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I Massacri del colonialismo (2) PDF Stampa E-mail
Scritto da E.Spagnuolo   
sabato, 07 dicembre 2013 08:42

ImageContinuiamo con la pubblicazione della seconda puntata sulle stragi provocate dal colonialismo in nome di un mal concepito spirito di "civilizzazione" che mascherava autentiche occupazioni territoriali, è quel che è accaduto con la cosiddetta guerra risorgimentale in Italia.(foto: Cavour fa ballare i politici del tempo)   La guerra coloniale italiana - Nel diciannovesimo secolo il regno sabaudo era governato da gente, che aveva la stessa mentalità dei liberali argentini, statunitensi e inglesi. Il regime dei Savoia, fortemente militarizzato, scatenò una guerra per la conquista della penisola italiana con le stesse motivazioni con le quali furono scatenate tutte le guerre coloniali del diciannovesimo secolo: l'obiettivo di costruire uno stato forte e potente, condizione necessaria per favorire lo sviluppo del modello liberal capitalista. Questa concezione fu la motivazione di fondo che spinse il conte Camillo Benso di Cavour, il vero, grande, artefice del risorgimento italiano, a teorizzare e perseguire tenacemente l'espansione militare dello stato sabaudo.

Questa espansione militare non era l'obiettivo finale del moto risorgimentale, ma era solo una tappa intermedia per realizzare l'obiettivo vero, l'obiettivo finale, che consisteva in una presunta modernizzazione della penisola, da perseguire, esattamente come era avvenuto in Argentina, in America del Nord e ovunque nel mondo, senza tener conto di alcuna legge morale, anche a costo di produrre lutti e sofferenze a un gran numero di persone, anche a costo di stabilire dei rapporti di sfruttamento all'interno della stessa penisola.

ImageIl nocciolo della questione è il seguente. Per avviare un processo di industrializzazione di ampio respiro nel diciannovesimo secolo erano necessarie tre condizioni: grandi risorse finanziare, grandi risorse umane e un grande mercato per la distribuzione dei manufatti. Il governo sabaudo prima del 1860 non poteva contare su nessuna di queste condizioni, perché lo stato dei Savoia era. profondamente indebitato e perché, riducendosi al Piemonte e alla Sardegna, aveva pochi abitanti e un territorio esiguo: dunque risultava necessario avviare una guerra di conquista coloniale verso il resto della penisola, e in particolare verso il Sud d'Italia, dove era concentrata una quantità di moneta circolante pari a più del doppio di quella complessiva circolante nel resto d'Italia.

La conquista del Sud corrispose alle tre esigenze fondamentali richieste da chi perseguiva l'obiettivo di costruire un grande apparato industriale nel Nord d'Italia. Il drenaggio sistematico di capitali che dopo il 1860 si realizzò da Sud a Nord contribuì in maniera determinante a costituire quell'accumulazione capitalistica che avrebbe reso possibile il decollo dell'industria padana e il risanamento di regioni, come l'Emilia Romagna, che fino al 1860 era la più arretrata d'Italia.

Questo spostamento colossale di capitali dal sud d'Italia a beneficio delle casse dell'erario piemontese avvenne inizialmente attraverso vari canali.

Avvenne attraverso l'incameramento da parte del governo dei Savoia dell'ingente patrimonio finanziario dello Stato delle Due Sicilie, attraverso la vendita dell'immenso patrimonio demaniale ed ecclesiastico meridionale incamerato dallo Stato sabaudo, attraverso l'estensione del sistema fiscale piemontese a tutta la penisola. Un altro canale formidabile e incredibile, attraverso cui l'erario dello Stato sabaudo ebbe modo di impinguarsi ai danni del Meridione d'Italia, provenne dalla repressione giudiziaria che si scatenò dopo il 1860 e che condusse in carcere centinaia di migliaia di meridionali. Tutta questa gente dovette accollarsi le spese giudiziarie e fu costretta a pagare delle penali, spesso del tutto spropositate. Il denaro che in questo modo particolare il governo dei Savoia rastrellò nel Sud d'Italia assunse dimensioni raccapriccianti.

Il Sud, inoltre, avrebbe assicurato nel tempo alla nascente industria del Nord manodopera in quantità (dal dopoguerra agli anni settanta le industrie del nord hanno funzionato grazie al lavoro degli emigrati meridionali) e, soprattutto, il Sud avrebbe assicurato da allora e assicura tuttora un immenso mercato di consumo per i prodotti del Nord.

Alcuni dati sulla repressione sabauda nell'ex Regno delle Due Sicilie

Ai giorni nostri si cerca di far credere agli italiani, ai bambini delle scuole elementari, che il moto risorgimentale, cioè la politica espansionista del regime sabaudo, si sia realizzata attraverso la mera declamazione di poesie, attraverso il pacifico sventolio di bandierine, attraverso il nobile richiamo alla fraternità tra gli italiani o attraverso il sacrificio personale di pochi eletti. Nella realtà l'unica cosa che fece il governo dei 'Savoia in quegli anni è sparare, sparare a tutta forza. Tanto per cominciare l'esercito dei Savoia, con la truppa regolare o con militari camuffati da garibaldini, uccise migliaia di giovani militari del regno delle Due Sicilie, migliaia di giovani meridionali, che non avevano offeso nessuno, e che spesso avevano delle mogli, dei bambini. Tantissime donne del Sud rimasero vedove in giovanissima età e ci furono tanti orfani di guerra.

Nel secondo semestre del 1860 e per tutto il 1861 il Sud continentale fu percorso da un gran numero di rivolte, di manifestazioni popolari. Gli atti processuali relativi a questi fatti, atti redatti da giudici, magistrati nominati dal governo dei Savoia, attestano con assoluta chiarezza che tutti questi movimenti ebbero un preciso profilo politico, dal momento che ovunque si insorgeva nel nome di Francesco II, si distruggevano le insegne sabaude e garibaldine, si sventolavano le bandiere bianche del regno, tutto ciò con l'intento dichiarato di opporsi a quella minoranza, possidente meridionale che nel frattempo aveva occupato tutti i posti di potere

e collaborava attivamente con gli eserciti invasori per il controllo amministrativo e militare del territorio. La gente manifestava, perché era legata naturalmente e logicamente alle istituzioni di casa propria. Nella provincia di Avellino dal luglio 1860 al luglio 1861 vi furono rivolte o manifestazioni popolari a Montella, ad Ariano irpino, a Bonito, a Montemiletto, a Pietradefusi, a Torre le Nocelle, a Castelvetere sul Calore, a Cervinara, a Rotondi, a Carbonara, a Bisaccia, a Villanova del Battista, a Rotondi, a Volturara Irpina, a Montefalcione, a Chiusano San Domenico, a San Potito; a Sorbo, a Salza, a Candida, a Manocalzati, a Tufo, a San Mango, a Lapio; a Taurasi, senza contare le manifestazioni minori e senza contare la favorevole accoglienza che l'armata di Crocco ricevette nell'aprile 1861 a Calitri, a Monteverde, a Carbonara e a Sant'Andrea di Conza. Un fenomeno enorme di cui nessuno parla.

I garibaldini prima e il regime dei Savoia dopo reagirono con l'unico sistema che conoscevano, con la repressione indiscriminata e con le fucilazioni. Secondo la documentazione d'archivio a Cervinara i garibaldini non si limitarono ad arrestare numerose persone, ma uccisero vari popolani e violentarono un numero imprecisato di donne. Nessuno dei garibaldini fu incriminato, ma al contrario furono arrestati i parenti e a volte i genitori delle donne violentate. A Montefalcione la legione ungherese, legione dell'esercito sabaudo costituito da ungheresi o da stranieri che erano scesi al sud al seguito della massa garibaldina, uccise circa 130-150 persone. Gli ungheresi fucilarono in una contrada di campagna anche un ragazzino di 13 anni, Giuseppe d'Amore.

Per la rivolta di Montemiletto del settembre 1860 furono incriminate qualcosa come mezzo migliaio di persone del luogo. Per la rivolta di Montefalcione e di altri paesi del luglio 1861, a parte tutti gli uomini fucilati, furono incriminate circa 800 persone. Almeno 171 persone furono incriminate per causa politica nel solo circondario di Montella, almeno 117 in quello di Montefusoo, almeno 236 nel circondario di Avellino. Manifestazioni e retate di meridionali avvennero ovunque. Consultando solo una parte delle sentenze della Gran Corte Criminale della provincia di Napoli, relativamente al 1860 e 1861 abbiamo già raccolto i nomi e i cognomi di circa mille napoletani incriminati per causa politica, per aver manifestato una qualche forma di dissenso verso il governo dei Savoia.

Tutto questo però fu solo il preludio di quel che sarebbe avvenuto negli anni successivi, allorché decine di migliaia di giovani meridionali si ritrovarono fucilati da improvvisati plotoni di esecuzione, uccisi senza concedere loro una qualche autodifesa, senza accertare i reati, che eventualmente avessero commesso, senza curarsi di comprendere le ragioni che li avevano condotti alla latitanza. Tanta ferocia non si era mai vista nelle nostre terre.

ImageLa tragedia, che si abbatté in quegli anni al Sud d'Italia, è legata anche al fatto che il governo dei Savoia, incapace di sconfiggere le bande, che scorrevano le campagne, stabilì un regno di terrore, che condusse all'arresto di un numero incalcolabile di meridionali, con l'accusa di connivenza col brigantaggio, al fine di fare terra bruciata intorno alle bande. Furono incarcerati vecchi, donne e bambini e spesso gli stessi genitori e i parenti dei briganti. Negli archivi di mezza Italia si conservano migliaia di processi, di sentenze della gran Corte Criminale, della Corte d'Assise, dei tribunali militari per la. repressione del brigantaggio, delle preture di ogni luogo, che segnalano i nomi e i cognomi di centinaia di migliaia di meridionali incriminati per cause politiche o per cause riferibili alla generica imputazione di brigantaggio, materiale che mai nessuno si è andato a leggere.

Il gran numero di arresti eseguiti in quegli anni trasformarono le carceri meridionali in veri e propri inferni. La documentazione d'archivio, mi riferisco in particolare al fondo dell'amministrazione carceraria di Montefusco, di eccezionale rilevanza storica, attesta che già nei primi mesi del 1861 le carceri di Potenza, Salerno, Napoli, Avellino, Montefusco, Ariano erano stracolme di detenuti. Lo stesso materiale documenta il diffondersi in queste carceri di innumerevoli focolai di malattie infettive, tifo, scabbia, rogna, determinati dall'eccessivo sovraffollamento e dalla conseguente precarietà nelle condizioni igieniche, nell'assistenza medica e nel rifornimento alimentare. Queste malattie causarono la morte o la debilitazione documentata di centinaia di poveri disgraziati. Purtroppo ancora oggi si conosce molto poco del calvario sofferto da migliaia di giovani meridionali, appartenenti all'esercito delle due Sicilie, fatti prigionieri e deportati al Nord nei vari campi di raccolta di Milano, Alessandria, nella famigerata fortezza di Fenestrelle a duemila metri di altezza, a Nord di Torino, né si conoscono le condizioni di vita di quei meridionali condannati per brigantaggio e rinchiusi nei bagni penali del Nord. Mi riferisco in particolare al carcere duro di Portoferraio, nell'isola d'Elba, che fu uno dei luoghi privilegiati per l'internamento dei meridionali.

ImageIl gran numero di arresti, i rastrellamenti per le campagne, allo scopo di catturare i fiancheggiatori, veri o presunti, delle bande ebbero conseguenze gravissime per il lavoro nei campi ed ebbe l'effetto di spopolare molti villaggi. La repressione ebbe durissime conseguenze sulla stessa condizione femminile di quegli anni. Un po' ovunque migliaia di giovani mamme, con una nidiata di bambini, rimasero sole, senza alcuna fonte di sostentamento.

 

Edoardo Spagnuolo

Fonte: http://www.eleaml.org

 

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