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Vangelo di domenica 27 novembre PDF Stampa E-mail
Scritto da Vari   
domenica, 27 novembre 2011 08:02
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Giudizio Universale
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 13,33-37.

State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. E' come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!».

 Il commento di mons.Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace

I Domenica d’Avvento

27 Novembre 2011 

Incontro alla speranza

Introduzione

                Questo è il tempo dell’inizio. Oggi infatti I Domenica d’Avvento, la Chiesa celebra il primo giorno di un nuovo anno liturgico, durante il quale il vangelo di Marco ci aiuterà a scoprire progressivamente il volto umano di Gesù e, in Lui, il volto divino del Padre. Si tratta di un viaggio nella storia e nella missione di Gesù, segnato continuamente da un passaggio dall’oscurità alla luce. Infatti, nei lineamenti dell’uomo Gesù di Nazareth emergono quelli gloriosi del Messia, mentre dai tratti sofferenti del Crocifisso, quelli del Figlio di Dio.

                Due proclamazioni aprono e chiudono il vangelo di Marco, entrambe riconoscono l’identità propria dell’uomo Gesù: la prima è il riconoscimento del Padre. Durante l’episodio del battesimo di Gesù la voce celeste lo presenta come: “Il Figlio Prediletto in cui il Padre si compiace” (1,11). La seconda proclamazione, infine, posta a chiusura del Vangelo, è quella in cui il primo convertito pagano conferma che “quest’ uomo è veramente Figlio di Dio” (15,30).

                Tuttavia, l’Avvento con cui l’anno liturgico si apre, ci costringe a iniziare la lettura di Marco dal fondo, con un brano che ci parla di “attenzione” e “vigilanza”, in perfetta armonia con il contenuto del profeta Isaia (I lettura), dove si parla di “attesa”; ma anche concordante con la certezza di una “Presenza” annunciata dall’Apostolo Paolo (II lettura).

                Tre parole, “vigilanza”, “attesa” e “presenza”, ci permettono di scoprire ciò che l’Avvento è nella sua realtà più profonda: un intreccio di attenzione, attesa e presenza.

Così con Isaia apriamo l’Avvento nel desiderio e nell’attesa che ritorni il Signore: “Ritorna Signore, tu amore! Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”; con le parole di Gesù lo riempiamo di “attenzione”: “State attenti, vigilate, perché non sapete in quale momento tornerà”. Mentre, con Paolo all’Avvento attribuiamo un volto, la realtà di una presenza.

                Ecco allora che Avvento diventa invito a rivolgere l’animo, tendere il cuore verso una Presenza, che troppo spesso manca. La speranza di incontrar-La ed accoglier-La diventa l’anima di questa attesa vigilante: “è la speranza che mi commuove – così Péguy fa parlare il Padre -; io mi commuovo non tanto perché credono, perché credere è di tutti; ma che i miei figli sperino, questo mi commuove”.

Attesa, vigilanza e presenza 

                Una introduzione lunga ma necessaria, per parlare di Marco e per ricordare il significato del tempo che stiamo per vivere. Un tempo di “attesa” e di “vigilanza”, ma anche di “speranza” e “presenza”, abbiamo detto all’inizio.

                L’ “attesa” è quella di un ritorno, un desiderio struggente che Dio si incammini di nuovo verso l’uomo. Il ricordo della bontà e della cura di Dio, che genere tristezza nel cuore di chi ne avverte la mancanza, da qui la speranza. La speranza, per il futuro, di un nuovo intervento di Dio. nell’accorato appello del profeta Isaia, è racchiuso anche lo struggente desiderio dell’uomo di ritrovare finalmente se stesso: l’io mancante di Dio. ora è il tempo di ricordare, di sentire nostalgia per il Paradiso che abbiamo perduto scegliendo le vie seducenti e dorate del male. Ora è tempo di fermarsi e attendere.

Ma questa attesa, ci ricorda Gesù nel vangelo di Marco, deve riempirsi di vigilanza, di tensione operosa verso Colui che a noi manca per essere uomini veri.

Noi come la sposa del Cantico dei Cantici, dobbiamo desiderare lo Sposo perché ci renda la nostra dignità: “Io dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! È il mio amato che bussa: Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia” (5,2).

Ecco l’identikit di un animo in avvento: esso è teso ad ascoltare e ad accogliere Colui che viene e che verrà sempre.

                La Sua però è una venuta imprevedibile, è una sorpresa. Può venire quando le ombre stanno scendendo o nel pieno della tenebra a notte fonda, o quando si profila all’orizzonte la prima luce dell’alba o magari può accadere al primo mattino, quando il sole sfolgora in cielo.

Dio è imprevedibile nella Sua venuta, e noi non possiamo che rispondere stando svegli, attenti, non abbandonandoci all’indifferenza, alla pigrizia e alla distrazione.

                Ecco allora profilarsi all’orizzonte il vero identikit del cristiano: egli è l’uomo del giorno, è l’uomo della speranza, perché nella notte della prova, nel momento della sconfitta e della malattia, volge l’animo ancora in avanti; perché nel giorno della crisi, del fallimento, della separazione rivolge ancora il cuore a Qualcuno. A quel Qualcuno che si fa presente non solo a Natale, ma ogni giorno quando si ripete per ciascuno il miracolo della vita e dell’amore. il miracolo della realizzazione nella propria umanità, dell’umanità di Cristo.

Nostalgia di Dio 

                Da solo questo esercizio di umanità giustifica la nostra attesa e la nostra vigilanza. Infatti, riusciamo a realizzare in pieno la nostra umanità se accogliamo le mani di Dio che ci plasmano nel quotidiano, se non facciamo resistenza alla pressione sicura e attenta del vasaio. Saremo ancora uomini realizzati se saremo attenti che nessuno seduca le nostre coscienze, facendoci credere che tutto quanto ciò che vediamo è bene, tutto ciò che desideriamo, seguiamo e vogliamo è buono. Ma soprattutto saremo uomini realizzati se saremo attenti agli altri, alle loro parole, ai loro silenzi e alle loro domande; saremo attenti ad ogni uomo perché in ciascuno è scritta la storia di Dio: un tassello importante della Sua trama di salvezza.

                Ora, se non vegliamo rischiamo di perdere la trepidazione dell’attesa, rischiamo di lasciarci sfuggire i tanti segnali di una venuta che è in realtà già ora presenza. L’Atteso non è forse il già venuto? Il Padrone già molte volte tornato e molte volte torna ancora. Torna come straniero, come donna o uomo dal volto sfigurato, come  emarginato, escluso, povero, calpestato, irregolare, clandestino; torna come tribolato, come minoranza, come invisibile. È già tornato e tante volte torna ancora in coloro che vivono negli scantinati della storia e del mondo, in colore che subiscono ingiustizie, in coloro che pagano perché non si adeguano; torna in colo che soffrono per le calamità di oggi per essere voce fuori dal coro, come dissidente, perseguitato, disobbediente, crocifisso.

                È tornato e torna. Spesso senza essere riconosciuto proprio dai suoi. E non perché viene di soppiatto, sotto mentite spoglie, ma perché trasformato dal viaggio. Anche per il Padrone il viaggio non è senza frutto: il viaggio lo ha incarnato, lo ha rivestito delle carni dell’uomo, anche Lui sporco di quel fango che ci devasta. Si è fatto uomo in mezzo a noi già ora, nel bisogno e nella sofferenza. Mentre noi aspettiamo l’incarnazione, Lui a sorpresa si è fatto già uomo.

                Questo in fondo celebriamo in Avvento: la fedeltà di Dio all’uomo, il suo instancabilmente in mezzo a noi, il suo essere Presenza consolatoria e rassicurante che suscita speranza anche quando motivi di speranza ce ne sono pochi.

Ora, un cuore sopito è incapace di cogliere tutto ciò, di percepire la carezza e il tepore delle mani di Dio, vasaio fedele ad oltranza: per quanto noi tradiamo la nostra speranza in Lui, Lui la rinnova sempre in noi.

                Sapere questo, fa nascere in noi il desiderio struggente di Dio e, con esso, il desiderio delle grandi cose, degli interrogativi radicali, degli ampi orizzonti. Il tempo d’Avvento è tempo di preparazione del cuore ad ospitare il grande orizzonte della nostra vita: l’infinito da cui veniamo e a cui siamo destinati.

Conclusione 

                Aveva ragione lo scrittore moralista francese secentesco La Rochefoucauld quando dichiarava: “Chi si dedica troppe alle piccole cose diventa incapace delle grandi”. In molti oggi è diffusa l’abitudine di accontentarsi, si sta bene nella banalità di un’esistenza priva di fremiti e di tensione, non si attende più “oltre”, cioè una meta più alta, una destinazione che non sia solo una qualsiasi stazione di passaggio. Non ci si emoziona più nella ricerca interiore e umana, lo sguardo non si leva più verso il cielo del desiderio e della speranza. Allora, approfittiamo di questo tempo d’Avvento, per ritrovare in noi il lievito evangelico della fiducia, la nostalgia per un orizzonte più vasto e più luminosa: l’orizzonte del nuovo sole che sorge, Cristo.   

Serena domenica                                                                                                       + Vincenzo Bertolone

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Il commento di Mario da Roma

La Parola di Dio ci dice: Vegliate: state svegli, state attenti, vigilate!
Cosa significa essere svegli? Pensiamo all'autista di un camion o di una macchina: un autista deve essere sempre sveglio per non incorrere in pericoli che sarebbero gravissimi.
Bene: anche noi dobbiano essere così attenti, così svegli, così vigilanti, perché viene il Signore.
Noi aspettiamo questa venuta. E poiché c'è sempre un'attesa e una preparazione prima di un incontro finale e decisivo, aspettare l'incontro definitivo con il Signore non deve essere causa di pensieri tristi, ma deve essere un pensiero di speranza, di gioia.

È bello pensare che al termine della nostra vita il Signore ci aspetta a braccia aperte. Noi sappiamo dove stiamo andando: non sappiamo quando, ma sappiamo dove: nella braccia del Padre nostro che è nei cieli. Questo ci commuove. Noi sappiamo che la nostra vita, a volte travagliata, a volte con prove e sofferenze, questa nostra vita avrà una conclusione felice. Sappiamo che il Signore ci attende per darci la vita che non avrà più fine, nella pace e nella gioia, nella pienezza del suo amore. Quando si sa perché si vive, vale la pena vivere e vivere nel modo migliore. La fede dà questo senso pieno all'esistenza, altrimenti saremmo tentati tante volte di disperazione. Questa attesa del Signore ringiovanisce la nostra vita, ci fa sentire come bambini che hanno tutto il loro futuro davanti. Per noi, anche a 80 anni e più, il futuro è avanti, la nostra piena realizzazione deve ancora arrivare. E se fisicamente sono calate le forze, ci è dato il tempo della vigilanza, della preghiera, della preparazione, dell'amore, in attesa dell'Incontro e dell'abbraccio con il Signore.
"State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso". Non serve consolarsi dicendo che nessuno sa quando sarà la fine del mondo. C'è una venuta, un ritorno di Cristo, che ha luogo nella vita di ogni persona, nel suo passaggio all'eternità. Per migliaia e migliaia di persone la fine del mondo è oggi. Oggi è l'incontro con il Signore. Oggi occorre essere pronti.

Ma Gesù è già presente tra di noi, nella sua comunità che è la Chiesa, nella Parola di Dio che leggiamo e accogliamo; è presente nell'Eucaristia. Lo accogliamo nelle nostre mani e nel nostro cuore: a volte lo prendiamo così veloci che quasi non ci accorgiamo che è il Signore.
Siamo invitati ad essere attenti e svegli perché Dio arriverà. Nello stesso tempo dobbiamo essere attenti perché Gesù è già presente in mezzo a noi: nella Parola, nei sacramenti, nelle persone, nei poveri.
Si tratta di essere attenti davanti alla presenza di Dio, di riconoscerlo. E tante volte Cristo Gesù si rende presente là dove noi non pensiamo.
Iniziamo l'Avvento. Imploriamo la venuta di Gesù, perché ci renda partecipi della grazia e della salvezza.
Come vivere questa implorazione e questa attesa nel mondo concreto di oggi? Ci aiuta in questa preghiera il testo del profeta Isaia che è un ripensare all'amore e alla paternità di Dio, che è un prendere coscienza dei nostri peccati e dei peccati dell'umanità, per gridare al Signore l'invocazione più profonda, più sincera, più accorata: Vieni a salvarci o Signore! Ne fa di peccati l'umanità di oggi? Basta guardarsi attorno o seguire i telegiornali! Ciascuno di noi ne fa di peccati? Basta essere sinceri. Non è buona cosa illudersi, pensare che non abbiamo peccati o sentirci abbastanza a posto. Ne è segno la confessione che facciamo di rado o con un esame di coscienza su poche cose, quasi con un confronto sulla mentalità mondana, anziché su tutti i dieci comandamenti e sul comandamento dell'amore: "Amerai Dio con tutto il cuore e il prossimo come te stesso". Ne è segno a volte la superficialità con cui celebriamo l'Eucaristia o facciamo la comunione.

E' importante prendere coscienza di tutti i peccati nostri e dell'umanità, dei nostri peccati come umanità, non per abbatterci, ma per rivolgerci a chi ci può salvare, a chi ci può dare la forza di fare tutta la nostra parte, nel lottare contro il male e nell'intensificare il bene.
Se chiediamo aiuto per finta, è chiaro che non siamo convinti. Ma se siamo coscienti e sinceri, siamo come quelli che in certe situazioni stanno per essere sommersi dalle acque delle alluvioni e rischiano di morire. Questi non invocavano "venite a salvarci" per finta, ma con tutto se stessi, finché qualcuno con qualunque mezzo, anche l'elicottero, non arriva a portarli in salvo.
Il profeta dice: "Tu Signore sei nostro Padre, da sempre ti chiami nostro Salvatore. Perché ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore? Ritorna per amore dei tuoi servi. Se tu squarciassi i cieli e scendessi"!. Gesù lo ha fatto e lo fa: ha squarciato i cieli.
"Tu hai fato le cose più belle e più grandi, ma noi abbiamo peccato contro di te e siamo stati ribelli e ora ne sperimentiamo tutto il castigo e tutto il male che ci siamo dati da noi stessi.
Ma tu Signore sei nostro Padre, noi siamo argilla e tu Colui che dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani".
Allora "Fa splendere il tuo volto e salvaci, Signore. Mostraci la tua misericordia e donaci la tua salvezza".
C'è questa coscienza dei nostri peccati e dei peccati del mondo? C'è il grido sincero e accorato perché il Signore ci venga a salvare? Siamo pronti a fare la nostra parte in questa opera di salvezza? Abbiamo voglia di vivere così il Natale invocando la presenza di Gesù Cristo Figlio di Dio, Salvatore di questa nostra umanità, in tutte le sue disperazioni e malvagità?
Così possiamo credere e accogliere l'incarnazione di Gesù nella nostra storia attuale e in questa nostra storia vogliamo la presenza di Dio.

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