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Vangelo di Domenica 18 Agosto PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
domenica, 18 agosto 2013 11:42
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 12,49-53.
Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse gia acceso!
C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione.
D'ora innanzi in una casa di cinque persone
si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

XX Domenica del tempo Ordinario

18 Agosto 2013

Nessuno escluso

 

Introduzione

Mentre l’estate ormai volge al termine e le strade si affollano di vacanzieri di

ritorno dai luoghi di villeggiatura, la Parola non cessa di raggiungerci ovunque

provocandoci e confortandoci insieme con i suoi contenuti. È il caso di questa XXI

Domenica del Tempo Ordinario. Infatti, la Parola sembra presentare un apparente

paradosso: i “vicini” non saranno riconosciuti dal Padre e, pertanto, non prenderanno

parte del suo Regno, mentre una moltitudine di gente, i cosiddetti “lontani”,

entreranno nel Regno e parteciperanno della sua gioia festosa. Paradossale e

provocatorio. Spontanea nasce una domanda: “Quanti se ne salveranno e chi si

salverà?”

Le stesse domande si fanno incontro a Gesù, mentre prosegue il suo viaggio

verso Gerusalemme. Egli durante il cammino continua ad annunciare, predicare e

operare miracoli e non si sottrae a quelle domande insidiose che intendono sabotare la

buona riuscita della sua missione. E, appunto, una domanda di queste è riguarda la

salvezza. E proprio da essa il Maestro prende spunto per impartire, anche oggi, dalle

pagine del Vangelo di Luca, il suo insegnamento.

Del resto il tema della salvezza provoca tutti: i credenti e i non credenti in

Cristo; e, ancora, gli assidui frequentatori della Parola e dell’Eucarestia o i semplici

utenti dei riti religiosi. Provoca, soprattutto, quando si entra in contatto con altre

confessione religiose e ci si chiede quale possibilità di salvezza vi è per esse. Ma la

questione della salvezza e le domande che suscita quasi sempre si riducono ad un

unico angosciante quesito: “Quanti si salveranno?” È la riduzione in termini

numerici di un tema ben più complesso: questo ci fa capire Gesù.

Infatti, nella Sua risposta, articolata in parabola, ci parla di una porta stretta, di

un cuore grande e di universalità. Tre temi che rimandano ad una sola verità: si

salverà chiunque abbia vissuto e viva una fede autentica, genuina e operosa,

un’esistenza tesa alla giustizia e al bene ed a coltivare quei valori che rendono la

persona umana creatura celeste. In tutto questo, non vi sono numeri o percentuali, né

separazioni fra “vicini” e “lontani”, c’è solo una grande speranza: tutti si possono

salvare purché in vita abbiano anticipato la realtà del Regno con una vita santa.

 

Un discorso di qualità

Rincuora il fatto che mentre tutto, nel mondo di oggi, si risolve in termini

numerici e statistiche, e il valore di qualunque cosa, persino della persona umana, si

stimi sul piatto della bilancia della “quantità”, la salvezza nel regno di Dio, invece,

sfugge a questa arida logica di “mercato” e risponde alla sola legge del Padre che

ragiona in termini di “qualità”.

Non importa, cioè, essere fra i “primi”, o essere compresi in un elenco di “tesserati”,

l’importante è aver attraversato con fede la “porta stretta”, ovvero essersi impegnati

seriamente e personalmente per la ricerca del Regno e, dunque, aver realizzato in

pieno il sogno di Dio su di noi.

Un impegno che non si riduce alla semplice partecipazione della messa

domenicale, va oltre, è costante, ma soprattutto, feriale. È la scelta di una intera vita

di fede e di amore. Infatti, “mangiare e bere” il Corpo e il Sangue di Cristo, ogni

domenica, ascoltare la sua Parola, moltiplicare le preghiere sono sì importanti, ma

non decisivi per la salvezza: il rito, di fatto, si deve unire alla vita, la religione

all’impegno di carità, la liturgia deve aprirsi alla giustizia e al bene.

In altri termini, se il proprio essere cristiani non supera i limiti angusti della

sterile proclamazione di facciata, e non ci si butti, invece, nell’oceano dell’operosità e

nel mistero dell’interiorità, se non si fa della fede il cuore palpitante della propria

esistenza, non vi è certezza di salvezza.

Ciò conferma Gesù con le sue stesse parole: “Sforzatevi di entrare per la porta

stretta”, ovvero impegnatevi per raggiungere la meta della salvezza.

L’impegno, però, non deve essere superficiale e blando, deve essere “sofferto”,

“continuo”, deve assumere i caratteri di una “agonia”, di una “lotta”, deve conoscere

la “fatica”, il sapore dello “sforzo”, perché ad essere coinvolti non sono solo il corpo

o la mente, ma tutto, persino il cuore. È un impegno della persona nella sua interezza:

implica il movimento fisico, la spinta della volontà, il coinvolgimento del cuore,

l’azione della mente.

È un mettere in campo tutte le armi che si hanno per ottenere la vittoria finale.

È la difficile arte del credere: atteggiamento serio e radicale, non riducibile ad una

distratta genuflessione con segno di croce abbreviato o ad una pia pratica

devozionale, o, ancora, ad una candela accesa, credere è investire ogni mattina tutte le

proprie energie per attraversare quella “porta stretta” che rende la vita veramente

degna di essere vissuta.

Allora scopriamo che la “porta stretta”, oltre la quale passare, non è un luogo,

ma una Persona da accogliere, è Cristo stesso: “è Lui solo il punto di passaggio tra i

valori di questo mondo e quelli del mondo venturo, il punto di inversione tra le forze

di un mondo aggressivo e separante e quelle creatrici e costruttive del Regno da Lui

instaurato” (G. Vannucci).

L’impegno, dunque, è di essere somiglianti a Cristo, perché la “porta stretta”si passa

con cuore grande, il cuore grande di Cristo. Se, quindi, interrogando il nostro cuore ci

scopriamo con cuore largo, accogliente, capace di commuoversi per ogni uomo che

abbia bisogno di comprensione e incoraggiamento, anche se estraneo o nemico, allora

si è dalla parte di Gesù, con i “numeri” giusti per attraversare la “porta stretta”.

 

Un cuore largo

Attraversare la “porta stretta” con cuore largo è, dunque, garanzia di salvezza,

giacché è certo: Dio riconoscerà la nostra voce e alle soglie del Regno non troveremo

brutte sorprese. Avere un cuore largo, infatti, significa che nella propria vita vive

qualcosa della vita di Dio, un riflesso del suo cuore. Semplicemente : se Dio è

accogliente, allora in noi ci saranno tracce di accoglienza, se Dio è comunione, allora

in noi ci saranno semi di comunione. E se questi sono segni invisibili agli occhi

distratti del mondo, per Dio non è così: trovandoli, infatti, spalancherà la porta del

suo Regno, perché avrà riconosciuto in noi echi della sua stessa voce. Nella soglia

dell’eterno l’amore, dentro ciascuno, non cerca altro che qualcosa in cui specchiarsi.

In realtà, per quanti vivono una intera esistenza guidati dal suono della voce di

Dio, dinnanzi all’eterno, il riconoscimento sarà reciproco: da figli si riconoscerà il

Padre, da innamorati si riconoscerà l’Amato, da creature si riconoscerà il proprio

Creatore. Ed è questa la meta finale: essere riconosciuti per riconoscersi, ovvero in

Dio ritrovare finalmente se stessi, “il mio cuore è inquieto finché non riposa in Te”.

Lentamente abbiamo operato una radicale inversione ad “U”: se tutto è partito

da un “incerto” principio di “quantità”, ora passiamo ad un “certo” principio di

“qualità”. Ovvero, salvarsi, essere riconosciuti da Dio e riconoscersi in Dio, per tutti i

credenti, non è meta da raggiungersi per appartenenza ad un “gruppo” piuttosto che

ad un altro, non per osservanza vuota a rigide norme, né tanto meno per pubblica

proclamazione di adesione ad un “movimento”; per raggiungere la meta è sufficiente

avere uno stile di vita umile e semplice, una esistenza da trascorrere con cuore

innamorato e fedele.

Raggiungere la meta, infine, è scegliere di lottare prendendo il posto di Cristo,

ovvero scegliendo l’ultimo posto, il posto di uno che è venuto per servire, il posto di

Chi da ricco si è fatto povero, il posto di Chi ha attraversato la “porta stretta” della

croce. Perciò, chiunque, anche se al momento “lontano”, può entrare nel Regno se

accoglierà il Cristo nella propria vita, se come il Cristo attraverserà la “porta stretta”

della croce.

 

Conclusione

Un modello per tutti di un cammino di fede umile e dolce, diretto, senza

indugio, verso le soglie che portano al Mistero è il cammino della Vergine. Domenica

scorsa ne abbiamo celebrato l’assunzione in cielo, in questa domenica ne ricordiamo

l’Incoronazione a Regina.

Sì, proprio l’umile Ancella di Nazareth è stata incoronata regina: Lei che ha vissuto

sempre nel nascondimento, Lei l’umile serva del Padre, Lei che non ha mai scelto il

ruolo di prima donna e che nel silenzio ha seguito, sempre, con un passo indietro il

Figlio amato, proprio Lei ora contempliamo quale nostra regina.

Tutto questo è segno di speranza, ma anche forte monito: la grandezza si

genera da quanto il mondo considera piccolo e insignificante. La santità è frutto

dell’umiltà, è vita vissuta nell’ombra, lontana dalle luci della ribalta, ma sotto i

riflettori di Dio; e anche se il mondo si ostina ad ignorare la bellezza della

discrezione, del silenzio e dell’anonimato, poco importa, l’importante è essere

conosciuti da Dio: ultimi ora per diventare domani i primi.

 

Serena domenica.

              + Vincenzo Bertolone

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