Vangelo di domenica 13 febbraio |
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Scritto da +V.Bertolone | |
sabato, 12 febbraio 2011 11:00 | |
![]() Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te,lascia lì il tuo dono davanti all'altare e và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono. Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. Commento di mons. Vincenzo Bertolone vescovo di Cassano:
VI Domenica del Tempo Ordinario La legge morale in me Introduzione
Di fronte alle parole pronunciate da Gesù nei Vangeli bisognerebbe rimanere in silenzio, e meditare a lungo. Bisognerebbe lasciare che esse fluiscano dentro di noi, e mettano radici nel cuore e nella mente. Ma questo esercizio non è così facile, automatico. Molte sono le resistenze sia dentro che fuori da noi. Questo perché le parole di Gesù spesso sono dure e dirette, hanno il sapore di una radicalità che non ci appartiene più. Non siamo più abituati a sentire un linguaggio così esigente, un linguaggio che ci suggerisce una sola via di comportamento, un solo modo di essr-ci nel mondo, con Dio e con gli altri. Questo carattere di radicalità ci accompagna da due domeniche, da quando cioè abbiamo aperto il Vangelo di Matteo alle pagine del discorso della montagna. Il Discorso si è aperto con le Beatitudini, è proseguito con la definizione dei cristiani e della loro missione nel mondo, quindi in questa domenica, la VI del Tempo Ordinario, siamo arrivati al cuore del messaggio: una proposta etica cui uniformarci, giacché è in queste parole che Gesù presenta la legge del Regno, il Codice morale dei cristiani, come dobbiamo comportarci. Nel nostro mondo si registra un processo di appiattimento e svalutazione delle virtù umane, e, quindi, del comportamento morale. Ecco, allora, che le parole enunciate da Gesù brillano di una luce singolare, risuonano con un timbro nuovo, perché risvegliano la nostra coscienza non al senso del dovere, ma al senso del libero volere. In definitiva, nella nuova prospettiva evangelica non è morale ciò che si fa, ma l’intenzione con cui lo si fa. Dunque, ciò che conta è il cuore. Tutto, dal punto di vista morale, si decide nel profondo del nostro cuore. È lì, infatti, che germinano tanto le buone intenzioni quanto le falsità e le violenze che guastano i rapporti con Dio e con le persone.
Nel proporre il nuovo codice morale, la nuova legge del Regno, Gesù ricorre ad uno schema oppositivo: enuncia sei antitesi. Egli comincia con il dire: “Avete udito che fu detto agli antichi…” e riporta un comando della legge di Mosè; e poi prosegue: “Ma io dico a voi …”, e formula la sua nuova legge, che – badate bene - non annulla la legge mosaica, semplicemente la completa nella misura in cui la restituisce alla intenzione originale: manifestare l’amore di Dio per l’uomo, fonte e origine dell’amore stesso dell’uomo per l’uomo. Dunque, la vera novità della legge morale enunciata da Gesù è il principio dell’amore, che come scrive Paolo nella II Lettura, si traduce nella sapienza della croce. Quanto a precetti, Gesù non porta novità rispetto alla legge mosaica e illustrata anche dai profeti, ma tra quei comandamenti e noi, c’è ora questa novità infinità che trasfigura tutto: Gesù, la sua passione, il suo amore, la sua donazione totale sulla croce. L’osservanza della nuova legge allora non è più una mera questione di formalismo, di rispetto ossequioso di un qualcosa che ci viene imposto dall’esterno, ma è questione di cuore e di mente. È voler scegliere di fare ogni giorno, in ogni situazione un passo oltre quello che si è, si pensa, si fa, si ritiene giusto, si giudica come vertice del proprio dovere, oltre le apparenze, le vuote formalità, la pigra abitudine, la semplice ripetitività, le “leggi” della pubblicità, il quieto vivere. Questo andare oltre ci insegna che non si deve credere di essere nel giusto solo perché non si uccide il nemico o non si ruba al prossimo o non si insidia una donna: si è nel giusto quando si libera il cuore da ogni moto interiore di odio, di rabbia, di insofferenza, di disprezzo, di concupiscenza; si è nel giusto quando ci apriamo e ci doniamo al prossimo, quando l’intensità dell’amore costituisce il vero segno dei nostri rapporti con Dio e con il prossimo. Allora non basta la giustizia da sola, non è sufficiente solo essere obbedienti, ma bisogna che ci sia la carità, bisogna volere amare Cristo per restare fedeli al suo comando d’amore. Una morale finalmente rinnovata Le parole pronunciate da Gesù in questa sorta di codice morale scavano dentro il cuore di ciascuno e richiamano all’interiorità, alla solidarietà, all’amore concreto verso gli altri, al completamento della legge morale con il principio della carità, del perdono, dell’amore gratuito, del dono totale di sé. Non è facile, lo sappiamo. Tante cose sono state scritte e dette su questa difficoltà dei cristiani. È stato detto: “Spesso è più facile amare le piante che amare gli uomini” (Claude Aubrun); e ancora Martin Luther King annotava: “ Noi abbiamo imparato a volare come uccelli, a nuotare come pesci, ma non abbiamo imparato l’arte di vivere come fratelli”; e per finire le parole del filosofo e teologo Søren Kierkegaard: “L’amore di Dio e l’amore del prossimo sono due battenti di una stessa porta, che non si possono aprire e chiudere se non insieme”. Ogni parola ci parla della difficoltà di praticare la legge della carità, ma in questo cammino di conversione interiore e radicalità non siamo soli. Ammettiamo pure la difficoltà della prassi, ma non dichiariamoci sconfitti nella pratica della carità, perché se noi non possiamo, Cristo, la sola legge di Dio, essendo dentro di noi rende possibile ciò che umanamente possibile non è. Alla luce di quanto detto sinora si capisce che la nuova morale del Vangelo a cui siamo chiamati non consiste tanto in comportamenti, ma in un rapporto. In altri termini, non è il rispetto di certe norme che rende cristiana una persona, ma è il legame di amore, di fiducia, di riconoscenza che si prova e si vive in rapporto a Gesù Cristo; è la misura in cui ci lasciamo ispirare, di volta in volta, in ogni situazione, dalla voce del suo Santo Spirito. Qualcuno ha detto “Nessuno può guardare il sole senza che il suo volto sia illuminato”. Se abbiamo la fortuna di guardare il Cristo come il sole della nostra vita, tutta la nostra vita porterà il riflesso della sua luce e del suo amore. È sarà più facile allora comunicare luce e amore anche ad altri e non in forza di comandamenti esterni, ma per una necessità interiore. Allora non sarà più una questione di dovere, ma di volere. Se proviamo questo desiderio c’è un buon motivo per pensare che l’amore di Dio abbia veramente raggiunto il nostro cuore. Conclusione A conclusione di queste poche riflessioni, desidero prendere in prestito le parole di Immanuel Kant: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e di reverenza sempre nuove e crescenti, quanto più spesso e più a lungo il pensiero vi si ferma su: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me”. Fermarsi a contemplare “il cielo stellato” e la “legge morale” è manifestazione del medesimo desiderio d’infinito che alberga nel cuore dell’uomo: in entrambi i casi c’è la scoperta meravigliosa della presenza di un Dio che non ci lascia mai soli e la sola legge secondo cui ci chiama a vivere è quella del Suo amore. Serena Domenica + Vincenzo Bertolone |
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