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Rodotà:Un'occasione perduta PDF Stampa E-mail
Scritto da A.M.Cavallaro   
venerdì, 19 aprile 2013 21:17
ImageCi  sembra opportuno pubblicare un articolo del quotidiano “La Repubblica” del 29 aprile 1993, riguardante le dimissioni che l’allora deputato al Parlamento prof. Stefano Rodotà presentò al suo presidente.  Con Rodotà alla più alta carica dello Stato,  l’Italia avrebbe certamente rinverdito la tradizione di grandi giuristi che in alcune occasioni hanno occupato il palazzo del Quirinale. Rodotà è calabrese, originario di San Benedetto Ullano, un paesino arbereshe nei pressi di Cosenza, che sulla scia di un altro grande giurista-costituzionalista, anch’egli di origini arbereshe (di Civita) Costantino Mortati, si è appassionato agli studi di giurisprudenza raggiungendo risultati di grande rilievo sia in qualità di professore di diritto civile in diverse università italiane, sia quale deputato al parlamento dove ha ricoperto diversi incarichi. L’articolo che trovate nella seconda parte, la dice lunga sulla sua dirittura morale e sul suo alto senso della politica e dello Stato. Certamente sarebbe stato un grande Presidente della Repubblica.

ROMA - "Signor Presidente, rassegno oggi, 28 aprile 1993, le mie dimissioni da componente della Camera dei deputati". Così Stefano Rodotà, giurista e deputato del Pds, in Parlamento dal 1979, ha annunciato ieri a Giorgio Napolitano la decisione di lasciare Montecitorio per tornare all' Università. Le "semplici ragioni" di questa scelta, sono contenute nella stessa lettera di dimissioni. "Sono convinto che sia indispensabile un impegno intenso nella ricerca, nell' analisi della realtà mutata, nella ' produzione di idee' - ha scritto - un impegno che, se vuole essere serio, richiede una dedizione piena, incompatibile con un lavoro parlamentare altrettanto serio. Questa non è solo una esigenza personale. Mi pare che risponda pure a un modo non chiuso di guardare ai modi e ai luoghi della politica. Aggiungo che la mia presenza in Parlamento mi appare ormai fin troppo lunga. Non sono sensibile alla retorica delle facce nuove. Ma sono convinto che nessuno sia indispensabile e che una rotazione sia anche un modo per avere in Parlamento persone con motivazioni e stimoli che altri possono aver perduto. Infine, abituato per anni a un particolarissimo modo di lavorare in Parlamento, confesso qualche difficoltà a lavorare con i ritmi del passato". L' ex ministro ombra della Giustizia ed ex presidente del Pds, di recente tra i garanti del Comitato per il No ai referendum elettorali, lascia così l' aula di cui, nel giugno scorso, sembrò potesse diventare presidente. "Spero - ha concluso - che nessuno vorrà interpretare queste mie dimissioni come un segno di sfiducia verso quell' istituto parlamentare che, più di altri, penso in questi anni d' aver difeso". ' PERCHE' SCELGO L' UNIVERSITA' ' POSSO commentare io stesso le mie dimissioni da deputato? Non ci sono retroscena da svelare o motivazioni da chiarire: quel che ho scritto nella lettera al presidente della Camera è tutta la verità. Ma, poiché mai tutto è davvero chiaro alla prima occhiata, forse può essere utile una aggiunta, che suoni come interpretazione autentica di quel gesto. La mia non è una ritirata, né un rifiuto sull' aria di "ingrata politica non avrai le mie ossa". I tempi sono così pieni di politica che nessuno può tirarsene fuori con un gesto o una parola. Quel che discutiamo, di nuovo con qualche passione, sono proprio i luoghi e i modi della politica. E allora il Parlamento può essere ancora considerato l' unico luogo, o il luogo privilegiato, dell' azione politica? E, se pure lo fosse, quali idee, criteri, motivazioni devono ispirare e guidare quest' azione? Da molto tempo ormai andavo riflettendo proprio sul cambiamento profondo che, con cadenze fin troppo simboliche, accompagna la fine del secolo. Ed era persino ovvia la scoperta dell' arretratezza di troppe analisi, dell' invecchiamento di tante categorie, della stagnazione delle idee. Le varie commissioni sulle riforme istituzionali falliscono soltanto per il bieco conservatorismo dei vecchi partiti o perché non sono state finora sorrette da una cultura politica adeguata? Ecco la domanda, ed ecco la decisione di impegnarsi a tempo pieno nella direzione della ricerca, dell' insegnamento, di una discussione aperta, dunque di un' azione pubblica che abbia modalità diverse da quelle che più mi hanno accompagnato in questi anni. PER ME il mutamento non è moda, o pretesto per qualche variazione del gioco politico. Nel momento in cui il risultato referendario ci obbliga finalmente ad andare oltre la monocultura elettorale, infinite altre questioni sono davanti a noi, ineludibili. I nuovi orizzonti istituzionali della democrazia maggioritaria e il governo di una comunità internazionale uscita dall' ordine bipolare. Il cambiamento di senso del lavoro e della sua divisione internazionale. La forza politica dei sistemi informativi e la ripulsa ecologica di vecchie logiche proprietarie. Il mercato e la cittadinanza vecchia e nuova. Le tecnologie, le donne, gli uomini. L' etica, i valori, le regole di diritto... Troppo per un uomo solo? Ma è ovvio. Da qui la decisione di uscire da un Parlamento oppresso da decreti legge e autorizzazioni a procedere e di tornare all' Università come luogo pubblico di confronto e ricerca, e il progetto di collegare in un lavoro comune fondazioni, riviste, gruppi, persone perdute dalla politica in questi anni di terribile dissipazione di energie umane. UN' ILLUSIONE, forse. Certamente una scommessa. Che non poteva esser fatta rimanendo nel cerchio della politica tradizionale, poiché ormai il cittadino tende a rifiutare tutto quel che arriva da quel mondo. La condizione parlamentare è descritta come fonte infinita di privilegi, ogni proposta è sospetta di parzialità, un libro rischia d' essere presentato come uno strumento per acchiappare voti. Per restituire credito alla "produzione di idee", bisogna collocarle fuori dai tradizionali circuiti della politica? Comunque sia, non considero le mie dimissioni un' ' uscita' , ma un principio, l' avvio di un nuovo lavoro. Al Parlamento, a questi lunghi anni di milizia parlamentare, devo molte cose, un' esperienza che spero di mettere a frutto. Ma, riandando a quegli anni e alle cose dette e fatte, li penso come ad una grande occasione per parlare con ' il senno del prima' . Ho il freddo orgoglio di chi si accorge di non aver ignorato alcun indizio dello sfacelo e della corruzione crescente, che pure il lavoro parlamentare metteva sotto gli occhi di tutti e che troppi vollero colpevolmente ignorare. Nell' aula di Montecitorio e sulle pagine di questo giornale ho parlato in modo franco, per molti sgradito. Spero di non aver perduto quello spirito.

La Repubblica - 29 aprile 1993
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