Skip to content

Sibari

Narrow screen resolution Wide screen resolution Increase font size Decrease font size Default font size    Default color brown color green color red color blue color
Advertisement
Vi Trovate: Home arrow Storie Miti e Leggende arrow Cassano come Versailles?
Skip to content
Cassano come Versailles? PDF Stampa E-mail
Scritto da administrator   
lunedì, 11 marzo 2013 09:53
ImageE’ ormai universalmente conosciuto il libro <<“Old Calabria” di Norman Douglas, il viaggiatore cosmopolita che costruì, su quelle tante “esplorazioni” calabresi, tra il 1907 e il 1947, una durevole fortuna letteraria (il suo libro, uscito nel 1915, è ancora pubblicato e letto e costituisce un classico della letteratura di viaggio e, assieme, della narrazione sulla Calabria).>>  In questo libro che ha avuto un enorme successo e che viene ancora stampato, Norman Douglas parla poco di Cassano e ne parla poco anche in altre successive sue pubblicazioni, tanto che qualche suo estimatore ha pensato che il viaggiatore inglese non ci si sia mai fermato. In una recente pubblicazione dell’editore Rubbettino di un breve diario di viaggio scritto da un amico molto “intimo” di Douglas, il ravennate Giuseppe Orioli, dal titolo “In Viaggio”, scopriamo invece un’avventura non molto simpatica in cui incapparono i due amici proprio passando da Cassano nel 1929. Vi proponiamo il brano in questione esattamente come appare nella succitata pubblicazione.  In coda alcune note sul libro e sulla figura di Giuseppe Orioli.

CASSANO JONIO

Sulla nostra strada trovammo la stazione di Cassano (1933 n.d.r.). Non ci interessò salire fino al paese, a causa di quello che, alcuni anni fa, accadde a me e a Norman. Allora (1929  n.d.r.) noi due eravamo andati a Cassano e il suo ricordo è per me come un brutto sogno. Penso che raccontare quella piccola storia può essere utile a qualcuno. Avevamo percorso, di sera, la strada che dalla stazione di Cassano sale verso l’alto, con un’unica piacevole pausa nella frazione di Doria, la quale non dista molto dalla stazione, dove trovammo della gente gradevole, con la quale parlammo e bevemmo il vero vino calabrese, quello con il gusto di viola che rimane cosi piacevolmente sul palato. Ci fermammo a Doria quasi fino a notte. Comunque c’era il chiarore della luna piena. Eravamo entrambi ansiosi di vedere Cassano, descritto in alcuni vecchi libri di viaggio come un luogo allegro ed elegante, pieno di palazzi e di turisti distinti,  come la “Versailles della Calabria”.

Durante il tragitto da Doria, circa nove chilometri, ascoltammo il gracidio delle rane lungo il ciglio della strada e vedemmo brillare davanti a noi le luci di Cassano. Sembravano sempre più irraggiungibili. Sulla strada non incontrammo nessuno figuriamoci se si puo trovare un calabrese che di notte esce per la campagna. Hanno un atavico terrore dei briganti e dei lupi. Noi, intanto, non vedevamo l’ora di trovare un hotel lussuoso, del buon cibo ed una sontuosa camera, magari con bagno.

La mia guida, come al solito, ne riportava parecchi. Cassano forse è stato un bel posto in altri tempi, così come Sibari, ma molto tempo fa......

Arrivammo poco dopo le dieci e trovammo tutto chiuso. Per strada c’era solo un uomo che camminava con passo svelto. Gli chiesi di indicarci un albergo. Mi rispose  che non ce n’era uno in tutta Cassano, ma che ci poteva accompagnare da una donna in  grado di offrirci una sistemazione per la notte e servirci da mangiare. Dopo aver salito i gradini di una sporca casa, fummo ricevuti in un modo non cordiale da una donna alta e robusta, una vera virago, un uomo-donna, un mostro terrificante, Ci condusse in una stanza dove c’era un lungo tavolo sul quale un uomo stava facendo dei conteggi. Era cosi miope che stava con il naso attaccato al foglio.

Non si preoccupò affatto di noi.

Per quanto concerne il mangiare, la virago ci disse che poteva servirci del pane, tre uova sode e mezzo litro di vino: era tutto quello che aveva. Fummo costretti ad accontentarci. Poi le chiedemmo dove potevamo dormire. Ci indicò due letti in una stanza dove c’erano già cinque uomini che russavano. Vorrei aggiungere un altro dettaglio di questa stanza, ma non posso. Al centro c’era una piccola bacinella dove tutti si potevano lavare alla meglio. Sia io che Norman dormimmo molto male in quella topaia, dalla quale andammo via senza far rumore al mattino presto. Visitammo Cassano, che non ci piacque affatto. Al nostro ritorno, trovammo la virago che già preparava il pranzo per i suoi ospiti. Pranzo che consisteva in budella di capra. Prima strizzò il loro orribile contenuto, poi le tagliò in piccoli pezzi da friggere, suppongo, nel rancido lardo di maiale. La preparazione di questo piatto ci disgustò. Decidemmo  di partire immediatamente e, per fortuna, trovammo un uomo disposto ad accompagnarci in macchina fino a Castrovillari, oltre il paese albanese di Civita, dove nessuno di noi due era mai stato. Tutto questo, per la “Versailles della Calabria”

Era una bellissima giornata e fu un bellissimo viaggio, con la cima del Pollino sempre in vista. Da un punto della strada, devo dire, Cassano sembrò molto pittoresca, con le sue fatali vecchie rovine del castello.

All’arrivo a Civita, pensammo che dovesse essere giorno di festa perché tutte le donne indossavano i loro magnifici costumi tinti in casa. Si muovevano intorno come fiori tropicali sotto i raggi del sole.

Da lì si intravedeva, stupendamente nella valle, il torrente Raganello, che è l’Akalandros menzionato da Strabone. Ci portarono a vedere il così detto “Ponte del diavolo” un posto sensazionale. Nel guardare il Raganello da quel punto cosi alto, ebbi una sensazione raccapricciante, stavo forse cominciando a perdermi d’animo? Il letto del fiume, ricoperto di pietre nere, che sembravano rivestite di pece, era terribilmente sinistro, come nelle illustrazione dell’Inferno dantesco del Dorè.

Ci piaceva Civita, con così tanta bella gente e con bambini veramente deliziosi. Poi un dottore, un uomo basso e paffuto di circa cinquant’anni, si avvicinò chiedendoci un passaggio fino a Frascineto, un altro paese albanese sulla strada per Castrovillari. Si scusò profondamente di doverci recare questo fastidio, ma non c’era nessun mezzo di trasporto in quel momento e lui aveva un caso urgente. Naturalmente lo portammo con noi e fu una piacevole compagnia. Gli chiesi se fosse albanese. No disse calabrese. “andate d’accordo con questi albanesi?”

"Benissimo. Sono dei buoni pazienti, migliori della mia gente. Prendete la malaria. Molti calabresi hanno ancora paura del chinino, gli albanesi, invece, lo prendono subito. Tanto è vero che ci sono meno casi di febbre tra gli albanesi che tra i calabresi."

"Suppongo che non abbiate molti casi a Civita."

"Di recente non molti. Ma alcuni anni fa era ancora una piaga seria, malgrado tutti i loro soldi. Perché questa gente sta bene. E'  difficile trovare qualche famiglia che non abbia qualche parente in America, che quando può manda soldi a casa. Sono abili e tenaci agricoltori. Sanno come sfruttare al meglio la loro terra."

"Capite la loro lingua?"

"Ho cercato di impararla, ma vi ho rinunciato. Appena ti impadronisci di una delle loro straordinarie parole, la dimentichi mentre cerchi di impararne un’altra. Poi, quale sarebbe l’utilità? Parlano tutti l’italiano e meglio dei calabresi."

Il giovane dottore ci lasciò a Frascineto, dove anche noi ci fermammo mezz’ora per rinfrescarci in una deliziosa osteria. Sono affezionato a questi luoghi albanesi e anche alla gente. Mi piacerebbe visitare tutte le loro colonie in Calabria, Lucania e Puglia. Ce ne sono anche in Sicilia, a Piana dei greci e forse in altri posti.

Poi proseguimmo per Castrovillari. Questo accadde nel 1929.

Questa volta, con Charles e Ian non scendemmo a Cassano, mai più, ma a Spezzano Albanese, che è la stazione di Castrovillari. Qui trovammo un autista che ci portò subito al paese e ci depositò all’albergo d’Atri.

Giuseppe Orioli - In Viaggio (Rubbettino Editore)

Image
Norman Douglas e Giuseppe Orioli
 

Recensione del libro di Orioli “In Viaggio” tratta dal web:

“Nella primavera del 1933 Giuseppe Orioli e il suo compagno Norman Douglas si aggiungono alla schiera degli illustri visitatori della Calabria. Definirli una strana coppia è poco: nel 1922, quando si conoscono, hanno rispettivamente 38 e 54 anni, ma il sodalizio anche omoerotico fra i due diviene presto saldo e duraturo. Il viaggio si svolge in pieno fascismo pre-bellico, in un Sud contadino e povero; il Sud delle quotidiana lotta per la sopravvivenza, che spesso costringe a tentare la sorte al di là di un mare, nella favolosa America. Orioli tratteggia con umana simpatia i volti scavati degli uomini, le donne invecchiate precocemente, i bambini denutriti. Accanto a questi personaggi, descrive ciò di cui gli uomini si nutrono. Conscio che la cucina di un popolo è fra i tratti che meglio ne definiscono l'identità. Il vino, innanzitutto, il pesce, le uova, i formaggi, le fave, cibi spesso umiliati dalla perfidia dei locandieri. E poi c'è la natura, che la fa da padrona. Percorsa da fiumi, fiumare e torrenti la Calabria offre al viaggiatore un paesaggio incontaminato, ricco di selve con le loro molteplici inebrianti fragranze, e di panorami ineguagliabili e mozzafiato. Tutto è narrato con toni umili e schivi, con una modestia di fondo che rende i suoi calabresi più vicini alla nostra sensibilità di uomini del XXI secolo.”

 

 

GIUSEPPE ORIOLI (1884-1942)  -  Nato ad Alfonsine (RA)  nel 1884 e morto a Lisbona nel 1942. Editore e commerciante di libri antichi. Figlio di un bottegaio che gestiva una drogheria e un'osteria, nacque ad Alfonsine nel 1884.A 14 anni si trasferì a Firenze per lavorare nella bottega di un barbiere e, dopo il servizio militare, emigrò a Parigi e poi a Londra dove aprì un piccolo negozio di libri di antiquariato e una casa editrice che pubblicò il famoso romanzo erotico di D. H. LAwrence L'amante di Lady Chatterlay.Orioli viaggiò molto, soprattutto in compagnia di Norman Douglas a cui era legato da un'amicizia "particolare"; ebbe una vita intensa, avventurosa e ricca di incontri con personaggi illustri tra cui il pianista Rubinstein, il fondatore del dadaismo Tzara, Eugenio Montale e Gabriele D'annunzio. Morì a Lisbona nel 1942, in piena seconda guerra mondiale.

 

Image
Cassano nel 1920
 

< Precedente   Prossimo >