Vangelo di Domenica 20 Ottobre |
Scritto da +V.Bertolone | |
venerdì, 18 ottobre 2013 07:43 | |
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 18,1-8. Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: «C'era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi». E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». XXIX Domenica del tempo Ordinario 20 ottobre 2013 “Signore, come vuoi e come sai: abbi pietà” Introduzione La cronaca delle ultime settimane fa gridare con maggiore forza la voce del nostro sdegno e il nostro smarrimento verso il cielo. come può Dio permettere tanto male e permettere che ci sia tanto orrore e i giovani di questa società sempre più malata e deviata siano le vittime innocenti e oggetto di da conflitti interminabili?. Di fronte a tutto questo che senso ha il silenzio di Dio? Ancora una volta dobbiamo fare i conti con la debole fiammella della nostra fede; e ancora una volta, instancabile, la Parola di Dio, ci viene incontro per sostenerci, confortarci, farci capire. Così anche in questa XXIX domenica del Tempo Ordinario, ritorniamo a parlare di fede, ma nella sua dimensione più intima: nella sua dimensione orante. Infatti, attraverso un linguaggio semplice ed immediato, quale quello delle parabole, il Divino Maestro ci istruisce sulle qualità fondamentali della preghiera di fede e da un apparente paradosso matura la risposta al dilemma di sempre: perché Dio non risponde al grido supplice dell’oppresso? Due attori sulla scena: una vedova indifesa, ma ostinata nella sua richiesta di giustizia; e un giudice iniquo, che sfinito accetta di soddisfare la richiesta. La vedova è simbolo della preghiera di fede, il giudice “iniquo” è controprova del Giudice giusto, il quale ascolta ed esaudisce nonostante il cumulo di dubbi che gli scivolano addosso. Alla ricerca di un senso Ce lo siamo chiesto spesso in questi giorni: come può Dio permettere la sofferenza, la guerra, la malattia? E, forse, davanti agli avvenimenti “ingiusti” e “disumani”, che sono accaduti, la nostra fede è vacillata, o vacilla, è arretrata o arretra. Il dubbio alberga nel cuore e credere diventa difficile. La sofferenza dell’innocente è e resta la più grande obiezione alla bontà di Dio, ma sotto ci deve essere una risposta che ci sfugge. In realtà, la risposta non ci sfugge, semplicemente evitiamo di cercarla. Diversamente, dovremmo riconoscere che il mondo e l’uomo, quale sono usciti dalla mente, dal cuore e dalla mente di Dio, non sono le realtà che abbiamo oggi di fronte. Infatti, il Signore ha creato il mondo e l’uomo quali capolavori di bellezza infinita e grande misericordia. Mentre l’uomo ha pensato bene di ridurre se stesso e il mondo a un cumulo di macerie inquinanti, deturpandone la bontà e la bellezza originarie con i veleni dell’indifferenza, dell’ingratitudine, dell’odio, dell’egoismo, della sopraffazione, della speculazione… Di fronte a tutto questo la risposta di Dio è attesa silenziosa, è fiducia nella possibilità che l’uomo ritornerà alla bontà e alla bellezza del suo principio. Ed è proprio la fedeltà di Dio nell’uomo che rende l’uomo fedele a Dio. di fatti, la fede, quella vera, è la certezza che Dio è un Dio che ascolta: è un Dio fedele. Un Dio che, come abbiamo ascoltato dal salmo, è “nostro custode, è come l’ombra che ci copre e sta alla nostra destra”. Un Dio che veglia su di noi e ci protegge. Questa è la risposta all’apparente assenza di Dio: la fede in Lui e in quello che Egli fa nei nostri confronti. E se anche non vedessimo subito il dispiegarsi della mano di Dio su di noi, poco importa, giacché a conquistare il nostro cuore è una parola. Questa parola è un nome, un volto, una persona: quella di Gesù. Gesù è stata la risposta che Dio ha dato al grido degli uomini. E Gesù sarà sempre la risposta di Dio ad ogni nostra invocazione. Ecco, chi vede non ha bisogno di null’altro, se non fissare lo sguardo su Gesù e, facendo memoria delle sue parole e delle sue promesse, puntare lo sguardo oltre la miseria, il dolore e l’ingiustizia di questo presente, su quell’orizzonte infinito che dà senso ad ogni cosa e ci fa sperare nonostante tutto. Per guardare oltre e lottare affinché quell’orizzonte, intravisto e sperato, si avvicini al mondo trasformandolo radicalmente, occorre però mantenersi sempre su livelli di alta tensione spirituale. In altri termini è necessario ricorrere in ogni momento della giornata alla compagnia intima del Padre e del Figlio. Allora la risposta che pretendiamo da Dio ai mali del mondo, la dobbiamo esigere da noi stessi, perché da Cristo in poi è l’uomo stesso responsabile dei suoi fratelli e del mondo. Oranti nell’azione. La responsabilità a cui è chiamato ogni uomo, ha tuttavia bisogno di essere sostenuta e incoraggiata, giacché impegnarsi nel mondo, da uomini di fede, è una dura battaglia. E in questa dura battaglia l’uomo di fede, dinnanzi all’apparente silenzio di Dio e al reale silenzio degli uomini, deve essere implacabile nella costanza, ignorando il silenzio dell’indifferenza e dell’attesa; infaticabile nella perseveranza, sperando nell’ascolto di Dio e degli uomini; estremo nella fedeltà alla certezza di ottenere quanto invocato con insistenza. Questo è il modo di agire della vedova nella parabola del Vangelo di Luca: è vittima d’ingiustizia, ma non vittima della rassegnazione o della disperazione. Il suo coraggio non si incrina e continua a reclamare il suo diritto di giustizia davanti ad un giudice arrogante e indifferente. La sua instancabile perseveranza non si infrange di fronte alla porta chiusa, al rifiuto annoiato, alla reazione stizzita, ma persiste nell’appagare il suo desiderio di giustizia, di comprensione e di salvezza. Dalla figura di questa povera donna arriva a noi la prima lezione di vita: l’uomo che prega è un orante attivo, modello della costanza che invoca, che spera, che agisce, che ha fede. Dunque, l’uomo di fede non depone mai le armi, si ostina a tenere le braccia tese verso il cielo e, senza abbandonare il campo di battaglia – la propria vita e il mondo – continua la sua lotta. Il suo compito non è forzare il ritardo di Dio, ma rimanere nella corrente, sulla breccia, a forzare l’aurora di un mondo più giusto. In definitiva, quando si prega il nostro compito non è essere esauditi, piuttosto, nutriti dalla certezza che il dialogo familiare e intimo con Dio non cade mai nel vuoto, trovare la forza per non arrendersi, per non abbandonare la lotta, per restare fedeli nella prova. E se l’agire della vedova è per noi una prima lezione di vita, paradossalmente ad offrircene la seconda è lo stesso giudice iniquo. Paradossale perché il giudice è modello dell’agire di Dio: se un personaggio tanto cinico come quel giudice, finisce con il piegarsi davanti alle suppliche di una umile vedova, quanto più sarà pronto il Signore, che è giudice giusto, a chinarsi sulle sofferenze delle sue creature. Tutto ciò è per noi motivo di grande speranza, giacché ci mostra che Dio non è lontano e indifferente, come crediamo, anzi, più ne invochiamo la prossimità e l’intimità nella preghiera, più siamo certi che il suo agire, per quanto sia misterioso e deciso a seguire pensieri e percorsi diversi dai nostri, è sempre votato alla luce e non certo al baratro del nulla e del male. Proprio in virtù di questa certezza l’anima orante va e rivà dal suo Signore, perché ama anche il suo silenzio, e se parla lo fa per amore, se tace lo fa anche sempre per amore. E se anche non dovesse essere ascoltata o esaudita nella sua richiesta, l’anima orante non se ne curerà, poiché avrà ottenuto già tanto, tutto: Dio stesso. Queste anime oranti sanno cambiare il mondo, proprio perché esse lo penetrano con tutta la ricchezza della loro interiorità; lo vivono in continuo atteggiamento orante, trasformano cioè la preghiera nel loro modo abituale di essere e di operare. Così i tratti del loro volto assumeranno i tratti del discepolo di Cristo, presenza visibile dell’amore di Dio. Ciascuno di questi tratti ci parla: di una purezza di cuore singolare, che non ricerca il compiacimento personale; di un disinteresse sorprendente per il successo mondano; di una assenza di quella vanità che fa preferire l’apparire all’essere; di una semplicità che disprezza ogni doppiezza di intenzione, di sguardo, di parole; di una castità che è libertà da ogni manipolazione del prossimo. Ma soprattutto, questi volti rendono visibile la sensibilità di Cristo, perché con Essa si accorda la loro sensibilità. Non ci vuole molto per essere discepoli, basta essere felici di rimanere sempre tali, con lo sguardo fisso verso il proprio Signore e Maestro. Conclusione. Per la terza lezione sulla fede di questa domenica prendo in prestito le parole di un monaco del deserto, l’abba Macario. Quando gli chiesero come si dovesse pregare, la risposta fu: “Non c’è affatto bisogno di perdersi in parole, basta tendere le mani e dire: “Signore, come vuoi e sai: abbi pietà”. Ma diversi restano per noi i modi della preghiera: si prega per supplicare, per promettere, per domandare, per lodare e chissà per altro ancora. Mentre, su tutto, da cercare è l’intrattenimento con Dio come nostro Padre”. Serena domenica. + Vincenzo Bertolone |
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