Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 12,49-53. Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse gia acceso! C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D'ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
XX Domenica del tempo Ordinario 18 Agosto 2013 Nessuno escluso Introduzione Mentre l’estate ormai volge al termine e le strade si affollano di vacanzieri di ritorno dai luoghi di villeggiatura, la Parola non cessa di raggiungerci ovunque provocandoci e confortandoci insieme con i suoi contenuti. È il caso di questa XXI Domenica del Tempo Ordinario. Infatti, la Parola sembra presentare un apparente paradosso: i “vicini” non saranno riconosciuti dal Padre e, pertanto, non prenderanno parte del suo Regno, mentre una moltitudine di gente, i cosiddetti “lontani”, entreranno nel Regno e parteciperanno della sua gioia festosa. Paradossale e provocatorio. Spontanea nasce una domanda: “Quanti se ne salveranno e chi si salverà?” Le stesse domande si fanno incontro a Gesù, mentre prosegue il suo viaggio verso Gerusalemme. Egli durante il cammino continua ad annunciare, predicare e operare miracoli e non si sottrae a quelle domande insidiose che intendono sabotare la buona riuscita della sua missione. E, appunto, una domanda di queste è riguarda la salvezza. E proprio da essa il Maestro prende spunto per impartire, anche oggi, dalle pagine del Vangelo di Luca, il suo insegnamento. Del resto il tema della salvezza provoca tutti: i credenti e i non credenti in Cristo; e, ancora, gli assidui frequentatori della Parola e dell’Eucarestia o i semplici utenti dei riti religiosi. Provoca, soprattutto, quando si entra in contatto con altre confessione religiose e ci si chiede quale possibilità di salvezza vi è per esse. Ma la questione della salvezza e le domande che suscita quasi sempre si riducono ad un unico angosciante quesito: “Quanti si salveranno?” È la riduzione in termini numerici di un tema ben più complesso: questo ci fa capire Gesù. Infatti, nella Sua risposta, articolata in parabola, ci parla di una porta stretta, di un cuore grande e di universalità. Tre temi che rimandano ad una sola verità: si salverà chiunque abbia vissuto e viva una fede autentica, genuina e operosa, un’esistenza tesa alla giustizia e al bene ed a coltivare quei valori che rendono la persona umana creatura celeste. In tutto questo, non vi sono numeri o percentuali, né separazioni fra “vicini” e “lontani”, c’è solo una grande speranza: tutti si possono salvare purché in vita abbiano anticipato la realtà del Regno con una vita santa. Un discorso di qualità Rincuora il fatto che mentre tutto, nel mondo di oggi, si risolve in termini numerici e statistiche, e il valore di qualunque cosa, persino della persona umana, si stimi sul piatto della bilancia della “quantità”, la salvezza nel regno di Dio, invece, sfugge a questa arida logica di “mercato” e risponde alla sola legge del Padre che ragiona in termini di “qualità”. Non importa, cioè, essere fra i “primi”, o essere compresi in un elenco di “tesserati”, l’importante è aver attraversato con fede la “porta stretta”, ovvero essersi impegnati seriamente e personalmente per la ricerca del Regno e, dunque, aver realizzato in pieno il sogno di Dio su di noi. Un impegno che non si riduce alla semplice partecipazione della messa domenicale, va oltre, è costante, ma soprattutto, feriale. È la scelta di una intera vita di fede e di amore. Infatti, “mangiare e bere” il Corpo e il Sangue di Cristo, ogni domenica, ascoltare la sua Parola, moltiplicare le preghiere sono sì importanti, ma non decisivi per la salvezza: il rito, di fatto, si deve unire alla vita, la religione all’impegno di carità, la liturgia deve aprirsi alla giustizia e al bene. In altri termini, se il proprio essere cristiani non supera i limiti angusti della sterile proclamazione di facciata, e non ci si butti, invece, nell’oceano dell’operosità e nel mistero dell’interiorità, se non si fa della fede il cuore palpitante della propria esistenza, non vi è certezza di salvezza. Ciò conferma Gesù con le sue stesse parole: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta”, ovvero impegnatevi per raggiungere la meta della salvezza. L’impegno, però, non deve essere superficiale e blando, deve essere “sofferto”, “continuo”, deve assumere i caratteri di una “agonia”, di una “lotta”, deve conoscere la “fatica”, il sapore dello “sforzo”, perché ad essere coinvolti non sono solo il corpo o la mente, ma tutto, persino il cuore. È un impegno della persona nella sua interezza: implica il movimento fisico, la spinta della volontà, il coinvolgimento del cuore, l’azione della mente. È un mettere in campo tutte le armi che si hanno per ottenere la vittoria finale. È la difficile arte del credere: atteggiamento serio e radicale, non riducibile ad una distratta genuflessione con segno di croce abbreviato o ad una pia pratica devozionale, o, ancora, ad una candela accesa, credere è investire ogni mattina tutte le proprie energie per attraversare quella “porta stretta” che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Allora scopriamo che la “porta stretta”, oltre la quale passare, non è un luogo, ma una Persona da accogliere, è Cristo stesso: “è Lui solo il punto di passaggio tra i valori di questo mondo e quelli del mondo venturo, il punto di inversione tra le forze di un mondo aggressivo e separante e quelle creatrici e costruttive del Regno da Lui instaurato” (G. Vannucci). L’impegno, dunque, è di essere somiglianti a Cristo, perché la “porta stretta”si passa con cuore grande, il cuore grande di Cristo. Se, quindi, interrogando il nostro cuore ci scopriamo con cuore largo, accogliente, capace di commuoversi per ogni uomo che abbia bisogno di comprensione e incoraggiamento, anche se estraneo o nemico, allora si è dalla parte di Gesù, con i “numeri” giusti per attraversare la “porta stretta”. Un cuore largo Attraversare la “porta stretta” con cuore largo è, dunque, garanzia di salvezza, giacché è certo: Dio riconoscerà la nostra voce e alle soglie del Regno non troveremo brutte sorprese. Avere un cuore largo, infatti, significa che nella propria vita vive qualcosa della vita di Dio, un riflesso del suo cuore. Semplicemente : se Dio è accogliente, allora in noi ci saranno tracce di accoglienza, se Dio è comunione, allora in noi ci saranno semi di comunione. E se questi sono segni invisibili agli occhi distratti del mondo, per Dio non è così: trovandoli, infatti, spalancherà la porta del suo Regno, perché avrà riconosciuto in noi echi della sua stessa voce. Nella soglia dell’eterno l’amore, dentro ciascuno, non cerca altro che qualcosa in cui specchiarsi. In realtà, per quanti vivono una intera esistenza guidati dal suono della voce di Dio, dinnanzi all’eterno, il riconoscimento sarà reciproco: da figli si riconoscerà il Padre, da innamorati si riconoscerà l’Amato, da creature si riconoscerà il proprio Creatore. Ed è questa la meta finale: essere riconosciuti per riconoscersi, ovvero in Dio ritrovare finalmente se stessi, “il mio cuore è inquieto finché non riposa in Te”. Lentamente abbiamo operato una radicale inversione ad “U”: se tutto è partito da un “incerto” principio di “quantità”, ora passiamo ad un “certo” principio di “qualità”. Ovvero, salvarsi, essere riconosciuti da Dio e riconoscersi in Dio, per tutti i credenti, non è meta da raggiungersi per appartenenza ad un “gruppo” piuttosto che ad un altro, non per osservanza vuota a rigide norme, né tanto meno per pubblica proclamazione di adesione ad un “movimento”; per raggiungere la meta è sufficiente avere uno stile di vita umile e semplice, una esistenza da trascorrere con cuore innamorato e fedele. Raggiungere la meta, infine, è scegliere di lottare prendendo il posto di Cristo, ovvero scegliendo l’ultimo posto, il posto di uno che è venuto per servire, il posto di Chi da ricco si è fatto povero, il posto di Chi ha attraversato la “porta stretta” della croce. Perciò, chiunque, anche se al momento “lontano”, può entrare nel Regno se accoglierà il Cristo nella propria vita, se come il Cristo attraverserà la “porta stretta” della croce. Conclusione Un modello per tutti di un cammino di fede umile e dolce, diretto, senza indugio, verso le soglie che portano al Mistero è il cammino della Vergine. Domenica scorsa ne abbiamo celebrato l’assunzione in cielo, in questa domenica ne ricordiamo l’Incoronazione a Regina. Sì, proprio l’umile Ancella di Nazareth è stata incoronata regina: Lei che ha vissuto sempre nel nascondimento, Lei l’umile serva del Padre, Lei che non ha mai scelto il ruolo di prima donna e che nel silenzio ha seguito, sempre, con un passo indietro il Figlio amato, proprio Lei ora contempliamo quale nostra regina. Tutto questo è segno di speranza, ma anche forte monito: la grandezza si genera da quanto il mondo considera piccolo e insignificante. La santità è frutto dell’umiltà, è vita vissuta nell’ombra, lontana dalle luci della ribalta, ma sotto i riflettori di Dio; e anche se il mondo si ostina ad ignorare la bellezza della discrezione, del silenzio e dell’anonimato, poco importa, l’importante è essere conosciuti da Dio: ultimi ora per diventare domani i primi. Serena domenica. + Vincenzo Bertolone |