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76°Anniversario della morte di Pirandello PDF Stampa E-mail
Scritto da administrator   
mercoledì, 12 dicembre 2012 08:01
ImageLo scorso lunedì , 10 dicembre,  ricorreva l’anniversario della scomparsa di un grande drammaturgo, scrittore, poeta italiano e Premio Nobel per la letteratura nel 1934, Luigi Pirandello. Pochi ne hanno avuto sentore, noi vogliamo ricordare il grande letterato, che fu amico anche del nostro conterraneo Ital Carlo Falbo, con le brevi note che seguono, tratte dal web.
Pirandello nasce nei pressi dell’odierna Agrigento, in una località chiamata originariamente “Càvusu”, ma che diventa poi “Caos”, per l’errore di trascrizione di un impiegato comunale; questo “nascere dal Caos”, come lui ama spesso sottolineare, ha anche simbolicamente segnato il suo costante confrontarsi dell’arte con la vita, che è proprio della sua poetica. Il suo talento letterario si manifesta fin da giovane, con un’opera scritta all’età di 11 anni e poi andata perduta, Barbaro. Gli studi universitari iniziano a Palermo, per poi proseguire a Roma e infine a Bonn, aprendo un ponte privilegiato con la Germania che rimane per tutta la vita.L’amore per il teatro inizia a farsi strada fin dai tempi dell’università, ma è un rapporto di amore-odio; infatti, nonostante i molti testi scritti all’inizio della sua carriera, questi non arrivano mai al successo e quindi decide di spostare il suo interesse sulla narrativa e sulla poetica.

Ma qualcosa sconvolge la sua vita ed è il crollo finanziario che segna indissolubilmente la sua vita e lo costringe a spostarsi sul teatro dialettale per risanare le finanze familiari. Di questo periodo sono opere come Pensaci, Giacomino!
Subito dopo arriva il successo sul fronte della narrativa, con il romanzo Il fu Mattia Pascal, tradotto in varie lingue. Sul fronte del teatro, Pirandello, abbondona il teatro dialettale per iniziare a comporre in italiano, con Così è (se vi pare) e Il piacere dell’onestà, fino ad arrivare a Sei personaggi in cerca d’autore, opera nella quale arriva a maturazione l’idea drammaturgica pirandelliana, nella quale azzera la tipologia del dramma tradizionale per inventare una situazione inaspettata.
Gli anni della guerra sono anni difficili non solo per la situazione civile, ma anche per l’aggravarsi della malattia mentale della moglie, che lo portano poi ad avvicinarsi ai temi dell’incoscio e della psicoanalisi e alle nuove teorie di Sigmund Freud. In questi anni, insieme ad altri scrittori, fonda la Compagnia del Teatro d’Arte, che però dal punto di vista finanziario si dimostra un fallimento.
Dopo lo scioglimento del Teatro d’Arte, Pirandello si autoesilia in Germania, dove rimane per alcuni anni, fino al suo rientro in Italia dove resta fino alla morte.
Il pensiero pirandelliano è contorto e spazia su varie tipologie artistiche: è uno scrittore a tutto tondo, dal teatro alla poetica, passando per la narrativa. La vita difficile e le esperienze personali hanno senz’altro influenzato non sempre positivamente le sue scelte, ma certo è che Pirandello rimane uno dei massimi esponenti del teatro italiano e della narrativa del Novecento.

 

Autoritratto

«Sono nato in Sicilia, e precisamente in una campagna presso Girgenti, il 28 giugno del 1867. Venni a Roma la prima volta nel 1886 e vi stetti due anni. Nell'ottobre del 1888 partii per la Germania e vi rimasi due anni e mezzo. Mi laureai là, all'Università di Bonn, in lettere e filosofia. Nel 1891 ritornai a Roma, e non me ne son più mosso. Insegno, purtroppo, da 15 anni Stilistica nell'Istituto Superiore di Magistero Femminile. Dico purtroppo, non solo perché l'insegnamento mi pesa enormemente, ma anche perché la mia più viva aspirazione sarebbe quella di ritirarmi in campagna a lavorare.

Vivo a Roma quanto più posso ritirato; non esco che per poche ore soltanto sul far della sera, per fare un po' di moto, e m'accompagno, se mi capita, con qualche amico.

Non vado che rarissimamente a teatro. Alle 10, ogni sera, sono a letto. Mi levo la mattina per tempo e lavoro abitualmente fino a mezzogiorno. Il dopo pranzo, di solito, mi rimetto a tavolino alle 2 e mezza, e sto fino alle 5 e mezza; ma, dopo le ore della mattina, non scrivo più, se non per qualche urgente necessità; piuttosto leggo o studio. La sera, dopo cena, sto un po' a conversar con la mia famigliuola, leggo i titoli degli articoli e le rubriche di qualche giornale, e a letto.

Come vede, nella mia vita non c'è niente che meriti di essere rilevato: è tutta interiore, nel mio lavoro e nei miei pensieri che... non sono lieti.

Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza poter sapere né come né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà (una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria.

Chi ha capito il giuoco, non riesce più a ingannarsi; ma chi non riesce più a ingannarsi non può più prendere né gusto né piacere alla vita.

Così è. La mia arte è piena di compassione amara per tutti quelli che si ingannano; ma questa compassione non può non essere seguita dalla feroce irrisione del destino, che condanna l'uomo all'inganno. Questa, in succinto, la ragione dell'amarezza della mia arte, e anche della mia vita.»

fonte:  www.italialibri.net

 

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