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Vangelo di domenica 4 Settembre PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
sabato, 03 settembre 2011 08:21

ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 18,15-20.
Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni.  Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano.
In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo.
In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro». (segue commento di mons. Bertolone)

XXIII Domenica del tempo ordinario

4 settembre 2011

L’arte di essere fratelli

Introduzione

            Abbiamo ormai lasciato l’estate alle spalle e ci apprestiamo a vivere un nuovo anno  pastorale all’interno delle nostre comunità. Lo stato d’animo di molti è quello dei “problemi irrisolti”, nel senso che si ritorna con la certezza che tutto sarà come sempre: le solite problematiche del vivere e agire in comunità e le difficoltà di costruire e mantenere relazioni autentiche.

            Tutto ciò non deve stupirci. Infatti, conoscendo bene le nostre comunità sappiamo che dissapori, rancori, beghe e allontanamenti volontari non mancano. Ciò che dovrebbe stupirci, invece, è che tutti questi sentimenti e atteggiamenti persistono nonostante ogni domenica ci si stringa attorno all’altare per spezzare la Parola e il Pane.

            In questa XXIII domenica del tempo ordinario, la Parola ci viene incontro aiutandoci, se la lasciamo lavorare nel nostro cuore, a trasformare tutto quanto di negativo c’è, che, dentro e attorno a noi, impedisce la costruzione di una comunità veramente fraterna.

            Sì perché tratto dominante della comunità è la fraternità: noi siamo “razza comunitaria”. Siamo affidati gli uni agli altri e siamo responsabili gli uni degli altri. Infatti, il nostro agire e parlare, la nostra stessa credibilità di cristiani acquistano valore salvifico se siamo in comunione con Cristo e con i fratelli.

            Noi cristiani andiamo controcorrente perché non siamo niente senza Dio e gli altri. Solo vivendo nella comunione facciamo esperienza della presenza del divino in mezzo a noi. Questo miracolo è molto di più della certezza che Cristo è qui, tra noi, è garanzia anche di essere ascoltati ed esauditi nelle nostre preghiere dal Padre, ovvero garanzia che ogni sforzo speso per arrivare alla santità, individuale e comunitaria, non può che andare a buon fine.

Dal giudizio alla compassione

            Se leggiamo il brano del Vangelo di questa domenica così com’è, ci appare immediatamente come un “andare di male in peggio”. C’è una situazione di difficoltà iniziale: un membro della comunità caduto nell’errore. Si cerca in principio di risolvere il problema con il dialogo, ma quando la situazione precipita, si arriva alla rottura, alla constatazione del suo allontanamento con messa “al bando” dalla comunità. Letto così il brano non riempie certo di speranza e di serenità.

            Ma si provi a “ribaltare” la lettura. Si provi a leggere il brano partendo dal fondo, ovvero dalla fiduciosa presa di coscienza che dove un gruppo di credenti in Cristo si riunisce nella ricerca del bene comune, nella preghiera, nel faticoso ma esaltante lavoro di intessere relazioni, il Signore è in mezzo a loro, e, dunque, nessun problema è irrisolvibile, nessun dissidio insanabile, né sbaglio tanto grave da non poter essere perdonato.

            La prospettiva cambia e con essa anche il significato stesso del difficile esercizio della correzione. Esso infatti non è un atto di giustizia, un tentativo di rimuovere il male estirpandolo alla radice, condannando ed escludendo dalla comunità chi ne è stato l’artefice. Piuttosto, l’esercizio della correzione è atto d’amore, quell’amore (la sola legge nella quale “si ricapitola ogni comandamento”, per dirla con Paolo) che viene dall’essere discepoli del Signore, che si avvicina a ogni uomo con l’unico intento di farlo sentire, nonostante tutto, figlio di Dio.

            Tutto si fonda e si nutre di questa legge dell’amore, la quale dà senso alla vita e la qualifica agli occhi di Dio e degli uomini.

È su questo che si gioca la nuova credibilità della comunità dei credenti – due o tre riuniti nel suo nome – che è la Chiesa, è la famiglia è una coppia di giovani sposi. Infatti, se nella Chiesa diamo per scontato che lì ci sia Dio, spesso dimentichiamo che anche nella famiglia c’è Dio: quando tutti insieme ci si riunisce per ringraziare Dio nei momenti di gioia e pregarlo nei momenti di dolore, lì c’è Dio; quando i genitori e i figli si guardano e ascoltano con amore, lì c’è Dio. Ma Dio c’è anche nel rapporto tra gli sposi: quando il marito dice alla moglie, “tu sei carne della mia carne, vita della mia vita”, lì c’è Dio, cuore del loro cuore, nodo degli amori, legami di vita.

            Ogni forma di comunità credente può trasformarsi, dunque, in dimora accogliente di Cristo, presenza che suscita l’amore comunitario e fraterno. Infatti, solo l’energia, la forza, la ricchezza d’amore sprigionata dal Suo essere intimo, ci aiuta a trovare la strada verso gli altri.

La fraternità cristiana

            La strada che porta verso gli altri non è però semplice e facile da percorrere, soprattutto, quando si pretende di affrontare da soli alcuni tratti, lasciando fuori dal cammino Dio. In tutti questi casi si rischia di sbagliare la prospettiva e, invece, di guardare l’altro come fratello da amare, correggere e perdonare se occorre, sostenere sempre e comunque, lo si vede come nemico da giudicare, condannare e abbandonare a sé stesso. 

Perciò, non si può pretendere di costruire fraternità, se non ci si riconosce prima fratelli in Cristo, a Lui uniti nell’amore dell’unico Padre. Di questa pasta è fatta la fraternità cristiana: essa poggia sulla solida roccia del legame con Cristo, il Figlio di Dio.

Cristo ci unisce a sé e ci rende partecipi del suo rapporto di figliolanza con il Padre e, dunque, mediante il suo Spirito in noi, diventiamo tra noi fratelli. In altri termini nella comunità – ecclesiale, familiare e di coppia – la fraternità umana si realizza come partecipazione alla vita di Dio, come esercizio del suo Amore.

Ora, se la nostra fraternità deriva da questo rapporto divino, che ci unisce al Figlio di Dio, allora non è utopico costruire comunità fondate sull’amore e la cura reciproca, utopico, e non propriamente cristiano, è non credere che ciò possa accadere. Infatti, se ascoltiamo la Parola e viviamo il nostro rapporto quotidiano con il Signore, allora è possibile crescere nel sentimento e nell’esercizio della fraternità.

Più Dio prende dimora nel nostro cuore e nella vita delle nostre comunità, più spontaneo, più autentico, più largo e più attento sarà l’esercizio della fraternità cristiana.

Non costerà, infatti, fatica essere diversi dall’omologazione individualista, egoista e separatista del mondo, anzi tuttaltro, noi cristiani saremo la luce nelle tenebre, la voglia di libertà che spezza le catene del “fanno tutti così”.

Così, in una società di competizione dimostreremo che noi cristiani amiamo essere custodi, debitori, intercessori degli altri e per gli altri. In una società dove l’uomo è solo un essere sociale, noi credenti diremo a gran voce che questo non basta, che Dio è una componente strutturale dell’essere uomo, semente indispensabile perché l’uomo ritrovi la sua umanità più bella, più buona e più santa.

            Per tutti questi motivi Dio, nella presenza del Figlio, è la ragione per cui la fraternità cristiana può fare la differenza nel mondo. Di fatto, solo la comunione con lo Spirito del Signore può rendere capace di un amore che non tiene conto delle offese ricevute, che risponde al male con il bene, all’odio con l’amore, al rancore con la mitezza, all’invidia con la magnanimità, alla calunnia con il perdono. E, per finire, rende capaci di rispondere al fratello che ha sbagliato con il desiderio di accompagnarlo e sostenerlo nella guarigione.

Conclusione

            Nel Vangelo abbiamo letto i tre gradi suggeriti da Gesù per dare una corretta forma alla correzione fraterna. Ma la correzione veramente fraterna procede dall’amore disinteressato e umile per l’altro, per questo a volte si dovrebbe operare più per evitare l’errore che correggerlo. Certo, non è facile prevenire, la prevenzione nasce, infatti, dal nostro modo di vivere il servizio fraterno nella comunità.

Il teologo tedesco D. Bonhoeffer ha suggerito tre modi per agire correttamente nel servizio fraterno della comunità: “Il primo servizio che si deve agli altri nella comunione consiste nel prestare loro ascolto. L’amore per Dio comincia con l’ascolto della sua Parola e analogamente l’amore per il fratello comincia con l’imparare ad ascoltarlo. L’amore di Dio agisce in noi non limitandosi a darci la sua Parola, prestandoci anche ascolto. Allo stesso modo l’opera di Dio si riproduce nel nostro imparare a prestare ascolto al nostro fratello. […]

            Il secondo servizio che ci si deve prestare nella comunione cristiana, è la disponibilità all’aiuto concreto. In primo luogo l’aiuto più semplice nelle piccole cose esteriori. Ce n’è una quantità nella vita di ogni comunità. Nel modesto servizio nessuno è sprecato. […]

            In terzo luogo parliamo del servizio che consiste nel sostegno dell’altro. “Portare gli uni i pesi degli altri e così adempierete perfettamente la legge del Cristo” (Gal 6,2). Quindi la legge di Cristo è una legge del “portare”. Portare e sopportare”.

            Quanti sbagli eviteremmo a noi stessi e negli altri, se solo come fratelli riuscissimo ad ascoltare di più le richieste d’aiuto dell’altro, ci mettessimo a disposizione senza mormorazioni per ogni servizio, anche il più umile, e se infine, invece di sentenziare, imparassimo a metterci un po’ di più nei panni dell’altro. 

Serena domenica

Vincenzo Bertolone

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