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Vangelo di Domenica 7 Luglio PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
sabato, 06 luglio 2013 10:24
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 10,1- 12.17-20.  - Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi;  non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada.  In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi.  Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino.  Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.  I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».  Egli disse: «Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore.  Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare.  Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli».

XIV Domenica del tempo Ordinario

7 Luglio 2013

Chiamati per essere inviati

Introduzione

Molti fedeli, probabilmente, sono in vacanza inseguendo il meritato riposo alla

faticosa routine del quotidiano.

In fondo la vacanza è sinonimo di svago, di liberazione momentanea da

responsabilità e preoccupazioni; è come uno spogliarsi provvisorio dei vestiti di

rappresentanza ( che sia il ruolo sociale, l’impegno professionale e quant’altro) per

indossare quelli meno impegnativi e più leggeri dell’ozio “vacanziero”. Oggi è

entrata nell’uso l’espressione di sapore elettronico “staccare la spina”.

Però, vacanza o non, la Parola di Dio è sempre con noi, a provocarci, a

scuoterci, a farci riflettere sul nostro modo di essere cristiani, interpellandone lo stile

(missione) e il contenuto (annuncio). In particolare, in questa XIV Domenica del

T.O., la Scrittura aggiunge un tassello al mosaico della identità cristiana: se domenica

scorsa abbiamo parlato di vocazione, oggi parlermo di missione. In realtà sono due

facce della stessa moneta: non c’è vocazione senza missione, ovvero la vocazione

battesimale ci abilita ad essere discepoli e apostoli, seguaci di Cristo ma con la

responsabilità dell’annuncio e della testimonianza: diversamente non si è cristiani.

Due volti complementari e necessari vanno, dunque, pensati per il cristiano,

anche quando è in vacanza: quello del “chiamato” e quello dell’ “inviato”, i cui

lineamenti scopriremo oggi, attingendo direttamente dalla Parola.

Necessari preamboli

Prima di costruire un ritratto dell’ «inviato», così come emerge dalla pagina del

vangelo di Luca, sgombriamo il campo da ogni dubbio possibile: se pensiamo che

essere inviati riguardi solo poche persone (missionari, sacerdoti, consacrati) o che

esso comporti necessariamente andare in terre lontane, sbagliamo; ma sbaglieremmo

anche se pensassimo di poter partire da soli, cioè investiti di un mandato

rigorosamente individuale. Sbaglieremmo,infine, pensando che per annunciare e

testimoniare ci vogliono dei “supereroi”.

Innanzitutto Gesù invia tutti i cristiani (“…il Signore designò altri

settantadue”) (Lc 10,1), ed è questo il primo annuncio: si è cristiani quando non si

tace l’esperienza dell’incontro con Cristo. In virtù del nostro battesimo siamo

chiamati ad essere cristiani e lo scopo di questa vocazione è la missione. È questo il

modo originale che il Signore ha trovato per restare uomo tra gli uomini, continuando

ad annunciare che Dio è veramente vicino e che il cielo ancora racchiude la terra per

proteggere e rinnovare dal profondo il mondo dell’uomo.

Quindi non si può vivere come se questo mandato missionario non ci riguardasse: se

siamo chiamati ad essere cristiani, siamo anche inviati.

Non si può, inoltre, pensare che l’ “invio” interessi poche parti del mondo. Se

ci viene malinconia nel vedere chiese semideserte, se rifiutiamo l’idea di vivere in

una società che ha dimenticato Dio e, dunque, profondamente dis-evangelica nelle

sue sovra-, infra- e sub-strutture valoriali e sociali, dobbiamo avvertire forte l’urgenza

dell’annuncio. Dobbiamo, in sostanza, aiutare gli altri a riscoprire la presenza del

Maestro nel tessuto dell’esistenza quotidiana, facendolo non solo con la parola, ma

soprattutto con l’esempio.

L’annuncio, poi, non è un’avventura solitaria: è una comunità che manda,

sostiene e accompagna lungo le strade della testimonianza. A ben guardare, il

secondo annuncio che emerge dalla pericope lucana, (“…e l’inviò a due a due…”, Lc

10,1), è un gesto concreto di comunione, è la proclamazione della vittoria sulla

solitudine. Di fatto un conto è partire soli, un conto in compagnia di un amico,

membro della stessa comunità che dà conferma dell’essere cercato, chiamato, scelto,

amato, inviato. Quando le difficoltà del viaggio sommate alla solitudine potrebbero

scoraggiarci, avere qualcuno su cui appoggiarsi infonde fiducia. Per questo

l’annuncio è avventura da viversi in comunità, è evento da celebrare in comunione.

E, infine, l’annuncio non richiede forza sovraumana o intelligenza fuor dal

comune, né eroismi. Basta essere uomini, comportarsi da uomini. Solo allora

l’annuncio della vicinanza di Dio sarà veramente credibile, giacché più ci si

immedesima nella propria umanità, più Dio si fa prossimo. L’unica preoccupazione

dell’inviato è di farsi infinitamente piccolo perché il suo annuncio possa essere

infinitamente grande.

Profilo dell’inviato

Una volta sgombrato il campo da ogni fraintendimento, si può tracciare la

fisionomia dell’inviato, nella quale, in realtà, tutti noi battezzati dovremmo

riconoscerci, o quanto meno, provarci. E così scopriremmo che sorgente e nutrimento

della missione è la Preghiera: essere apostoli, infatti, non è frutto di un nostro

disegno, ma nasce dalla preghiera, nella quale andranno cercati lo stimolo, la forza,

l’orientamento all’azione. E qualora questo intimo collegamento con la sorgente

venga meno, assisteremo ad un fuoco che si spegne, ad un apostolato che si riduce ad

un “mestiere”.

L’inviato, poi, si compiace della debolezza e della mansuetudine ,che non sono

atteggiamenti di rinuncia e rassegnazione, ma espressioni della volontà di donarsi

senza riserve, senza pretese e, soprattutto,liberamente. L’unica forza a sua

disposizione è una parola disarmata e disarmante, che può essere respinta, derisa,

contraddetta. E anche di fronte al rifiuto e all’ostilità, la parola d’ordine del

missionario è libertà, è testimonianza pacifica e serena, è dolcezza e amore anche

verso l’ostinata negazione.

Lo stile dell’iniziato è la povertà. L’efficacia della missione non dipende dai

mezzi umani impiegati, non da opere colossali, non da strutture imponenti, o da

tecniche all’avanguardia poste in atto. Anzi, l’assenza di tutto ciò rappresenta una

possibilità in più per rendere più credibile l’annuncio. Liberato da tutte le pesanti

sovrastrutture create dall’uomo, e che di umano hanno poco, si sforza di presentare

l’originaria condizione umana, quella buona e bella quale è uscita dalle mani di Dio,

prima del pane, del denaro, del vestito, prima cioè di abbandonare la fiducia nella

provvidenza divina, lasciandosi travolgere dalla inquietudine dell’avere e del potere,

ancor prima che l’aspirazione naturale dell’uomo alla pace e alla carità venga

soffocata dalla smania di prevaricazione. Questa originalità semplice, inoltre, si

accompagna all’essenzialità, ovvero alla capacità di discernere e scegliere ciò che

veramente conta, senza attardarsi nei cerimoniali mondani, nei ritualismi celebrativi,

dove l’apparire trionfa nelle maschere della vanità e dell’esteriorità. L’apostolo,

invece, non è uno che “appare”, non si compiace dei privilegi, degli inchini, dei

sorrisi formali o dei discorsi di circostanza: egli “scuote la polvere” dei battimani, dei

consensi organizzati, degli ossequi superficiali, delle adesioni di convenienza, degli

entusiasmi episodici, che tutto fanno fuorché far emergere la verità del Vangelo.

Però il suo comportarsi rigorosamente secondo lo stile del Vangelo lo farà

apparire un sovversivo, attirando su di sé la malevolenza, l’ostilità e perfino

l’ostracismo del mondo, di cui “intende” minare il sistema di valori basato sulla

vanità, sulla competizione, sul denaro, per cui un uomo vale per la quantità delle cose

che possiede, non certo per i suoi valori, la sua dignità, la verità profonda che lo

rende ciò che è; vale se è capace di manipolare gli altri. In opposizione a tutto questo

“naviga” la barca dell’apostolo e anche se fosse costretto ad attraccare, non importa,

la gioia per la traversata non lo abbandona, la speranza di arrivare alla meta non

scema. Egli sa, infatti, che oltre ogni tempesta c’è sempre il sereno e il vento che

placidamente gonfia le vele, così il male non può vincere sul bene, e l’errore non

prevalere sulla verità. Dio è prima di Satana e la vittoria su di lui già l’ha riportata

Cristo sulla croce. Forte di questa verità, e nonostante le delusioni del presente,

l’apostolo sa di potere vincere e di poter iscrivere il proprio nome nel libro della vita

terna. È bello e confortante sapere che questa speranza è propria di ogni cristiano.

Conclusioni

Scrive lo scrittore francese F.Mauriac: “Per me la predicazione più efficace del

sacerdote è sempre stata la sua vita. Un buon prete non ha nulla da dirmi: io lo guardo

e ciò mi basta”.

Estenderei queste parole, magari rivestendole di una patina orante, a tutti i cristiani

che, proprio in virtù del proprio battesimo, sono diventati per il popolo di Dio anche

sacerdoti.

Cambiando alcune parole, aggiungendone o togliendone altre, e trasformando la frase

in preghiera, la riscriverei così: “Prego affinché l’annuncio più efficace di ogni

cristiano sia sempre la propria vita, giacché un buon cristiano non ha nulla da dire: lo

si guarda e ciò basta”. È così che la missione diventa contagiosa.

 

Serena domenica.

+ Vincenzo Bertolone

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