Le Carceri nello “Stato” di Cassano |
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Scritto da G.Aloise | |
sabato, 14 settembre 2013 08:07 | |
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La presa di possesso del feudo si articola in maniera anche ostentata nel rito dell’apertura e della chiusura delle porte del carcere perché disporre della chiave di questo luogo racchiude in sé il simbolo del potere “regale” del “dominus”. “ Claudit et aperit “ si diceva del sigillo papale per evidenziare il potere assoluto rimesso al pontefice per chiudere o aprire la porta di accesso alle cose più preziose della vita ed anche al Paradiso. Il Carcere trasmette alla comunità del feudo un messaggio di rigore e di potenza ma anche di responsabilità di chi è preposto al dominio ed al governo dello “Stato”. L’esistenza delle carceri baronali a Cassano è argomento di particolare interesse tant’è che la ricostruzione del sistema carcerario baronale del 600/700 si fonda essenzialmente sugli archivi gentilizi privati, primo fra tutti l’Archivio Serra-Cassano nel Palazzo di Via Pizzofalcone a Napoli. Con gli amici Cavallaro, Zaccaro e Rullo abbiamo avuto modo di verificare presso l’Archivio Serra l’esistenza di una copiosa documentazione attraverso la quale gli studiosi hanno ricostruito il sistema delle carceri nel regno di Napoli. Una fonte interessantissima sono i processi criminali ben documentati e narrati in ogni dettaglio. Luca Covino, più conosciuto come autore del testo fondamentale per rileggere il sistema feudale come sistema politico e sociale dal titolo “ I Baroni del “buon governo”. Istruzioni della Nobiltà feudale nel mezzogiorno moderno”, ha scritto sulle carceri un testo interessantissimo dal titolo “ Le carceri baronali del Regno di Napoli nel Settecento”. Lo studio lega il ruolo delle carceri baronali al potere delle baronie locali del Regno di Napoli e attinge notevolmente all’archivio Serra che forse è la fonte più importante per lo studio di questo sistema carcerario e delle corti baronali. L’esercizio della giurisdizione e cioè la celebrazione dei processi nelle corti baronali e le pene afflittive legate alla detenzione hanno anzitutto una dimensione “venale”, cioè il barone non è tanto proteso a realizzare la redenzione del detenuto quanto è interessato a realizzare il controllo del territorio ed un consistente corrispettivo sia per la celebrazione dei processi che per la successiva detenzione. Poteva anche accadere che le entrate derivanti dall’esercizio dei diritti della giurisdizione fossero trascurabili rispetto al coacervo dell’entrate derivanti dall’esercizio dei diritti di tipo economico, ma l’Amministrazione della giustizia era lo strumento più efficace e più percepibile per delineare l’egemonia baronale sui feudi Il sistema carcerario baronale a Cassano è caratterizzato da alcune peculiarità legate alla presenza dei Serra. Per queste brevi riflessioni Il nostro punto di riferimento resta il pregevole saggio del Covino e la lettura di alcuni documenti presso l’Archivio gentilizio di Napoli. Afferma Covino : “Nello Stato dei Serra che nel settecento comprende Cassano, Civita, Francavilla, Doria e Lauropoli (Cosenza) è a Cassano che sono trasferiti i rei delle altre terre del circondario dopo brevi ferme o nelle carceri locali o in casa di qualche notabile”: v’è dunque , anche per le carceri, una gerarchia tra i centri del territorio feudale ed il centro non può che essere la sede ove trovasi il Castello. Ed ancora Covino , che attinge ai processi criminali della Corte documentati presso l’Archivio , rileva : “ A Cassano allo Ionio ( Calabria ) tra Sei e Settecento i carcerati per reati gravi sono rinchiusi in diversi corpi della residenza baronale. Dagli atti della corte baronale si individuano almeno quattro luoghi di detenzione : le carceri dette di Pallavicino, Malasperanza e Pocoluce ubicate nei sotterranei dove sono puniti i rei di omicidio, furto e soprattutto i vassalli che si sono macchiati di qualche delitto contro la camera ducale, per ultima la stanza della Larga ove si sta senza ceppi e manette e si conduce il penitente per ricevere la remissione dal querelante. Anche il cortile del Castello può essere deputato a momentaneo luogo circondariale “. Si pone subito il problema della compatibilità delle carceri baronali di Cassano con i Provvedimenti assunti da Carlo di Borbone con la Prammatica (nota 2) del 14/03/1738 che, quanto ai criteri logistici delle carceri criminali, vietava “ di ospitare prigioni malsane nei sotterranei dei loro palazzi, castelli e fortezze” con specifico riferimento ai pozzi sotterranei di isolamento. Carlo di Borbone proibì la tortura e nell’aprile del 1745 forniva nuove disposizioni per evitare abusi da parte dei carcerieri e di quanti erano adibiti al controllo della detenzione senza trascurare gli aspetti finanziari e la ricerca di nuovi introiti legati alle migliori condizioni carcerarie. (Tessitore- L’Utopia penitenziale borbonica) Le carceri nei sotterranei , dovendo ospitare i rei di omicidio e di altri fatti gravi, erano considerate i luoghi più sicuri, mentre all’ingresso del maniero venivano ubicate le carceri per i rei di fatti non particolarmente allarmanti come i reati civili. A Cassano, inoltre, in aggiunta alle carceri ubicate nel Castello , si conta un altro luogo di detenzione situato proprio nella piazza cittadina. (Sarebbe interessante accertare se esiste un nesso di continuità tra questo carcere dello “Stato” di Cassano situato in piazza e l’ultimo luogo di detenzione ubicato proprio su Via Duomo e smantellato negli anni ‘60). Ed il rischio di fuga c’è perché come annota Luca Covino nel suo scritto “ a Cassano nel 1681 2 1695 si verificarono clamorose evasioni dal Castello con la complicità di carcerieri malfidati, mentre nel 1723 sono le carceri della piazza a essere violate senza grande difficoltà” (Archivio Serra di Cassano parte I Vol.93). Circa il rispetto della direttiva emanata da Carlo di Borbone sulle condizioni delle carceri c’è da osservare che sin dal 1706 Giuseppe Serra di Cassano enunciando i doveri di un buon agente carcerario sottolinea la necessità di far visitare i carcerati “ ogne quindici giorni da qualche religioso per intendere se sono ben trattati da chi tiene la cura e per qual che più che gli potesse occorrere, come insegna la carità crisitana”. La direttiva è reiterata nel 1713 ed il caso viene assunto come significativo dallo stesso Covinoi nel suo richiamato testo sui “baroni del buon governo”. L’apertura del carcere a “qualche religioso” per controllare le condizioni dei detenuti è indubbiamente un segno di “trasparenza” ma non avrà sortito completamente gli effetti desiderati se è vero che nel 1758 la comunità cassanese espone addirittura nel Sacro Consiglio ( un supremo corpo amministrativo cui erano state attribuite competenze giurisdizionali in materia di vertenze feudali sottratte alla Gran Corte della Vicaria ) una serie di ricorsi ( gravamina ) “ chiedendo fra l’altro , che in ossequio ai reali ordini la duchessa Laura Serra non possa tenere carceri nel proprio palazzo ma solo nella piazza e che il carceriere non esiga l’esorbitante diritto di 32 grana e mezza per ogni cittadino detenuto per debiti o altro reato, destinati a diventare ben 15 carlini in caso il reo sia forestiero” In ogni caso è accertato che nelle carceri dello Stato di Cassano ricadenti nella giurisdizione dei Serra non si sono verificati casi di morte per maltrattamenti o per inedia, e questo è un dato significativo anche se è influenzato dalla durata delle detenzioni. La lettura dei processi presso la Corte baronale e dei documenti collegati offre uno spaccato sulle condizioni del sistema carcerario e delle controversie sia penali che civili dello Stato di Cassano nel 600/700. A tal fine abbiamo estratto dal volume richiamato e dall’esame dei documenti correlati alcuni spunti che ci sono sembrati interessanti. a) Tariffari relativi ai compensi spettanti agli agenti carcerari. La materia a Cassano è regolata da una Pandetta denominata “ Pandetta dell’Emolumenti da esigersi dal Castellano, seu Carceriero di detta Città di Cassano e suo stato” (nel regno di Napoli il termine “pandetta“ era molto diffuso anche per indicare in maniera aulica un semplice testo di leggi in materia di privilegi etc) risalente al 1636 ma rimasta in vigore anche nel 700. Questa normativa attribuisce, fra l’altro, al carceriere la riscossione dei seguenti balzelli : - “ius lampadis”, corrispettivo legato alla luce diffusa nella stanza con la lanterna. Questo balzello era vietato da una norma sovraordinata , una legge di emanazione regia : le prammatiche dette appunto “ de carcerariis”. Una di queste “prammatiche” del febbraio del 1586 determina “ doversi dare a ciascun carcerato povero ventiquattro once di pane “ ed un’altra , la prammatica IX del 1588, ordina che “ i medici ed i Cerusici, i quali curavano gli infermi nelle carceri non avessero ardito di prendere da’ medesimi denaro alcuno” (Istoria delle Leggi e Magistrati del regno di Napoli di Gregorio Grimaldi etc.). - “ius scopae“, corrispettivo legato alla pulizia dei locali. La presenza del detenuto era di per sé ritenuta produttrice di immondizia, di qui la tassa sui rifiuti. Lo “ ius scopae “ è stato sempre collegato ai balzelli carcerari ma ha subito un’alterazione di certo volgare in quanto si narra che il Feudatario di Riccia Giovan Fabrizio de Capua “ istituì un infame diritto denominato ius scopae “ che consisteva “nell’obbligo che avevano le novelle spose di recarsi nel palazzo baronale e pulirvi le stanze” - “ius portelli” , balzello legato all’apertura e chiusura del carcere. Poteva essere riscosso solo se sussisteva una specifica concessione regia. Infatti in un dispaccio a firma del Ministro Bernardo Tanucci per “regal ordine” datato 17/7/1751 indirizzato al sig Governatore di Taranto si intima “ che non si esigga fino a tanto che non si trovi la concessione regia di questo ius portelli “( Regali dispacci raccolti dal Dottor D. Diego Gatta – Napoli MDCCLXXVI
b) Applicazione di un regime carcerario meno duro. L’applicazione del regime carcerario non è solo influenzata dalla natura del delitto ma anche dalle qualità dell’imputato o del condannato ovvero dallo “status” del penitente . I notabili che si sono macchiati di qualche delitto e sono incappati nei rigori della Corte baronale possono addirittura godere di una sorta di detenzione domiciliare ed in ogni caso meno dura di quella ordinaria. A Cassano nel 1718 “il notabile Gioacchino di Fiore, accusato dell’uccisione di una giumenta del Duca, è rinchiuso nella Camera della Larga senza catene. Verrà poi assolto”. c) Efficacia del carcere e suppliche dei detenuti. In linea generale non c’è dubbio che la carcerazione come pena afflittiva comminata dalle Corti baronali non sia il rimedio generalizzato in quanto forte anche allora è la tendenza alla composizione dell’infrazione mediante il pagamento di una sanzione pecuniaria . Si anticipa l’attuale potere rimesso al giudice di sostituire entro i limiti fissati dalla legge le pene detentive con sanzioni sostitutive , come la pena pecuniaria. Sull’efficacia della pena detentiva è interessante rilevare dalle Istruzioni di Giuseppe Serra quel che si afferma in relazione agli abusi dei massari delle pecore e sui rimedi possibili : “il carcerarli non ha mai fatto frutto quando commettono rubbamenti di lana, latte, sale o altro”. ( Covino -opera citata) Anche a Cassano si concorda nel ritenere che la detenzione non abbia una funzione squisitamente punitiva o riabilitativa ma ha prevalentemente l’obiettivo di realizzare un introito per le casse feudali. C’è solo da aggiungere che Giuseppe Serra si preoccupa di assicurare l’assistenza religiosa ai detenuti ed in ciò potrebbe ravvisarsi anche uno sforzo nel piegare il carcere ad una funzione riabilitativa. Quanto alla suppliche Covino non esita ad affermare che nei fascicoli del Tribunale feudale di Cassano è rinvenibile un importante repertorio. Le suppliche indirizzate al barone si appellano alla sua clemenza non solo per sottolineare la precarietà della condizione del carcerato sotto diversi aspetti ma soprattutto il danno economico derivante da una prolungata detenzione. In particolare Covino evidenzia i seguenti casi : Nel 1706 un tale Dorsa viene incarcerato ma richiede di essere liberato “ per campare onestamente la sua casa e dare utili alla Casa Eccellentissima”. Nel 1732 “Giovanni Bloise , imprigionato per adulterio, dopo appena quindici giorni supplica di essere rilasciato per attendere alla semina, restando in attesa della sentenza”. “Nello stesso anno analoga istanza è presentata dal massaro Giuseppe Bellino, relegato prima agli arresti domiciliari e poi nel carcere della Piazza”. Nel 1720 “il massaro Filippo Gradilone reo di ferite fa presente come stando in carcere verrebbe a perdere il raccolto e quindi impossibilitato a restituire alla Camera ducale il grano prestato. Chiede di essere liberato per poi presentarsi in carcere dopo quindici giorni. Le controversie civili e penali, i problemi della sicurezza pubblica , i delitti ed in genere le violazioni delle regole della convivenza sono un elemento essenziale per comprendere la condizione civile, sociale ed economica di una comunità. I fascicoli della Corte baronale di Cassano al tempo dei Serra costituiscono senz’altro una fonte significativa per capire la natura delle principali controversie che caratterizzavano la sicurezza del luogo ed i rapporti civili ed economici in quel periodo. L’approfondimento di queste tematiche, a nostro avviso, sarebbe utile per una narrazione della storia locale che attraverso l’indagine dei conflitti reali possa riuscire a far cogliere aspetti significativi della vita feudale. Concludendo una riflessione per l’oggi. Dalle considerazioni sopra esposte si evince chiaramente che ,a partire dall’acquisto del feudo da parte dei Serra fino a tutto il 700, Cassano ha avuto una storia particolare in materia carceraria legata evidentemente alla presenza della Corte feudale che era in grado di comminare pene detentive. Nell’ottocento la situazione evolve anche perché si procede alla costruzione delle carceri distrettuali. In tutta la Calabria citra il Preside dell’Udienza di Cosenza (Presidente del Tribunale) si preoccupa di impartire precise disposizioni perché si realizzino nuove e più sicure carceri. L’eversione feudale spazza via il carcere legato al dominus del feudo. A Cassano resiste nel 900 - forse nell’antica sede - il carcere mandamentale legato alla sede pretorile ma poi con la riforma si procede alla sua chiusura. L’evoluzione del sistema carcerario ha di fatto tagliato la rete delle strutture legate alle Corti locali ed in tale evoluzione forse con qualche forzatura può leggersi la metafora della perdita di centralità da parte di Cassano così come avvenuto in altri settori relativi ai servizi dello Stato e della Pubblica Amministrazione.
Note 1)Lo Stato di Cassano, proveniente dai possedimenti dei Sanseverino di Bisignano, trasferito con atto inter vivos , comprendeva oltre la città di Cassano, Francavilla ed il Casale di Civita numerosi beni fra cui il “feudo di Giarnastaso", il feudo “Brochetto”, Gadella, Campomalo ed altri. I possedimenti dei Sanseverino erano molto estesi, distribuiti tra Calabria, Campania, Basilacata e Puglia e godevano di una particolare giurisdizione. Nel ‘600 tra la monarchia ed il potere feudale locale – il baronaggio - era stato raggiunto un equilibrio che Giuseppe Galasso definisce “compromesso storico” : la monarchia tendeva ad espandere le proprie competenze senza erodere sostanzialmente quelle attribuite alla feudalità locale lasciando immutati privilegi ed usi. Lo spezzettamento dei grandi feudi era l’occasione per ridimensionare il potere dei baroni e questo sgretolamento era sostanzialmente favorito per evitare che si cristallizzasse un potere ritenuto irreversibile. “…. La monarchia favoriva l’accesso al feudo di nuovi ceppi familiari e di altre posizioni sociali disintegrando la fisionomia storica della classe feudale. La parallela tendenza regia ad una riduzione, se non scomposizione dei grandi patrimoni baronali, ebbe proprio in Calabria una delle maggiori dimostrazioni con l’eclisse dell’importante patrimonio feudale dei Sanseverino di Bisignano” (G. Galasso- La Calabria spagnola pag. 48 ) In questo contesto si colloca l’acquisizione da parte dei facoltosi mercanti genovesi di un pezzo dei feudi dei Sanseverino. Carlo V nel 1516 aveva concesso allo Stato di Bisignano il titolo di Principato sancendo, altresì, la trasferibilità dei diritti annessi “ pro se suique heredibus et successori bus in perpetuum”.(I Serra- pag 377 ) “ Tra i vari possedimenti a cui Carlo V si riferiva espressamente viene menzionata civitatem Cassani cum casali suo Francavilla inabitato et eius castra”. ( I Serra – pag. 377). Per queste ragioni con l’acquisto di un feudo proveniente dal patrimonio feudale dei Sanseverino, i Serra acquisirono la titolarità dell’esercizio di una serie di prerogative , di privilegi e di diritti, compreso il diritto di denominare “Stato” la città di Cassano. 2) Le prammatiche sono leggi di emanazione regia su determinate materie. Le norme aventi ad oggetto la disciplina del sistema carcerario venivano raggruppate sotto il titolo "de Carcerariis" Giuseppe Aloise ![]() Cavallaro, Aloise e Rullo nella saletta d'attesa di Palazzo Serra a Napoli Cliccare quì per la prima pagina della Relazione sull'Ingresso di G.F.Serra a Cassano |
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