cala su Roma, infatti, che considera come una sua dependance: caccia Guido e chiude il fratello Giovanni in Laterano, imponendogli di fare solo il Papa e il vescovo della città, cioè di occuparsi delle anime dei Romani, perché al resto, al Governo dell’Urbe, ci pensa lui. Giovanni, che come al solito brilla per determinazione, si ritira in buon ordine: ha ventidue anni, e solo tre anni dopo morirà, senza aver peraltro mai essere riuscito a dimostrare di essere stato vivo.

E Marozia? Che fine fa? Che le accade? In realtà non si sa e non si capisce bene. Il figlio la fa chiudere in un qualche convento di clausura, allontanandola dalla sola cosa per cui era vissuta, il potere. Lei ne è probabilmente svuotata, perché si affloscia, non emette un fiato. Di questa donna che aveva passato la vita sul palcoscenico, abituata ad essere al centro degli eventi e a vivere ogni cosa in pubblico, la morte è così privata che neanche ci è dato sapere quando sia avvenuta di preciso. Muore, senza un fiato, senza un lamento, dopo essere stata tradita da suo figlio e relegata nell’ombra. Ma la sua esistenza così sopra le righe, così sfrenata e paradossale, la sua volontà indomita, la sua capacità di trasgredire ad ogni regola e ad ogni comandamento, farà nascere la leggenda nera della Papessa Giovanna, la giovane che si finge un maschio per farsi eleggere Papa, e viene poi scoperta perché durante una funzione ha le doglie e partorisce il figlio avuto da un amante. Ecco, Marozia non si era finta uomo e non era stata eletta papa, ma tutto il resto sì, lo aveva fatto: aveva comandato Roma e per poco l’Italia tutta, amministrando con fredda determinazione figli, amanti e mariti; si era fatta signora e unica padrona, in un mondo di uomini, senza curarsi di nulla, solo per seguire la sua enorme ambizione. Si era comportata come un uomo di quei tempi, e pochi degli uomini dei suoi tempi le erano stati alla pari. Sarebbe stata un Papa perfetto per la Roma di allora, in fondo.

Galatea

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