Vangelo della S.PASQUA |
Scritto da +V.Bertolone | |
domenica, 24 aprile 2011 10:29 | |
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 20,1-9. Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.(segue commento di mons. Bertolone) Domenica di Pasqua 24 Aprile 2011 Risorti con Cristo
Introduzione Siamo giunti anche quest’anno alla domenica di Pasqua e la Liturgia ci accoglie con lo slancio e il giubilo che non conosce stanchezza: “Esulti il coro degli angeli/ gioisce la terra inondata di tanto splendore:/ la luce del re eterno/ ha vinto le tenebre del mondo”. L’eco di queste parole di esultanza, pronunciate nel cuore di una notte diversa dalle altre, la notte delle notti, la notte della luce e della vita, ieri notte, riecheggia ancora nello spazio delle nostre aule liturgiche e accoglie l’alba del primo giorno nuovo, nel quale la Chiesa ripete al mondo il suo canto di gioia, “Questo è il giorno che ha fatto il Signore, esultiamo insieme” ; e di fede, “Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora vive, trionfa”. A suggellare l’incanto degli inni di lode ed esultanza pasquale, infine, sono le parole di Maria di Magdala, davanti alla tomba vuota “Cristo, mia speranza, è Risorto!”; e l’atto di fede di Giovanni, il quale “vide e credette”. Perciò di motivi per rallegrarci e gioire in questa domenica ve ne sono molti. Prima di tutto perché Gesù di Nazareth, l’uomo che abbiamo visto pendere come un ladro dal palo di una croce, è lo stesso Figlio eterno di Dio fattosi uomo per noi; entrato con la sua umanità nell’eternità del Padre, perché per noi iniziasse l’alba del nuovo giorno che non conosce tramonto: il nuovo inizio che trova le porte spalancate dell’eternità del Padre. In secondo luogo, perché la morte del Cristo non ha coinciso con la sua definitiva di partenza, ma si è arricchita con la Sua risurrezione di una nuova Presenza. Cristo non è più il viandante incontrato sulle strade polverose della Galilea, da oggi lo si incontra, se lo si vuole, nei sentieri dell’animo umano, negli altri del cuore. Ultimo motivo di gioia, ma non meno importante, è che “il sepolcro vuoto è diventato la culla del cristianesimo” (San Girolamo), ovvero credere nel Cristo risorto è il vero “sigillo” della nostra cristianità. Tutto questo celebriamo oggi, o meglio ricordiamo con maggiore dedizione e passione, giacché ogni domenica dovrebbe essere per il vero credente, Pasqua della propria risurrezione nella risurrezione di Cristo. Si tratta di esercitarsi a passare dal “vedere” al “credere”, un lavoro paziente i cui frutti superano abbondantemente i suoi sacrifici: gustare già da qui e ora le primizie della vita eterna, semplicemente facendosi prossimo e intimo di Colui che vive. Il Risorto Il cuore del mistero e dell’annuncio pasquale è tutto racchiuso entro i ristretti limiti di una parola: surrexit! La portata di questo evento è indiscutibile da subito:“la fede dei Cristiani – dice Sant’ Agostino – è la risurrezione di Cristo”. Infatti, tutti, pagani, atei, e non credenti hanno creduto, e credono, che Cristo sia morto, ma che Egli è risorto lo credono solo i cristiani, e non si è cristiani senza crederlo. Infatti, solo i cristiani, da discepoli innamorati del loro Maestro, hanno creduto, e credono, per la Sua croce, ma ciò in cui credono è la vittoria della croce. “Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la vostra fede” scrive San Paolo nella Prima lettera alla comunità di Corinto (15,14); ma ancora più vana sarebbe stata la vita e la morte di Cristo senza la Sua risurrezione. Infatti, è la risurrezione a confermare la Sua storicità, la sua umanità, è sempre la risurrezione a chiarire la causa del suo agire e del suo patire. Ed è sempre la risurrezione a confermare la sua natura divina. Non a caso è lo stesso Gesù a indicare nella risurrezione il segno per eccellenza della sua intera vita: “Quale segno ci dai? Distruggete questo tempio e io in tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2,18-19). Per questo è importante per noi intonare oggi, con maggiore convinzione, il canto dell’ “alleluia”, perché in questo giorno facciamo memoria dell’autenticità del Cristo della storia e della verità del Cristo della fede. Infatti, per prima cosa la Risurrezione ci attesta il Gesù storico, la veridicità della Sua persona e della Sua opera terrena. Quel Gesù di Nazareth che, cominciando dalla Galilea, è passato beneficando e sanando tutti, quello che i Giudei hanno ucciso, è lo stesso che è stato risuscitato da Dio. É proprio Lui la pietra scartata che Dio ha posto come testata d’angolo. È lo stesso Crocifisso che sulla croce sembrava “rinnegato” anche da Dio, risuscitando Cristo si è identificato con il Crocifisso, mostrando la causa e la necessità di tanta violenza. Così da questo momento in poi, sarà impossibile vedere il Crocifisso separato dalla “gloria del Padre”, e viceversa la gloria del Padre non sul volto del Crocifisso. La risurrezione è dunque prima di tutto faro puntato sulla vita terrena di Cristo, per autenticarne e chiarirne ogni azione e parola perché noi potessimo credere. In secondo luogo, la risurrezione attesta il Cristo della fede, ovvero è faro puntato verso la nostra vita terrena in Presenza del Risorto. In altri termini, il Cristo Risorto testimonia che Egli non ci ha privato della sua Presenza, ma “vivo nei secoli” (Ap 1,18), ha lasciato che il suo Spirito inondasse tutta la terra, l’intera umanità rinnovandola da di dentro. Egli, infatti, come Cristo della fede, risorto, resterà con noi fino alla fine del mondo. Dunque, oggi festeggiamo anche la bellezza e la realtà di questa Presenza. Bellezza perché ci incanta il fatto che il cielo dove il Risorto è assiso alla destra del Padre non è più santo e più grande del nostro cuore; realtà perché il nostro cuore è divenuto Sua dimora, casa accogliente del suo amore. Ecco una delle primizie che celebriamo in questa domenica: con la risurrezione di Cristo siamo divenuti la dimora di Dio. Bisogna che ce lo ricordiamo sempre, ovvero bisogna che viviamo di questo ricordo come di un sottofondo musicale che percorre tutta la nostra esistenza. Perché vivere al ritmo sinfonico di questo ricordo significa godere già di un lembo di futuro di eternità; significa cominciare ad “essere” qui e ora uomini nuovi, trasfigurati nel corpo e nello spirito, uomini risorti. Il Vivente Vivere la vita accorgendosi ad ogni istante della Presenza che ci abita, significa, quindi, vivere da risorti in Cristo, dando ragione a quanti lo chiedono della nostra speranza e della nostra gioia. È questa infatti la massima scommessa della nostra fede: vivere con la certezza che Gesù è ancora vivo, perché si avverte la sua Presenza dentro di noi, ciascuno di noi. Accettare questa promessa significa prima di tutto riuscire a passare dal semplice “vedere” al “credere”, cioè essere capace di trasformare i tanti segni di morte e dolore in segni di vita. Il “lenzuolo” e le “bende” sono viste da Giovanni, ma possono restare lì a testimoniare lo “ieri” di una storia di lutto e tristezza. Ma occorre superare la “visione” e approdare alla “fede”, perché ora c’è Cristo, il Vivente che batte all’unisono con il nostro cuore. Mai così prossimo e intimo a noi, quanto ora che è Risorto. Infatti, Egli è vivo dentro di noi, per questo possiamo sperare al di là di ogni disperazione, possiamo gioire al di là di ogni lacrima di dolore, possiamo amare al di là di ogni odio, possiamo vivere al di là della morte. Vivere da risorti allora significa lasciare che Cristo scenda nella profondità della materia e della nostra carne, nella parte più oscura del nostro essere, perché risorga in noi, illuminandoci e trasfigurandoci dal di dentro. Lasciamo che Egli infonda energia al nostro “essere” e lo indirizzi verso l’alto, la luce, l’amore e la libertà. Permettiamo al Risorto di risorgere per l’eternità dal fondo del nostro essere, perché la Sua Presenza si sprigioni come forza ascensionale, germe di vita e vita germinante. Ecco cosa celebriamo a Pasqua, la possibilità di un accoglienza che cambia, l’accadere di un incontro che non cerchiamo ma ci viene a trovare; la festa di macigni rotolati via dall’imboccatura del cuore e dell’anima. Celebriamo l’uscita dal sepolcro dei nostri limiti e, finalmente liberi, godiamo la brezza della nuova primavera che invoglia a salire in alto verso il Signore della vita. Conclusione “Dobbiamo rifiutarci di accettare una realtà in cui il carnefice abbia in eterno ragione della sua vittima. Il futuro del mondo, con oggi, a partire da questo sepolcro vuoto, non appartiene alla violenza” (Max Horkeimer). Questo è il senso profondo della Pasqua per la nostra storia, personale e universale, dove la risurrezione di Cristo non è mai separata dalla nostra risurrezione. Perciò, a quanti chiederanno il motivo della nostra speranza e della nostra gioia di essere cristiani, possiamo annunciare con convinzione profonda che “Cristo è risorto”, “veramente risorto”. Alleluia. Serena domenica. Buona Pasqua. +Vincenzo Bertolone |
< Precedente | Prossimo > |
---|