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Trivellazioni, un pericolo attuale PDF Stampa E-mail
Scritto da G.Colletti   
venerdì, 15 novembre 2013 08:26

ImageIl pericolo di trivellazioni nel nostro bel Mar Ionio è sempre attuale e come una spada di Damocle incombe sulle teste di chi dal mare trae il necessario per vivere: pescatori, attività balneari, alberghi, villaggi-vacanze. A più riprese si è tentato e si tenta tutt’ora di sensibilizzare l’opinione pubblica a insorgere contro questo ulteriore attentato alla nostra salute e all’ambiente marino della nostra costa, Abbiamo chiesto all’ing. Pierluigi Colletti, bolognese trapiantato in Calabria e membro del Movimento NO-TRIV, di darci lumi sui reali pericoli di queste benedette trivellazioni e sulla loro utilità. Ci ha fornito un esauriente quadro della situazione che vale la pena leggere e meditare.

Il Petrolio è presente in ogni aspetto della vita quotidiana, molto più di quanto immaginiamo.  Dai pneumatici alle borse, dal poliestere, alle confezioni dei detergenti, i nostri computer. Tra i contesti di applicazione, il settore dei trasporti detiene la percentuale maggiore: il 66% dei mezzi infatti, è alimentato a petrolio o da suoi derivati. In ultimo, ma solo perché la lista è lunga, non possiamo non ricordare che dal petrolio dipende anche una buona parte dell'energia elettrica mondiale.

Quindi come è facile dedurre , l'incidenza di questo  liquido su di noi è notevole e quasi invadente. Per tali ragioni, sono in corso in ogni angolo della Terra conflitti di ogni forma (armati e diplomatici) per mettere le mani sui principali giacimenti: allo stesso tempo, le grandi compagnie petrolifere hanno generato forti speculazioni finanziarie per l'estrazione e la vendita su scala globale.

La cosiddetta "corsa all'oro nero" non è mai rallentata ma è persino cresciuta nel tempo come è dimostrato anche dalle ultime ricerche e trivellazioni effettuate sul territorio italiano. Nello specifico nel nostro paese si contano complessivamente, a mare e sulla terraferma, 202concessioni di coltivazione, 117 permessi di ricerca, 109, istanze di permesso di ricerca, 19 concessioni di coltivazione, 3 istanze di prospezione.

Sono innumerevoli le aziende che stanno presentando richieste di autorizzazione alla verifica ed eventualmente alla trivellazione nel Mar Ionio alla ricerca di petrolio, ma con il crescere delle richieste crescono anche i dubbi e le preoccupazione per il mantenimento degli equilibri ambientali di un delicato ecosistema

Tra Puglia, Basilicata e Calabria si profila la concessione di ricerca petrolifera per Transunion e Nautical Petroleum. Su un’area estesa 623 chilometri quadrati, nel settore settentrionale del Mar Ionio, all'interno del Golfo di Taranto (zone marine D e F). E’ del 14 maggio scorso la richiesta inoltrata nuovamente (la sigla è d 68 FR-TU) proposta dalla Compagnia. Si tratta del tratto di costa compreso tra Roseto Capo Spulico e Scanzano: è ubicata al largo, l’area di mare oggetto della richiesta di Permesso di ricerca idrocarburi. Le province coinvolte nel progetto sono Cosenza, Crotone, Lecce, Matera e Taranto. Sull’area si potrebbero evidenziare ripercussioni di tipo ambientale, dal fenomeno della subsidenza, ad alterazioni dell’eco-sistema o altri danni ambientali, per esempio alle aree marine protette.

L’iter del procedimento è in uno stadio avanzato, cioè alla Valutazione di impatto ambientale ed il temine per la presentazione di osservazioni scade tra poco più di un mese, esattamente il 13 luglio prossimo. Le prospezioni prevedono l'utilizzo di tecniche di rilievo sismico come l'air gun, un metodo che secondo studi del settore, può causare squilibri e danni sull'ecosistema marino.

Il ns territorio ha una forte vocazione agricola e turistica, due voci essenziali per l’economia di Puglia, Basilicata e Calabria tutte interessate da un’aggressione senza precedenti da parte di un numero incredibile di istanze da parte delle società petrolifere e si vuole evidenziare l’assoluta pericolosità sia delle attività di ricerca che poi di estrazione del petrolio.
La sola presenza di navi o piattaforme nel Golfo di Taranto potrebbe avere ricadute immediate su tutto il comporto turistico, che costituisce una voce essenziale per la nostra economia.
E’ essenziale proteggere l’ambiente e la salute e soprattutto, ad adoperarci per l’applicazione  rigorose delle regole e della legge.
In effetti, contrariamente a quanto ribadito durante l’incontro del 27 giungo dal Ministero dell’Ambiente, vi sono numerose e rilevanti leggi che impongo alle istituzioni di applicare il principio di precauzione e che in sostanza consente di non concedere l’autorizzazione richiesta dalle compagnie petrolifere in assenza dei studi scientifici obbiettivi, trasparenti e imparziali in grado di escludere rischi per l’ambiente e per la salute dei cittadini.
Al contrario, vi sono numerose relazioni di illustri studiosi che pongono una diretta correlazione tra l’attività di estrazione del petrolio in mare e la subsidenza. Un rischio simile non può certo essere corso da nessuna regione che si affaccia sul Mar Ionio.
Forte è la consapevolezza che il miraggio dei guadagni derivanti dall’estrazione non porta alcun vantaggio apprezzabile, circostanza evidente in Basilicata che dopo vent’anni di petrolio ha ricavato solo un trend negativo per la disoccupazione in continua crescita, l’emigrazione dei giovani e l’inquinamento ambientale irreversibile.
L’obiettivo della strategia è di incrementare l’estrazione dal mare e dal territorio italiano di idrocarburi portando il loro contributo dal 7 al 14% del fabbisogno energetico, incrementando da qui al 2020 l’attuale produzione di gas del 46% e di petrolio addirittura del 148%. Una scelta assolutamente insensata.

I quantitativi di petrolio in gioco sono, infatti, davvero risibili. Allo stato attuale, la produzione italiana di petrolio equivale allo 0,1% del prodotto globale e il nostro Paese è al 49o posto tra i produttori. Secondo le ultime stime del ministero dello Sviluppo economico ci sarebbero nei nostri fondali marini 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe.

Stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane. Non solo: anche attingendo al petrolio presente nel  sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata, il totale delle riserve certe nel nostro Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi. Questi dati dimostrano l’assoluta insensatezza del rilancio delle attività estrattive e della spinta verso nuove trivellazioni volte a creare secondo i proponenti 15 miliardi di euro di investimento e 25 mila nuovi posti di lavoro. Il settore, infatti, è destinato a esaurirsi in pochi anni, come sostiene, per altro, lo stesso Ministero dello Sviluppo Economico nel Rapporto annuale 2012 della Direzione Generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche: «Il rapporto fra le sole riserve certe e la produzione annuale media degli ultimi cinque anni, indica uno scenario di sviluppo articolato in 2 anni per il gas e 14 per l’olio».

Di gran lungo migliore è invece il vantaggio economico, ambientale ed occupazionale che il nostro paese potrebbe ottenere indirizzando gli investimenti in campo energetico non sui settori tradizionali e sulle fonti fossili ma per efficienza e sviluppo delle energie rinnovabili. Investimenti resi obbligatori dagli obiettivi degli accordi internazionali sui cambiamenti climatici e per la produzione di energia da fonti pulite che porterebbero senz’altro a benefici di lungo termine, soprattutto in termini occupazionali.Nel testo della Strategia energetica nazionale si specifica che questo rilancio delle attività estrattive avverrà nel pieno rispetto della sicurezza e della tutela ambientale. Ma gli ultimi interventi normativi sembrano andare in direzione opposta, come dimostra il condono delle trivelle in mare previsto dall’articolo 35 del Decreto Sviluppo (Decreto Legge n. 83 del 22 giugno 2012, recante misure urgenti per la crescita del Paese). Un provvedimento che da una parte aumenta a 12 miglia la fascia di divieto ma solo per le nuove richieste di estrazione di petrolio in mare mentre, fa ripartire tutti i procedimenti per la prospezione, ricerca ed estrazione di petrolio che erano stati bloccati dal decreto legge n. 128 del 29 giugno 2010 approvato dopo l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico. L’articolo 35 del decreto “Cresci Italia” stabilisce di fare salvi i procedimenti concessori (…) in corso, ma anche i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi che siano stati avviati al 29 giugno 2010. Inoltre, la fascia off-limits delle 12 miglia parte ora dalle linee di costa (cioè dalla battigia) e non come era stabilito precedentemente dalle linee di base (linee che includono golfi e insenature). Nella sostanza, anziché garantire i soli titoli acquisiti, si mettono a rischio ampissime porzioni delle acque territoriali italiane, anche all’interno delle fasce d’interdizione introdotte nel giugno 2010 a tutela delle aree protette.

 PETROLIO
Il petrolio è una miscela di idrocarburi (composti formati da Idrogeno e Carbonio), contenente piccole quantità di prodotti ossigenati, azotati e solforati, che si presenta come liquido oleoso e denso, di colore variabile tra il giallo-bruno e il nerastro, con fluorescenze verdi o azzurre e di odore caratteristico, che si trova negli strati profondi del sottosuolo.

FORMAZIONE

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Probabilmente alghe, plancton, organismi marini animali e vegetali, morendo, si sono deposti sul fondo di paludi, di golfi o mari interni, mescolandosi con i detriti di argilla e sabbia trasportati dai fiumi.
Durante le diverse ere geologiche, questi sedimenti (Sapropel), in assenza di aria e per il lavoro di microbi e batteri anaerobi, hanno perso l'Ossigeno che contenevano, arricchendosi di Carbonio e Idrogeno.
Per la deriva dei continenti, sono poi avvenuti enormi sconvolgimenti della crosta terrestre. Le spinte provenienti dall'interno della Terra hanno causato lo spostamento dei diversi strati rocciosi e, quelli che una volta erano i fondali marini, sono diventati terre emerse, o viceversa. Le enormi pressioni, unite al calore del sottosuolo, hanno prodotto la lentissima trasformazione in idrocarburi solidi (bitume), idrocarburi gassosi (metano) e in idrocarburi liquidi (petrolio).
La maggior parte dei giacimenti è rimasta intrappolata nel sottosuolo, imbevendo le rocce sedimentarie, spesso a grande profondità, sia sulla terraferma sia sul fondo marino. Soltanto una parte è risalita in superficie spinta dall'acqua infiltratasi tra gli strati permeabili del sottosuolo.

 RICERCA

La ricerca dei giacimenti di petrolio viene fatta con tecnologie varie che richiedono competenze diversificate come la geologia, la chimica e la sismologia.

Lo studio avviene inizialmente in superficie per individuare le possibili località sedi di giacimenti: ex fondali marini, rocce di tipo sedimentario. Si passa poi allo studio del sottosuolo per determinare la struttura e la forma delle rocce con il metodo magnetico o con quello gravimetrico che si basano sulla variazione del campo magnetico e di gravità dovuto ai diversi tipi di roccia.
Si esegue poi un'analisi sismologica del terreno allo scopo di individuare formazioni rocciose impermeabili con una conformazione tale da poter costituire una trappola petrolifera.
Questa analisi viene effettuata facendo esplodere delle cariche. Con opportuni apparecchi poi vengono analizzate le onde sismiche riflesse dagli strati sotterranei e tracciata una mappa del sottosuolo.
Vengono successivamente creati dei pozzi stratigrafici per un'analisi in profondità del suolo dal quale si estraggono delle carote di terreno che sono analizzate per scoprirne le caratteristiche chimiche e soprattutto l'età dalla presenza di resti fossili.

 

ESTRAZIONE

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L'impianto di estrazione è costituito da una torre di trivellazione chiamata Derrick, un grande traliccio alto circa 27m che sostiene la trivella, una specie di grosso trapano che porta sulla estremità uno scalpello, detto sonda di trivellazione.

Il movimento di trivellazione viene trasmesso da un potente motore a una piattaforma di rotazione con un foro quadro, che a sua volta fa girare la prima asta di trivellazione (Kelly). Le aste sono cave e lunghe 9m e, mentre penetrano nel terreno, ne vengono aggiunte di nuove. All'interno delle aste cave viene pompato uno speciale fluido, fango di circolazione, che serve a raffreddare la sonda e a trasportare alla superficie i detriti della lavorazione e cementare le pareti del foro.

Una volta raggiunto il giacimento, il petrolio può essere estratto con pompe aspiranti; se invece la pressione all'interno del giacimento è più elevata di quella atmosferica, il petrolio sale spontaneamente.
Una volta estratto, il greggio non può essere direttamente utilizzato e perciò viene trasferito mediante navi petroliere o con gli oleodotti (pipeline) nelle raffinerie dove subisce un trattamento di distillazione. 

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La raffinazione avviene nella torre per la distillazione frazionata.
Il petrolio greggio, passando attraverso un tubo a serpentina dentro un forno, viene riscaldato a circa 350°C in modo da provocare l'evaporazione dei diversi gruppi di idrocarburi che, risalendo attraverso i camini presenti nei diversi piani della torre, sono costretti a passare nell'acqua che è sul fondo, condensandosi e dando luogo alle varie frazioni che corrispondono ad altrettanti prodotti commerciali:
- gas (metano, propano e butano) utilizzati per uso domestico e per autotrazione;
- benzine, usate come carburante per autoveicoli, aerei e navi;
- nafta, usata come carburante per i motori Diesel;
- cherosene, usato per gli impianti domestici di riscaldamento, per l'illuminazione e come carburante per gli aerei a reazione;
- gasolio, usato per gli impianti di riscaldamento e come combustibile per le centrali elettriche.

Il Governo italiano ha definitivamente intrapreso la strada delle energie fossili: ha deciso di estrarre dall’intero sottosuolo della penisola (in terra e in mare) petrolio e gas fino all’ultima goccia, per far commercializzare alle multinazionali del petrolio una miseria di greggio che coprirebbe il fabbisogno nazionale di carburante solo per il 7% e per un periodo limitato. In tutto questo si ha solo da perdere.

Le multinazionali (che nei vari governi italiani e regionali fino ad ora hanno avuto molta più rappresentanza di noi cittadini) hanno solo da guadagnare.

Il governo italiano ha deciso di sacrificare parti consistenti e preziose della sua terra e del suo mare per ricavare dalle royalties delle entrate  miserevoli se si considera il patrimonio che perde. Per queste entrate facili sacrifica interi territori, l’economia reale e la salute di intere popolazioni.

Trivellare da noi non è assolutamente conveniente dal punto di vista della quantità e della qualità del greggio (per questo sono arrivati solo ora), ma lo è dal punto di vista della complicità e dai permissivi limiti ambientali: le nostre royalties sono fra le più basse al mondo e le leggi sull’inquinamento fra le più blande non solo dei paesi occidentali, ma anche di quelli che una volta venivano definiti i Paesi del terzo mondo.

In questa situazione, dopo aver conosciuto e subito la storia petrolifera della Basilicata e i danni irreversibili provocati in Val D’Agri, non abbiamo molte scelte per salvarci, se non una ferma e lucida opposizione.

L’ opposizione che deve tenersi pronta e può sortire veramente l’effetto desiderato è quella dei cittadini  sostenuti dalle istituzioni locali e in sostegno alle istituzioni locali.

Colletti ing Pierlugi

 

 

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