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L'obbligo della concretezza PDF Stampa E-mail
Scritto da A.M.Cavallaro   
lunedì, 31 dicembre 2012 10:17
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Fabrizio Forquet
"È quel riformismo della concretezza che Gaetano Salvemini un secolo fa contrapponeva all'ideologismo «tutto fini e niente mezzi» dei massimalisti. Il riformismo che sarà poi alla base delle lezioni di Einaudi, dell'azione politica di De Gasperi, della spinta di Nenni e Fanfani, fino alla lucida opera di salvataggio condotta dai governi Ciampi e Amato." 
   Neanche a farlo apposta, lo stesso giorno in cui citavo su questo sito una frase del grande riformista Gaetano Salvemini nel mio articolo dal titolo "Da Salvemini a Monti", il vice-direttore dell'autorevole quotidiano "Il Sole 24 Ore", Fabrizio Forquet, nel suo editoriale dal titolo "L'obbligo della concretezza", citava l'assunto famoso di Salvemini che ho riportato all'inizio di questa mia nota. Forquet, ovviamente, sfrutta pro domo sua l'affermazione di circa 100 anni fa,  in un contesto completamente diverso da quello odierno e che si riferiva alle grandi, ma inattuabili, idee che circolavano nella politica italiana del tempo (a cavallo tra il XIX e il XX secolo) per risolvere la "questione meridionale", senza avere i mezzi adeguati e necessari per concretizzarle.

 (citazione dal web)<<Salvemini, è noto, era un socialista riformista, ma il suo riformismo fu sempre innovativo perché ebbe come stella polare l’abito della concretezza. Concretezza equivaleva per lui a onestà. Odiava, quindi, l’ideologismo “tutto fini e niente mezzi” e diffidava delle grandi filosofie della storia che pretendono di rispondere, con un unico schema, a tutti i grandi problemi della vita, compresi… i problemi insolubili.>>

Il vice-direttore del Sole 24 Ore mette addirittura Amato fra i "salvatori della patria" e fa intendere chiaramente che la concretezza a cui aspirava Salvemini, oggi, la può offrire solo Monti, che non è vincolato, secondo lui, da ideologie "auto-bloccanti" come potrebbe essere per Bersani, dimenticando, però, che il professore è di fatto la "longa manus" dei poteri forti costituiti dalle banche e dai grandi capitali, per giunta appoggiato dai clericali, che, guarda caso lo spalleggeranno e non poco, nella prossima competizione elettorale. Clericali che Salvemini non voleva assolutamente coinvolti nella gestione della cosa pubblica. Chi ha letto l'articolo del "disinvolto" Forquet, senza conoscere approfonditamente il pensiero e l'opera del grande Salvemini, poteva essere tratto in inganno da questo accoppiamento alquanto azzardato e aggiungerei inverosimile. Certi giornalisti dovrebbero essere più attenti e meno superficiali quando si permettono di citare a sproposito e senza chiarire il contesto storico in cui sono state pronunciate, frasi e affermazioni di grandi uomini come Gaetano Salvemini.

Per esplicitare meglio la frase: "tutto fini e niente mezzi", possiamo fare riferimento a certi programmi pre-elettorali della politica nostrana, per esempio: "E' necessario portare l'acqua potabile a Marina di Sibari", "faremo l'aeroporto", "ci daremo da fare per il problema del lavoro", ecc ecc ecc, senza indicare con quali mezzi e con quali metodi s'intendono raggiungere tali finalità. In questo senso era intesa la concretezza auspicata da Salvemini e dai riformisti in generale.

Antonio MIchele Cavallaro

 

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Per leggere l'articolo del Sole 24 Ore

Per saperne di più su Gaetano Salvemini e la questione meridionale

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