Naufragio del "Principessa Mafalda" |
Scritto da R.Messina | |
lunedì, 27 febbraio 2012 08:01 | |
La storia di un piroscafo, il "Principessa Mafalda", vanto della Marina Mercantile italiana. Centoquaranta metri di lunghezza, diciassette di larghezza e diciannove nodi di velocità per una traversata di lusso in soli quindici giorni. Naufragato in Brasile, tanti anni fa, col suo arredo Luigi XVI, i saloni coi sofà di velluto, gli eleganti ristoranti, i giardini d'inverno e il carico umano di emigranti per il sudamerica. In uno dei suoi precedenti viaggi, il "bastimento" aveva ospitato Carlos Gardel, il re del tango. Poi Luigi Pirandello. E nel marzo de 1910, Guglielmo Marconi, che testò le sue invenzioni di radiocomunicazione. Una pagina dolorosa della sovente triste emigrazione italiana e calabrese oltreoceano. Dimenticata, ma che aveva suscitato in quel tempo scalpore e commozione per il terribile epilogo dell'ennesima puntata della diaspora di connazionali in cerca di dignità, dovunque fosse. Anche nel "Nuovo Mondo". Anche nella 'Merica.. «E' il racconto del naufragio del 25 ottobre 1927 al largo della costa brasiliana - spiega il giornalista Pasquale Guaglianone, da diversi anni trasferito a Buenos Aires e autore del libro "Il naufragio previsto" (Editoriale progetto 2000) - in cui persero la vita centinaia di emigrati partiti per un luogo lontanissimo. Racconto doloroso, di cui si scrisse in ogni parte del mondo. Un omaggio alla loro memoria, al loro eroico puntare a ovest, gli occhi persi nell'infinito, alle spalle miseria e degrado, davanti il sogno della terra promessa. Un sogno rimasto però tale per molti di loro, in quello sconfinato Atlantico che il 'Principessa Mafalda' solcò più volte, ma che quel giorno gli tese una trappola mortale». La storia comincia nel porto di Genova, sotto la "Lanterna", tra i bastioni ottocenteschi e le banchine animate e cariche di ogni cianfrusaglia. Quasi l'autore fosse a bordo, avvia un avvincente racconto che, passo dopo passo, rivela quanto accadde sulla nave. A cominciare dalla ricostruzione delle tante storie di gente unita dal caso, accomunata dal grande esodo per mare, avvicinata, resa sodale per il comune sentore e il comune ambire. Calabresi, tanti: di Cetraro, Scilla, Corigliano. Ma anche contadini del Polesine e del Friuli. Artigiani campani. Sarti siciliani. Famiglie intere. E tanti uomini soli, curvi e tristi. Anche gente ben vestita: soprattutto ricchi turisti sudamericani di ritorno da Parigi, pieni di ammirazione per la sua inimitabile "grandeur", destinata comunque a lasciare il segno anche nelle architetture lungo le avenidas portegne. Quella di Guaglianone è narrazione (e prosa) che emoziona, specie nella descrizione del momento clou del naufragio (per lo sganciamento di un'elica che provoca una grossa falla a poppa), con l'orchestra di bordo che, contrariamente al "Titanic", qui tace improvvisamente. Quel silenzio produce un brivido che corre sulla schiena della gente, che intuisce qualcosa, e poi urla disperata, corre insensatamente su e giù per i ponti. Il rumore sordo delle lance gettate in mare in tutta fretta. Le invocazioni di aiuto pronunciate in una babele di lingue. L'acqua che sale inesorabile da ogni parte, inonda stive e cabine. Le onde che si infrangono sempre più forti sulla parete inclinata del piroscafo. La schiuma che dà schiaffi in faccia. Giù, di sotto, il colore cupo degli abissi. E una volta in mare, il terrore dei pescicane che si avvicinano. Su quest'infernale bailamme, le voci e gli ordini perentori dell'eroico capitano Gulì, che morirà al comando del suo sarcofago inghiottito dall'oceano; e quelle degli ufficiali Bernardi e Santoro, appena ventenni, che si calano temerari senza indugio nei dormitori a soccorrere i passeggeri in difficoltà e in preda al panico. Poi il repentino inabissamento, l'avvolgimento come di un lenzuolo, della distesa liquida che cpre tuttoi e tutti. Quindi i soccorsi dalle navi "Althena", "Formose", "Empire Star", "Rosetti", "Avelona", posizionate tutt'intorno al "Mafalda", come a piangere il funerale del gigante d'acciaio ferito a morte. E la triste conta dei dispersi: più di quattrocento, su circa milleduecento passeggeri, con i sopravvissuti condotti in salvo dopo due giorni a Rio de Janeiro. Ricostruzione e descrizione minuziosa dei fatti, operata con evidente partecipazione emotiva e piena empatia da Pasquale Guaglianone, sono frutto di lungo ed accurato lavoro di ricerca sui giornali d'epoca rinvenuti a Buenos Aires, e di testimonianze dirette di sopravvissuti rintracciati in Argentina. Ora, per questa fatica editoriale (in via di traduzione in spagnolo e disponibile a breve in ebook) si sta approntando una "tournée" (che non fatichiamo ad immaginare accolta con grande interesse) tra New York, Buenos Aires, Mendoza e Cordoba: proprio i luogi dell'approdo, della speranza, del riscatto dei sopravvissuti del "Mafalda".-
Roberto Messina |
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