Vangelo: IV Domenica d'Avvento |
Scritto da +V.Bertolone | |
domenica, 22 dicembre 2013 08:05 | |
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 1,18-24. IV Domenica d’Avvento 22 dicembre 2013
Un meraviglioso mistero Introduzione A otto giorni dal Natale, la liturgia della parola di questa IV domenica d’Avvento ci invita a contemplare il Natale teologico, cioè il significato profondo dell’evento che celebriamo il 25 dicembre. Si tratta di un progressivo svelamento: parte da una profezia, “Il Signore stesso darà un segno. Ecco: la Vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele: Dio-con-noi” (Is 7,10-18) e si conclude con l’annuncio perentorio e rassicurante che questa volontà di Dio ha trovato compimento: “Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, della stirpe di Davide” (Mt 1,18-24); attraversando una convinta certificazione di fede e d’identità, “Gesù Cristo, della stirpe di Davide, figlio di Dio” (Rm 1,1-7). Tutto si concentra su una ripetizione di espressioni di cui il significante supera il significato stesso. Si parla di “casa” o di “stirpe di Davide”, si fanno due nomi, Emmanuele e Gesù, si fa riferimento ad una Vergine e ad un futuro sposo, Giuseppe. Insieme queste espressioni svelano il mistero del Natale: Dio in Gesù Cristo si è fatto l’Emmanuele, il Dio-con-noi. In altri termini, Dio stesso nel grembo di una donna, con la potenza dello Spirito Santo, si è rivestito di umanità e, nella docile accoglienza di un padre, ha fatto sì che questa umanità fosse radicata e riconosciuta nell’alveo di una storia precisa. Un fatto naturale, come può essere la nascita e il riconoscimento di un figlio, accoglie l’evento più grande e inatteso della storia umana: Dio è diventato un uomo come noi, rivelandoci il suo immenso amore e la sua volontà di salvezza. Non solo nomi Le espressioni che ricorrono nelle letture di questa domenica hanno una forte valenza connotativa, ovvero rimandano ad altre realtà, le quali garantiscono la veridicità di quanto crediamo, professiamo e testimoniamo. Si parte dall’affermazione “Gesù Cristo, figlio di Giuseppe, della stirpe di Davide”. Essa è una chiara attestazione di paternità, ma è anche molto di più. È la certezza che quanto promesso da Dio e trasmesso attraverso la voce dei profeti, tutto ciò che è contenuto nella Scrittura, trova ora compimento in Gesù Cristo, la cui discendenza secondo quanto annunciato da Isaia è regale. E, cosa più importante, è il riconoscimento di una nascita secondo la carne, ovvero la garanzia che Dio stesso si è fatto storia, si è congiunto con il destino dell’umanità, ha accettato di condividere con noi il comune cammino di gioie e dolori, di vita e di morte che caratterizzano la nostra umanità. Ma Dio, incarnandosi, ha fatto ancora molto di più che addossarsi semplicemente il peso della storia e della fragilità umana: Dio in Cristo ha immerso nel cuore della nostra umanità un seme di immortalità, accendendo la lampada della speranza e della salvezza. Divenendo l’Immanù El, termine ebraico antichissimo, il Dio-con-noi, Dio ha cessato di essere la divinità lontana per diventare a noi vicino, familiare, anzi più intimo a noi di quanto non lo siamo a noi stessi. L’Emmanuele è, quindi, molto di più di un nome, è un contenuto reale, il contenuto di Dio che in Cristo si è fatto persona, con un volto, un cuore e una voce tesi a parlare a guarire l’uomo dal di dentro della propria condizione e della propria storia. Con l’Emmanuele l’alleanza è diventata “nuova ed eterna”. Così, Gesù – altro nome di questa domenica – che significa “Dio salva”, con l’Incarnazione, incarna e realizza pienamente anche il suo contenuto, giacché Egli è sì figlio dell’uomo, ma lo è anche figlio di Dio. Diversamente se fosse solo “con noi”, e non fosse “Dio”, non ci potrebbe essere la salvezza. Se, viceversa, fosse solo “Dio” ma non “con noi”, la sua salvezza non ci interesserebbe, sarebbe rimasto anche lui un dio ignoto, lontano dalla presa e dalle speranze dell’uomo. Ecco il vero mistero del Natale: affermare con chiarezza che Dio in Gesù è divenuto l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Dunque, due nomi, Immanù El e Gesù, nomi gravidi di significato, ci parlano della straordinarietà di un bimbo che avvolto in fasce, giace in una mangiatoia. Egli è Dio stesso, ed il suo amore è tale da spingersi a diventare uno di noi. Un Uomo- Dio partecipe delle nostre vicende, coinvolto nelle nostre scelte, inserito nei momenti “profani” della nostra esistenza, compagno di strada e guida lungo il cammino della vita, perché l’uomo dia senso divino a quanto gli accade, perché l’uomo abbia la certezza che la propria fragilità, il dolore e la morte non sono le sue condizioni fatali ed ineluttabili. Un uomo “giusto” In queste domeniche d’Avvento, però, abbiamo anche imparato che Dio non impone questa sua presenza, ma rispetta la nostra libertà nell’accoglierla. Così è stato per il precursore, Giovanni il Battista, così è stato per la madre di Gesù, la Vergine Maria ed oggi in questa ultima domenica d’Avvento, lo è per Giuseppe, il padre legale di Gesù. Un aggettivo qualifica Giuseppe: giusto (Mt 1,19). Questa espressione è di fondamentale importanza, se presa nella sua accezione biblica. Di fatto, Giuseppe viene annoverato tra quell’ elenco di giusti che, a partire da Abramo, costellano la storia della fedeltà d’Israele dinnanzi a Dio. Un esempio per tutti: Dio dichiara che la fede di Abramo è “giustizia”, ossia disponibile alla comunione con Lui. Si tratta, dunque, del coraggio di chi rinuncia a cercare in sé l’appoggio, la sicurezza, e si affida totalmente a Dio, crede a Dio, letteralmente “mette il proprio fisso appoggio in Dio”. Il “giusto” è allora il credente, colui che accoglie la giustizia divina e la rende attiva nella propria vita; il giusto è anche colui che possiede la sapienza, cioè la conoscenza di Dio e ne segue la volontà. Ma l’uomo è giusto, perché Dio è giusto, ovvero è fedele, leale e agisce rettamente nei confronti dell’uomo. Il segno di questa giustizia di Dio, poi, è il Suo amore potente che fa vivere e perdona. Tutto questo per dire che Giuseppe è un uomo giusto. Cioè, è l’uomo teso a compiere la volontà di Dio, perché da Dio, il “Giusto” per eccellenza, si lascia condurre, ne fa “il proprio fisso appoggio”. Egli si abbandona fiducioso ai disegni di Dio consapevole del fatto che quei disegni non possono non essere orientati al bene. Giuseppe è l’uomo di fede, vorrebbe sottrarsi al mistero, ma poi lo ascolta, si fida e mette in pratica quanto il mistero gli chiede. Giuseppe è uomo concreto, saggio, consapevole che la vita è comprensibile solo se in essa si innesta la nota dell’incomprensibile, un di più, un sogno, un angelo, un mistero, un amore immeritato, Dio. Giuseppe è anche un osservatore attento. Egli scorge i segni dell’azione di Dio nella propria vita e li accoglie, accettando di collaborare nel progetto salvifico del Padre, dando il nome a colui che è il Nome. Egli è uomo di Dio, il timorato di Dio, il “giusto”, i cui sogni sono gli stessi di quelli di Dio. Giuseppe, quindi, è l’uomo credente, è ciascuno di noi, che, nonostante tutta la complessità e le resistenze della propria umanità, riconosce la bontà dei sogni di Dio e si adopera perché diventino realtà. Il senso del Natale é far sì che il sogno di salvezza di Dio nasca nel nostro cuore e si realizzi in progetto di vita. Raggiungere una simile consapevolezza significa accogliere senza imbarazzo la debole forza del Bambino che viene. Conclusioni Ciò che meraviglia sempre del Natale è proprio questo Bambino. In un evento nascosto e umile, come la nascita di un bambino in una grotta, accade che Dio, l’Eterno, l’Invisibile, l’Onnipotente, il Creatore del mondo si è fatto carne (Gv 1,14). È diventato uomo come noi, si è fatto storia. Ma fermarsi allo stupore e alla meraviglia non basta per celebrare il Natale, occorre fare un salto di qualità, occorre cioè fare del nostro cuore la mangiatoia di Gesù, solo così potremmo avere la certezza che il Natale si riempirà di senso e non solo di luci e di addobbi.
Serena domenica. |
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