Skip to content

Sibari

Narrow screen resolution Wide screen resolution Increase font size Decrease font size Default font size    Default color brown color green color red color blue color
Advertisement
Vi Trovate: Home arrow Spirito e Fede arrow Vangelo di Domenica 10 Novembre
Skip to content
Vangelo di Domenica 10 Novembre PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
sabato, 09 novembre 2013 08:55
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 20,27-38.  - Gli si avvicinarono poi alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello.  C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. Da ultimo anche la donna morì.  Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie». Gesù rispose: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito;  e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe.  Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui».

XXXII Domenica del tempo Ordinario

10 novembre 2013

L’inizio nella fine

Introduzione

Nelle domeniche precedenti il Maestro ci ha preparato, alla scuola della preghiera e della fede, ad accogliere le verità ultime che si accompagnano a questa delicata fase del tempo liturgico, quando si conclude un ciclo di riflessioni ed incontri con la Parola e ne inizia uno nuovo. Con questa XXXII Domenica del tempo ordinario inauguriamo infatti l’inizio della fine dell’Anno Liturgico, durante il quale la Chiesa ci chiama giustamente a riflettere sulle ultime realtà, che sono verità di fede assoluta: la fine del mondo, la risurrezione dei morti, il Giudizio universale, la salvezza e la dannazione eterna. Oggi, in particolare, il Vangelo ci propone il dogma della risurrezione finale, fonte di grande consolazione e sorgente di vera speranza in questi giorni di tristezza infinita per molti. La risurrezione è un dogma di fede altissimo e fondamentale, tanto che l’apostolo Paolo afferma che se Cristo non fosse risuscitato vana sarebbe la nostra fede e, aggiungerei, illusoria la nostra speranza. La risurrezione è il canto di gioia che si libera dalla voce dei figli del Dio della vita; un canto che si oppone e si impone sulla disperazione e le lamentazioni di quanti sostengono che la morte è la fine di tutto. Ma la morte non è la fine di tutto, anzi, è l’inizio, e per questo è “sorella”, ed è “compagna”: “Compagna dell’amore”, scrive san Agostino, “quella che apre la porta e permette di arrivare a Colui che si ama”. È strano celebrare in questi termini una realtà, la morte, che in questi giorni appare in tutta la sua nuda crudeltà, eppure la liturgia non si stanca di presentare la morte come passaggio ad una nuova vita; porta aperta, spalancata alla vera vita, che è vita immortale, vissuta in intima comunione con Dio, in attesa del Giudizio finale e della resurrezione dei corpi.

Al cuore della prospettiva cristiana

A voler cercare il cuore del Vangelo, dovremmo senz’altro soffermarci su quel radioso mattino di Pasqua in cui le donne trovarono il sepolcro vuoto, in presenza del

quale il discepolo amato, Giovanni, “vide e credette”. In altri termini è la risurrezione il punto di forza della “buona notizia”, il punto d’arrivo della vita terrena e punto di partenza di quelle eterna. Per questo, nonostante tutta l’amarezza e il dolore che si accompagnano inevitabilmente alla morte, la luce della risurrezione compie il miracolo di rivestirla di “beata speranza” e di “consolazione eterna”. Ecco perché la vita per i cristiani illuminata da questa luce, è una vita completamente diversa. Farsi guidare da questa speranza e da questa consolazione significa rifiutare il nichilismo che vuole l’uomo “un essere per la morte”, costretto nel solo orizzonte della terra senza alcuna prospettiva futura. Se così fosse, perché nascere, perché vivere, amare e lavorare “col sudore della fronte”?. Se non esistesse nulla cui tendere, la vita nel mondo non avrebbe più senso; se non esistesse una prospettiva futura, lo stesso presente perderebbe di significato. Di fatto è la prospettiva dell’aldilà e della risurrezione che ci fanno assumere in pieno la responsabilità dell’esistenza presente, che riqualificano il contenuto del “qui e ora”. Se la vita non avesse dinnanzi a sé un traguardo positivo, il nostro stesso esistere sarebbe vanificato in partenza; se non ci fosse Dio davanti a noi, la morte avrebbe vittoria facile in vita. Ovvero, credere e parlare di risurrezione non significa solo esprimere la speranza di vita oltre la morte, significa altresì sposare un modo diverso di vivere. Si tratta, cioè, di scegliere e lasciarsi liberare dalle tante schiavitù degli idoli del mondo, che ci paralizzano, ci soffocano, ci uccidono, impedendoci di condurre un’esistenza degna della libertà di figli di un Dio vivente. Ora spetta a noi accogliere o non il dono di Dio, che è vita in pienezza a partire dalla terra; oppure non accogliendo il dono, precludersi la strada che porta alla vita eterna, sperimentando già ora il dramma della morte. In altri termini, l’eternità è già iniziata: si può vivere e gioire di questa dignità, riconoscerla e svilupparla, o mortificarla sotto una coltre di polvere e preoccupazione. Se dunque si vuole dare senso alla vita e valore alla morte, non si lasci passare l’esistenza soffocati da uno sterile dolore, riempiamolo piuttosto di senso con il germe dell’eternità della fede nella nostra risurrezione e in quella dei nostri cari defunti; diamoci la prospettiva futura diversa che solo il cristianesimo può dare, perché promessa non da un filosofo o da un pensatore, ma garantita da Dio stesso, autore della vita.

 

Noi figli di un Dio vivente

Dunque Dio è un dato certamente non trascurabile in tutto questo. La Scrittura infatti, parla a favore della risurrezione quando presenta Dio attorniato da viventi. Ovvero, il Vangelo parla di un Dio dei vivi, non dei morti. Un Dio nel quale tutti vivono, perché se prima ci ha tratto dal nulla creandoci e donandoci la vita, con la stessa onnipotenza, ci farà risorgere dalle nostre ceneri, anche se fossero disperse dal vento, ricreandoci a nuova vita. In questo modo la morte perde l’orrore di essere annientamento definitivo dell’uomo e diventa il sonno dei giusti in attesa della risurrezione finale. Credere nel Dio dei vivi non è semplice professione di fede, ma fede che si fa ricerca assidua, di Verità; è desiderio vivo e inquieto, di incontrare Dio; è slancio e anelito a cercare e stare in compagnia di Dio. E ancora, si crede nel Dio vivo se si accoglie la Parola (viva) con la predisposizione docile ad essere da Essa trasformati. Credere in questo modo significa essere vivi, avere la certezza che i nostri confini non si esauriscono qui, ma si dilatano oltre ogni immaginazione; che nascosta nelle pieghe di ciascuna storia personale vi è una profondità tutta da scoprire, “un di più” latente. È, proprio il “di più” che ci fa desiderare e sognare l’eterno, ci infonde la volontà di credere in un Dio vivo, che ci vuole già vivi. Dio è la nostra vita perché Egli vive in noi e noi viviamo di Lui: l’amato è la vita di chi ama. La fede nella risurrezione è, allora, fede in un Amore che si fa vicinanza, unione, inseparato amore. È fede in una vita che si dona per donarci l’eternità. Infatti, la vita, la morte e la risurrezione di Gesù capovolgono la direzione stessa del nostro viaggio terreno: non più dalla vita alla morte, ma dalla morte alla vita. La morte, ormai, sta alle nostre spalle, non in faccia; davanti a noi sta il Dio dei viventi, dinnanzi al quale l’evidenza della morte è solo un’illusione: “Dio per te non esiste la morte/noi non andiamo a morte per sempre,/il tuo mistero trapassa la terra…” (D.M. Turoldo).

Conclusione

Per la conclusione di queste riflessioni prendo in prestito un brano del romanzo, “I démoni”, del grande scrittore russo Dostoevskij, le cui parole riprendono idealmente un’espressione incontrata domenica scorsa: Dio “deve”: incontrarci, cercarci, trovarci e salvarci. Dio deve donarci la vita eterna giacché è questo dono una prova innegabile della sua esistenza: “La mia immortalità è indispensabile perché Dio non vorrà commettere un’iniquità e spegnere del tutto il fuoco d’amore che egli ha acceso per lui nel mio cuore…Io ho cominciato ad amarlo e mi sono rallegrato del suo amore deposto in me come scintilla divina. Come è possibile che lui spenga me e la gioia e li converta in zero? Se c’è Dio, anch’io sono immortale”.

Serena domenica.

                        + Vincenzo Bertolone

< Precedente   Prossimo >