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Conclusa la festa del Crocifisso PDF Stampa E-mail
Scritto da administrator   
sabato, 05 marzo 2011 08:29
ImageSi è conclusa ieri sera con una cerimonia solenne in cattedrale la festività in onore del Crocifisso, patrono della città di Cassano Ionio. Ha officiato il presule della locale diocesi mons. Vincenzo Bertolone, davanti ad una cattedrale gremita di fedeli a dimostrazione  del legame forte che unisce la popolazione cassanese a questa festività voluta e iniziata nel 1942 dall'allora vescovo mons Raffaele Barbieri. Durante la cerimonia  due  seminaristi sono stati  ammessi tra i candidati al diaconato e al presbiteriato ed altri sono stati istituiti accoliti e lettori, per loro il vescovo ha avuto parole di esortazione e di monito. "C’è da formarsi all’umiltà, all’abbassamento, alla carità attenta all’altro, al disinteresse e alla gratuità più piena" - parole che vanno bene non solo per chi ha deciso di dedicare la vita al servizio del Signore e della Chiesa, ma per ognuno di noi nell'espletamento del nostro lavoro e sopratutto per coloro che svolgono funzioni di servizio nei vari uffici delle pubbliche amministrazioni e, non ultimi, per i politici, che spesso dimenticano di essere al servizio del cittadino e operano con maggiore intensità solo per fini meramente carrieristici. Pubblichiamo l'intera omelia del nostro vescovo e invitiamo tutti a leggerla riflettendo sulle proprie manchevolezze nei confronti del prossimo e del Crocifisso, che si è immolato per la nostra salvezza.

Omelia pronunicata da mons. Bertolone per la festa del SANTISSIMO CROCIFISSO - Chiesa Cattedrale di Cassano - 4 marzo 2011
Carissimi confratelli nel sacerdozio, care religiose, carissimi fratelli e sorelle! Rendo grazie a Dio che mi dà la gioia di celebrare con voi anche quest’anno la Festa del Santissimo Crocifisso, tanto cara a voi cassanesi. Il particolare che mi ha colpito fin dal primo momento di questo nostro crocifisso è stata l’apertura straordinaria delle braccia protese in un abbraccio che pare voglia comprendere l’intero mondo. Subito dopo, il volto espressivo ed eloquente, con quello suo sguardo d’amore e di considerazione empatica della fatica e del dolore di ogni uomo, uno sguardo che richiama gli sguardi con cui il Signore Gesù – e questo ce lo attestano chiaramente i Vangeli – si rivolgeva non solo ai suoi amici ma anche a chi poi
decideva di non condividere la sua strada: “e guardandolo, lo amò” (Mc 10,21).

ImageQuesta comunicazione chiarissima fra Dio e l’uomo è a modo suo un ossimoro: Gesù è muto eppure dice tutto a tutti. Il Crocifisso da sempre ha consolato gli afflitti dando una speranza ai disperati, amore a chi non ne aveva, una certezza ai dubbiosi ed a chi aveva perso il senso ed il valore della dignità dell’uomo, un richiamo all’universalità di fronte alle mille tentazioni di chiudersi dentro le proprie “quattro mura”: uno sprone a fidarsi di Dio nell’incertezza, una fonte di resistenza di fronte al male spesso seducente e accattivante, un Compagno di viaggio nell’ultimo esodo
rappresentato dalla morte. Insistendo sull’ossimoro in questo silenzio eloquente, tutti, proprio tutti, intendono e intendiamo chiaro e forte il linguaggio dell’amore di Dio per l’uomo! Tornando alla nostra festività, questa celebrazione sia per noi Cassanesi la grazia che ci è donata annualmente, per ascoltare il Signore, contemplare il Volto Santo di Dio per rimetterci tutti in discussione, perché costituisce per tutti un principio di spoliazione, di rinnovamento, di conversione e di rinascita.
Noi oggi vogliamo riconoscere come nostro Re, questo Crocifisso: accettarlo perché ci indica la via e ci comunica giorno per giorno la Sua Parola. Noi vediamo in Lui l’autorità alla quale sottometterci. “Ci sottomettiamo a Lui”, afferma Benedetto XVI, “perché la Sua autorità è l’autorità della Verità” (Omelia Domenica delle Palme, 2 Aprile 2007).
Riconoscerlo come “Re” significa seguirlo. Per i primi discepoli del Signore, ‘seguire’ il Maestro ha significato come intraprendere “una nuova ‘professione’: quella di discepolo. Il contenuto fondamentale di questa professione era l’andare con il Maestro, l’affidarsi totalmente alla sua guida, ritenerlo il riferimento e la ragione di vita.

Con ciò si palesa anche che cosa significhi per noi la sequela si tratta di un mutamento interiore dell’esistenza, il quale mi impone di uscire dal guscio del mio ego e fare la cosa principale della vita: seguire Gesù Cristo che ci precede e c’indica la via. Si tratta della scelta tra il vivere solo per me stesso o il donarmi per la cosa più grande. E consideriamo bene che un impegno per la ricerca della verità e dell’amore non sono
valori astratti; in Gesù Cristo essi sono divenuti “persona”. Seguendo Lui, entriamo al servizio della verità e dell’amore. Perdendoci, ci ritroviamo.
In questa prospettiva evangelica il problema vero della Chiesa oggi, delle nostre comunità e nostro personale è la fede in Gesù Cristo, figlio di Dio. Quando dico “fede” – come sottolineo nella Lettera Pastorale che ho affidato alla nostra Diocesi – non la intendo in riferimento a un dio impersonale o a un’energia che pervade tutte le cose e di cui anche l’umanità è parte, ma intendo la fede nel Dio di Gesù Cristo, che è Amore che crea ed è presente nella storia dell’uomo; è il Padre – così come lo ha narrato Gesù – la fonte della vita e attende di essere accolto per “prendere dimora” (cf. Gv 15,5) nel credente. Gesù infatti è venuto perché “gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10): Egli si è definito come “pane della vita” (Gv 6) e “via che conduce alla verità che dà la vita” (cf. Gv 14,6). Egli si offre come risposta al desiderio di vita piena che abita in ogni essere umano.
La vita che nasce nella sequela di Gesù, perciò, è un vero e proprio cammino di umanizzazione perché apre alla speranza e all’amore. In questo senso la fede cristiana non può limitarsi al livello della ragione o delle convinzioni teoriche, ma riguarda tutta la nostra persona, investe il nostro vivere quotidiano, e soprattutto genera un modo di vivere nuovo, uno stile di vita pasquale e investe tutti gli ambiti e condizioni della vita:
dal nostro rapporto con i beni, a come viviamo il tempo della sofferenza e della morte, lo spazio del lavoro quotidiano, l’affettività e la sessualità, la convivenza sociale e civile, la vita familiare.
Fratelli e sorelle carissimi: sotto la Croce, oltre a trovare refrigerio e guarigione, possiamo anche trovare rifugio e consolazione per tutte le nostre solitudini e per tutte le nostre angosce, poiché essa è il segno perenne di quanto e come “Dio ha tanto amato il mondo” (Gv 3,16). La Croce è il nuovo Tempio da cui sgorga l’acqua viva che risana e che vivifica, ed è per il popolo cristiano il segno della speranza del Regno. Ai piedi
della Croce tutte le nostre effimere glorie e le nostre illusorie esaltazioni perdono la loro efficacia e allentano la presa sul nostro cuore indeciso. Come il popolo nel deserto siamo chiamati a elevare il nostro sguardo per far sì che la presenza di Cristo nella nostra vita ne orienti i desideri e ci aiuti a leggerne i percorsi che lo Spirito Santo sta suscitando. È la grazia e il dono che invoco dal Santissimo Crocifisso per tutti i
cassanesi e per tutta la nostra Diocesi! Bisogna compiere quella metamorfosi tanto cara al beato Giacomo Cusmano, di cui – come sapete – io sono un figlio spirituale, da bruco a farfalla, come dire da un esserino brutto, un vermicino peloso ad uno degli esseri più belli creati dal buon Dio!
Carissimi, durante questa celebrazione due nostri seminaristi saranno ammessi tra i candidati al diaconato e al presbiterato, altri, insieme ad alcuni candidati al diaconato permanente, istituiti Lettori ed Accoliti.

Dal Rito di ammissione tra i candidati, appaiono alcune caratteristiche che vanno messe in luce. Il rito ricorda, innanzitutto, che la vocazione di cui sono portatori questi giovani è risposta a una chiamata precedente (cf. prima domanda agli aspiranti): la loro non è autocandidatura, né iniziativa autonoma: prima c’è la grazia, poi l’agire umano.
Questa chiamata era in germe nel Battesimo: non è una realtà totalmente diversa, né contrapposta alla vita nata con il Battesimo o alla vocazione cristiana alla santità, ma un suo sviluppo. C’è stato bisogno di qualcuno nella Chiesa che li aiutasse a riconoscere la vocazione: il “maestro interiore” — lo Spirito Santo — ha bisogno di qualcuno che nella storia personale del soggetto provochi, risvegli, susciti i desideri che porteranno al
sì definitivo. Occorre, perciò, una preparazione: nessuno è “pronto” a rispondere pienamente e totalmente; soprattutto occorre (cf. seconda domanda agli aspiranti) una formazione spirituale — che poi animerà quella umana, culturale, teologica, pastorale — perché la vocazione plasmi la personalità del chiamato “con gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”. Lo sbocco è il ministero, cioè il servizio: non si è qui per essere serviti,
ma per servire. Lo spirito “diaconale” dovrà animare tutti i gradi del sacramento dell’Ordine. C’è da formarsi all’umiltà, all’abbassamento, alla carità attenta all’altro, al disinteresse e alla gratuità più piena: la carità pastorale è soprattutto, infatti, imitazione di Cristo Servo. Si è messi a servizio di Cristo e della Chiesa: un onore grandissimo, ma anche un impegno rischiosissimo. Ai ministri ordinati è chiesto un ruolo delicatissimo
ed essenziale, vitale e totalizzante: stare nel Corpo della Chiesa come rappresentanti di Cristo. Oggi, perciò, vogliamo “affidare al Signore” questi due nostri fratelli, perché arrivino presto a servire la Chiesa, come Cristo, docili al suo Santo Spirito.
Desidero spendere due parole, ora, sul ministero del lettorato e dell’accolitato.
Il significato del ministero del lettorato viene espresso dai due testi liturgici. Diventando lettori, cioè annunziatori della parola di Dio, voi (Giacomo e Sergio) siete chiamati a collaborare a questo impegno primario della Chiesa e perciò sarete investiti di un particolare ufficio, che vi mette al servizio della fede, la quale ha la sua radice nella parola di Dio. Proclamerete la parola di Dio nell’assemblea liturgica; educherete
alla fede i fanciulli, gli adulti e li guiderete a ricevere degnamente i sacramenti; porterete l’annuncio missionario del Vangelo di salvezza agli uomini che ancora non lo conoscono. Attraverso questa via e con la vostra collaborazione molti potranno giungere alla conoscenza del Padre e del suo Figlio Gesù Cristo, che Egli ha mandato e così otterranno la vita eterna. È quindi necessario che, mentre annunziate agli altri la parola di Dio sappiate accoglierla in voi stessi con piena docilità allo Spirito Santo e meditarla ogni giorno per acquistarne una conoscenza sempre più viva e penetrante, ma soprattutto rendete testimonianza con la vostra vita al nostro Salvatore Gesù Cristo.
I nostri fratelli Carlo, Giuseppe e Maurizio, scelti per esercitare il servizio di accoliti, parteciperanno in modo particolare al ministero della Chiesa. Essa, infatti, ha il vertice e la fonte della sua vita nell’Eucaristia, mediante la quale si edifica e cresce come popolo di Dio. A voi è affidato il compito di aiutare i presbiteri e i diaconi nello svolgimento delle loro funzioni e come ministri straordinari potrete distribuire
l’Eucaristia a tutti i fedeli anche infermi. Questo ministero vi impegni a vivere sempre più intensamente il sacrificio del Signore e a conformarvi sempre più il vostro essere e il vostro operare. Cercate di comprenderne il profondo significato per offrirvi ogni giorno in Cristo come sacrificio spirituale gradito a Dio. Non dimenticate, perciò, che per il fatto di partecipare con i vostri fratelli all’unico pane, formate con essi un unico
corpo. Amate di amore sincero il corpo mistico del Cristo che è il popolo di Dio, soprattutto i poveri e gli infermi. Attuerete così il comandamento nuovo che Gesù diede agli Apostoli nell’ultima cena: amatevi l’un l’altro come io ho amato voi.
Cari Rocco e Nicola, cari Carlo, Giuseppe e Maurizio! Desidero concludere affidando a voi le “tre consegne” che Papa Benedetto XVI ha messo nelle mani degli ordinandi della diocesi di Roma nel maggio 2006.
Innanzitutto fuggire il carrierismo, quel “tentativo di arrivare ‘in alto’, diprocurarsi una posizione mediante la Chiesa: servirsi, non servire. È l’immagine dell’uomo che, attraverso il sacerdozio, vuole farsi importante, diventare un personaggio; l’immagine di colui che ha di mira la propria esaltazione e non l’umile servizio di Gesù Cristo. Ma l’unica ascesa legittima verso il ministero del pastore è la croce. È questa la porta. Non desiderare di diventare personalmente qualcuno, ma invece esserci per l’altro, per Cristo”.

La seconda: “L’Eucaristia deve diventare per noi una scuola di vita, nella quale impariamo a donare la nostra vita. La vita non la si dona solo nel momento della morte e non soltanto nel modo del martirio. Noi dobbiamo donarla giorno per giorno. Occorre imparare giorno per giorno che io non possiedo la mia vita per me stesso (…) Donare la vita, non prenderla. È proprio così che facciamo l’esperienza della libertà. La libertà da noi stessi, la vastità dell’essere. Proprio così, nell’essere utile, la nostra vita diventa importante e bella. Solo chi dona la propria vita, la trova”.
Infine: allenare il cuore alla “missione”! “La Chiesa non deve mai accontentarsi della schiera di coloro che a un certo punto ha raggiunto. Non può ritirarsi comodamente nei limiti del proprio ambiente. È incaricata della sollecitudine universale, deve preoccuparsi di tutti (…). Dobbiamo sempre di nuovo – come dice il Signore – uscire ‘per le strade e lungo le siepi’ per portare l’invito di Dio al suo banchetto anche a quegli uomini che finora non ne hanno ancora sentito niente, o non ne sono stati toccati interiormente”.
Cari fratelli e sorelle, se la Croce senza l’amore è troppo pesante, l’amore senza la Croce è troppo vuoto. Chiediamo, allora, alla Vergine Santa a Colei che è stata trafitta da sette spade di dolore la forza e la sapienza per sentire di meno il peso della

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Mons.Vincenzo Bertolone
Croce e di più il peso dell’amore. Amen.

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