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Vangelo di domenica 18 Settembre PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
sabato, 17 settembre 2011 04:42
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 20,1-16a. - «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto.Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».

XXV Domenica del Tempo Ordinario

18 settembre 2011

Questione di bontà

 

Introduzione

 

                Non si finisce mai di celebrare la misericordia di Dio. Ogni domenica la Parola ce ne svela un aspetto nuovo che a volte meraviglia per la sua incommensurabile grandezza, altre confonde per il netto contrasto con il nostro comune sentire.

È proprio questo il caso del messaggio mediato dalla Parola di oggi, XXV domenica del tempo ordinario, in cui ascoltiamo che di fronte a Dio gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi. È l’evidente ribaltamento di una logica umana chiara e netta; è la speranza di riscatto di molti che, materialmente e spiritualmente, attendono Qualcuno già trovato ma non riconosciuto: “Tu non mi cercheresti, se non mi avessi già trovato” (B. Pascal).

                La difficoltà di comprendere la paradossalità degli ultimi-primi e dei primi-ultimi è legittima, ma non impossibile da chiarire. In questo ci vengono incontro le parole del profeta Isaia, nella prima lettura infatti leggiamo che i pensieri di Dio non sono i nostri, le sue vie non coincidono con le nostre: “Quanto il cielo  sovrasta la terra, tanto le mie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”. Questo significa  che il modo di agire e pensare di Dio non è quello dell’uomo, Egli è assolutamente libero nell’usare la sua prerogativa divina: la misericordia.

                Così, poco importa capire chi siano i primi e gli ultimi, importa, invece, capire che Dio agisce secondo misericordia. E la misericordia, appare chiaro nella parabola del Vangelo appena ascoltata, non sempre corrisponde al metro di misura della giustizia umana, anzi la travalica.

                Di fatti, Dio non fa mancare anche agli ultimi operai del Suo Regno la giusta ricompensa, purché essi rispondano alla Sua chiamata con sincera passione e autentico amore. la stessa passione e lo stesso amore che fa esclamare all’ultimo apostolo di Cristo, Paolo: “Per me vivere è Cristo e il morire ne è un guadagno”. Questo è diventato il programma di vita di un “ultimo”, di uno che si considerava un aborto..

 

L’amore non sbaglia

 

                La parabola raccontata da Gesù ci parla del padrone di una vigna il quale, a tutte le ore del giorno, sin dall’alba fino al tramonto, passa dalla piazza del suo villaggio a chiamare operai che lavorino alla sua vigna. A tutti, sia agli operai della prima ora che a quelli dell’ultima, paga lo stesso compenso. Una cosa simile non accadrebbe mai dalle “nostre parti”, giacché sarebbe profondamente ingiusto per un padrone non riconoscere in modo diverso l’operato di chi ha lavorato di più, ed è altrettanto improduttivo per la fabbrica pagare allo stesso modo chi, non avendo avuto prima la possibilità, ha cominciato a lavorare tardi, producendo poco. La cosa offenderebbe la logica capitalista e il rispetto per la moneta. È dunque naturale sentirsi solidali con gli operai della prima ora, condividerne le proteste indignate di fronte ad un padrone tanto ingiusto.

                Ma il Padrone di quella vigna non sta dalle “nostre parti”. Egli non pesa il merito sulla bilancia della quantità o del tempo di produzione, né tanto meno il suo senso di giustizia nel trattamento economico dei suoi operai ha la fiscalità di un contratto sindacale. Per questo Padrone, infatti, il merito può essere anche l’adesione convinta e vissuta ad un invito inatteso, anche se per un’ora soltanto; mentre la sua giustizia risponde ad una sola legge quella della misericordia. E l’amore, si sa, non si può mercanteggiare, non può avere un prezzo. L’amore di Dio è offerta libera e gratuita, come libera e convinta deve essere la risposta dell’uomo.

                Ciò che ci rende degni del cielo, dunque, non sono i meriti: abbiamo fatto tante opere buone e per lungo tempo, quindi, di diritto dobbiamo pretendere i primi posti davanti alle porte del Paradiso. Per guadagnarsi il Paradiso dobbiamo accogliere con amore il dono gratuito dell’amore infinito di Dio. E poiché non sempre riusciamo a capirlo e ad accoglierlo, può succedere che per alcuni di noi ciò accada anche verso l’ultima ora e, non per questo Dio, si rifiuterà di prenderci per mano portandoci in alto.

                Il segno della “contabilità amministrativa” di Dio non è il “più” o il “meno”, ma l’eguale. Esattamente come un padre e una madre che amano in egual misura ciascuno dei figli. Non conta ai Suoi occhi essere primi o ultimi nella corsa verso il Regno, occorre piuttosto esserci in questa corsa, gareggiando con passione, anche per una sola ora. Questo esserci, preme a Dio più del calcolo preciso dei meriti, delle ricompense, del dovuto. Anche perché Egli offre molto di più di quanto noi possiamo meritare con le nostre opere: ci dà il dono della comunione divina, ci fa divenire figli suoi, ci permette di essere sempre con Lui, oltre il limite della nostra creaturalità, oltre la stessa morte. In sintesi, in Lui diventiamo eterni.

                Allora che importa affannarsi, sgomitare, perdere il sonno per occupare i primi posti, viviamo con dignità la nostra condizione di “ultimi”, perché per lavorare alla vigna del Signore non siamo noi responsabili della nostra chiamata, o della chiamata degli altri. nostra è invero la responsabilità della risposta, qualunque si il momento in cui arriva e rallegrandosi anche per quei fratelli che, pur se in extremis, partecipano della nostra stessa gioia: essere figli immensamente amati dal Padre.

 

Operatori della prima ora

 

                Ma le mormorazioni degli operai della prima ora non sono facili da dimenticare e sono sempre in agguato. Eppure, se facessimo nostro il punto di vista di Dio, riusciremmo a non ascoltarle più e, soprattutto, eviteremmo di cadere nell’errore di essere invidiosi persino della bontà di Dio.

Noi che abbiamo sperimentato per primi il suo amore, noi operai della prima ora, non dobbiamo comportarci come la farisea di Mauriac: perché Signore concedi tanto a chi fino a questo momento non ha rispettato le tue leggi, quando  a me che sono  stata tanto osservante non hai concesso nulla? Né dobbiamo essere come il figlio maggiore della nota parabola del Padre Misericordioso: perché Padre fai festa per un figlio che ti ha abbandonato, sperperato la tua eredità, mentre per me sempre fedele al tuo volere non hai mai fatto feste. Perché questo ingiusto trattamento, perché svendere la tua bontà per l’immeritato. Non si può piegare l’azione e il pensiero di Dio entro le ristrette categorie della mente umana, tutta la rivelazione biblica proclama la sovrana libertà e l’imprevedibilità del Suo agire. E proprio in virtù di questo meraviglioso mistero senza condizioni, noi, chiamati dall’amore di Dio per primi, abbiamo la responsabilità di continuare la Sua opera infaticabile: uscendo a chiamare, ad ogni momento della giornata, altri operai perché tutti in egual misura possano gustare il frutto della Sua misericordia.

                Tale è la missione d’amore che Gesù ha voluto per noi, sua Chiesa: essa, costruita esclusivamente sull’amore infinito del nostro Salvatore, che ha redento tutti gli uomini di qualsiasi razza, cultura, lingua, pensiero politico, e non sulla meritocrazia, per cui gioisce con il suo Signore per ogni peccatore convertito, e loda la sua magnanimità. È la comunità redenta aperta all’uomo, alle sue reali necessita, alla sua cosciente e incosciente necessità di Dio; per cui è indispensabile, obbligatorio, essere dei missionari solerti della Parola nel mondo.

                In questo tempo di crisi in cui non è facile trovare “padroni” magnanimi, che sappiano mettere  al primo posto le necessità dell’uomo trasformando la propria giustizia in carità, spetta a noi portare a tutti il messaggio di salvezza di questa Parola. Una salvezza senza eguali, non tassata, non dipendente da questioni di interessi commerciali, né scaturita da un rapporto fra datore di lavoro e dipendente, ma assolutamente gratuita. Perché si attua a partire dalla sola benevolenza di Dio, i cui criteri di giudizio e di ricompensa superano le aspettative umane ed è molto bello e conveniente che si possa riporre fede in un Dio che si presta all'uomo totalmente fino a raggiungere l'umanità assurda e peccatrice che attende di essere riscattata e di avvertire la garanzia di trovarsi riammessa nell'ordine della grazia; e da parte di tutti bisogna che tale prerogativa di salvezza divina universale venga accettata a cuore aperto e senza condizioni.

Conclusioni 

                A conclusione di queste poche riflessioni sembra opportuno ricordarci le parole che il santo Padre ha rivolto domenica scorsa, in chiusura dei lavori del Congresso  Eucaristico di Ancona, a tutti coloro, e sono tanti, che in questo momento cruciale per tutto il mondo si sentono “ultimi”: “[…] è la relazione con Dio a dare consistenza alla nostra umanità e a rendere buona e giusta la nostra vita…”.

                Restituendo a Dio il primato che Gli spetta nel mondo e nella vita, ritroveremo la verità di ciò che siamo: tutti primi in egual misura nell’amore del Padre.

Serena domenica

+Vincenzo Bertolone

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