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Vangelo di Domenica 10 luglio PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
sabato, 09 luglio 2011 11:38
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 13,1-23.  Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare.  Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia.  Egli parlò loro di molte cose in parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare.  E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono.  Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo.  Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono.  Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta.  Chi ha orecchi intenda». Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché parli loro in parabole?». Egli rispose: «Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato.  Così a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.  Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono.  E così si adempie per loro la profezia di Isaia che dice: Voi udrete, ma non comprenderete, guarderete, ma non vedrete.  Perché il cuore di questo popolo si è indurito, son diventati duri di orecchi, e hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi e non intendere con il cuore e convertirsi, e io li risani.  Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono.  In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l'udirono! 

 Voi dunque intendete la parabola del seminatore:  tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato nel terreno sassoso è l'uomo che ascolta la parola e subito l'accoglie con gioia,  ma non ha radice in sé ed è incostante, sicché appena giunge una tribolazione o persecuzione a causa della parola, egli ne resta scandalizzato.  Quello seminato tra le spine è colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà frutto.  Quello seminato nella terra buona è colui che ascolta la parola e la comprende; questi dà frutto e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta».

 

XV Domenica del Tempo ordinario

10 luglio 2011 

Il “ma” di Dio

ImageIntroduzione 

                In questa XV domenica del Tempo ordinario, tempo di vacanza e tempo d’estate già compiutamente avviata, ci soffermiamo sulla Parola.

                Parola che riempie, che scuote, che converte, che rianima, che ristora, che scrolla, che consola. Parola che penetra come una spada a doppio taglio fino nelle nostre profondità, fino a toccare la parte più intima di noi, il cuore e la mente, per giudicare e illuminare, per svelarci il volto di un Dio infaticabile fecondatore delle nostre vite, mano che dona, forza che sostiene, voce che risveglia. Volto di un Dio che è pronto a svelare il vero volto di noi stessi.

                Questa è dunque la forza di una Parola che ascoltiamo tutte le domeniche, compresa questa; ma forse possiamo dire meglio che dovremmo ascoltare tutte le domeniche, con cura, attenzione amore. Perché chi ci parla è molto di più di una voce autorevole: è Dio, è Verbo incarnato che fa luce nelle tenebre della vita, dà forza nella stanchezza e certezza che domani saremo più vivi.

                Ecco: all’inizio dell’estate la liturgia ci invita a riflettere in maniera del tutto speciale  sulla Parola per ricordarci che Dio non si stanca di noi, non va in riposo, “ma” continua a parlarci del suo amore. Per questo se vogliamo che le sue parole d’amore sortiscano in noi l’effetto sperato non dobbiamo ripeterle, ma accoglierle.

                Accogliendole, infatti, si realizza quello che è cantato nelle parole della profezia del terzo Isaia (I Letteura): come la pioggia e la neve non tornano in cielo prima di aver compiuto la loro missione, prima di essere accolte nel grembo della terra e fecondarla, così la Parola di Dio, non torna in cielo se non dopo aver fecondato il cuore e la mente dell’uomo. Ma ciò può avvenire solo se ad attenderla c’è un cuore accogliente, ricettivo, altrimenti essa è un seme infruttuoso.

Seminare 

                Il Vangelo di questa domenica ha il sapore dei versi leopardiani: “/…forse in qual forma, in quale/ stato che sia, dentro ovile o cuna,/ è funesto a chi nasce il dì natale” (G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia). Una visione sofferta, meditabonda, infelice d’una vita dura, con poche speranza individuali, in linea con la poetica romantica. Così la parabola di oggi, se si eccettua l’ultima frase, racconta di una storia negativa sugli esiti di una semina e la vana fatica di un seminatore, dunque amara riflessione sulla vita stessa.

                Tutto comincia nella speranza e, nonostante questo, tutto non tarda ad essere ridotto ad un nulla: gli uccelli mangiano il seme; il terreno pietroso gli impedisce di mettere radici; le piante spinose lo soffocano…tutto segue il suo corso irto di difficoltà.

                Tuttavia, in mezzo a queste negatività, Dio annuncia il suo “ma”: tra tanta aridità può nascere un fiore. Ce lo insegna anche la storia con i tanti esempi di martiri dell’ordinario che hanno vissuto e sono morti come semi della Parola sparsi nella terra non sempre accogliente, eppure hanno creduto e amato, lasciando dietro di sé grandi frutti.

                Ecco: nella parabola “del seminatore” s’incontra il “ma” di Dio, quel “nonostante tutto” che fa la differenza nella vita propria e di chi ci sta accanto: ci sono poche speranze? C’è tuttavia la certezza che vi è sempre una terra buona per portare cento frutti.

È con gli occhi di Dio, il seminatore infaticabile del cuore dell’uomo, che bisogna leggere questo genere di storie sfortunate. E bisogna leggerle con Lui fino in fondo, fino a trovare quel “ma” o quel “nonostante tutto” che ci facciano dire quale meraviglioso dono sia la vita e quale meravigliosa consegna ci abbia fatto Dio padre perché meritassimo il suo amore: fare della terra brulla un giardino fiorito.

                Certo, l’impresa non è facile. Del resto la prima parte della parabola ci mostra che tutto può essere vano, si esce per seminare ma la semente non attecchisce. Eppure la storia di questa sconfitta porta ad una conclusione inattesa: nella sua infinita misericordia, Dio non lascia che il seminatore soccomba come il personaggio d’una tragedia greca.

                Forse abbiamo qui, davanti a noi, una legge che vale per tutte le azioni di Dio nel mondo. Poiché la causa di Dio nel mondo è spesso povera e poco appariscente. Quando la si prende a cuore, ci si può arrendere alla tentazione della disperazione. Ma le storie di Dio hanno un lieto fine, anche se all’inizio nulla sembra presagirlo, come nella “Commedia” di Dante.

                Il lieto fine c’è ed è nascosto nella storia stessa del seminatore che a un certo punto prende i tratti del volto di Gesù, del volto di Dio contadino che diffonde i suoi germi di vita a piene mani, fecondatore infaticabile della nostra vita, ostinato nella fiducia che primavera fiorisca nel cuore di ciascuno.

                Ecco: Dio è come la primavera del cosmo. Noi dovremmo essere l’estate del mondo, che porta a maturazione i germi divini, riempiendo la terra di deliziosi e profumati frutti. Il nostro cuore è una zolla di terra, di terra pronta a dare la vita ai tuoi semi, Signore (G. Vannucci). Essere terra aperta, capace di accogliere, felice di nuovi semi; essere come la buona terra, capace di moltiplicare la vita: ecco la nostra vocazione.

                Tuttavia dobbiamo fare i conti anche con la possibilità che questo ciclo prodigioso di semina e fioritura si possa interrompere, perché a fronte del “ma” di Dio, ci sono i nostri “ma”. Possiamo cioè diventare come la via calpestata della parabola, o il campo di pietre e di sassi, o campi di rovi. E il miracolo della vita si ferma, a volte non per malizia ma solo per superficialità.

                Infatti può succedere che corriamo troppo in fretta e non permettiamo alla Parola di Dio di attecchire in noi. Oppure ci lasciamo prendere dalla superficialità ed è noto che un cuore poco profondo non conserva, non custodisce, non nutre. O ancora, ci lasciamo prendere dalle ansie quotidiane e con fatica resistiamo allo sconforto, alla solitudine, alle varie insicurezze, e così capita che la fiducia riposta nella buona semente venga soffocata e subentri la convinzione che non vi possa essere in noi spazio sufficiente per far germogliare il seme di Dio. Ma al centro della parabola non sono i nostri errori, c’è quel finale lieto in cui il protagonista è un Dio generoso, che non priva nessuno del dono che gli spetta.

                Nascono allora i primi germogli: la gioia e la fiducia che per, quanto si possa essere aridi, spenti e sterili, Dio non smette di seminare in noi. Contro tutti i rovi e le spine, contro tutti i sassi e le strade, vede una terra capace di accogliere, dove alla fine il giardino fiorirà.

Il seme buono 

                Perciò, pur avendo sperimentato tante volte la sensazione della sconfitta: (abbiamo programmato, progettato, realizzato, spendendo tempo, risorse, fisiche e mentali), non abbiamo visto frutto alcuno. Non dobbiamo arrenderci agli insuccessi della semina, perché la forza non sta nella nostra capacità di seminare, ma nella bontà del seme e se lo spargiamo con passione e fiducioso abbandono, esso non può non fiorire.

                Infatti, nella vita di fede, nonostante tutto, c’è Dio. È Lui che fa crescere ciò che egli stesso semina, chiedendoci solo di coltivare e sorvegliare. È Lui che manda la sua Parola dal cielo e – come avviene per la pioggia e la neve cadute sulla terra – non la fa ritornare a sé “senza effetto”.

L’errore più grande che si possa fare è credere troppo spesso che tutto dipenda da noi, dai nostri sforzi, dai nostri comportamenti, dai nostri atteggiamenti, dalle nostre buone o cattive disposizioni d’animo. E come se trascurassimo il fatto che Dio è il seme e il seminatore.

                Invece, è Lui il seme buono, è Lui che esce per primo a seminare, è Lui che coltiva e fa crescere, ed è talmente prodigo che butta seme dappertutto, anche dove non serve perché il seme della sua Parola, indipendentemente da noi, dà sempre buon frutto.

Questo non significa che dobbiamo andare in vacanza dalle nostre responsabilità di cristiani, piuttosto significa che invece di scoraggiarci perché le Chiese sono vuote mentre le spiagge affollate, non dobbiamo smettere di vivere la Parola anche in riva al mare, in mezzo al frastuono delle serate estive, tra la gente distratta che ristora il corpo dalle fatiche lavorative ma dimentica di ristorare l’anima dalle inquietudini di sempre. Noi anche in questo tempo di sosta dal lavoro, dalle abituali attività giornaliere, dal trantran della vita quotidiana siamo chiamati a essere contadini della Parola, a diffonderla con l’ostinazione fiduciosa della parabola: fiducia, perché la santità non è nel seminatore, ma nel seme; la forza non è in noi, ma nella Parola stessa.

Ecco: Dio semina ovunque e in ogni tempo, non si concede vacanze ma continua a interpellarci anche in questi giorni di riposo, infaticabile ci fa giungere la sua voce. E non importa se lo fa sotto la frescura di una verdeggiante pineta o tra le pareti di una Chiesa calda e affollata di turisti che tornano dalla spiaggia: l’importante è che non si lasci interrompere a Dio per due mesi, o per quindici giorni, il miracolo della semina, della fioritura e del raccolto.

Conclusione  

 

Nella Cappella del Seminario minore della diocesi di Cassano all’Jonio, sopra l’ingresso al presbiterio si legge “Spes messis in semine”, cioè la speranza della messe è nel seme. Effettivamente è proprio così: tutto si gioca su quel piccolo seme con dei presupposti molto importanti: il seminatore buono, il terreno buono, il tempo necessario perché muoia e dia frutto e il sostegno nella crescita. In quanti semi Dio ha posta la sua fiducia prima di tutto? Non lo sappiamo. Però sappiamo che continua a seminare e ad attendere che il seme dia buoni frutti. In questo tempo di riposo facciamo si che sia solo il corpo a riposarsi e rinvigoriamo la nostra spiritualità con un allenamento che ha il sapore di revisione della nostra esistenza a contatto con la Sua Parola, che ci aiuta a diventare terreno buono e così aiutare il buon seme di Dio a dare frutti in noi per il bene degli altri.

                     Serena domenica

 

                                                                                                              +Vincenzo Bertolone

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