Vangelo di domenica 16 gennaio |
Scritto da +V.Bertolone | |
sabato, 15 gennaio 2011 08:20 | |
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1,29-34. Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: «Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele». Giovanni rese testimonianza dicendo: «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio». (seguono nella seconda parte i commenti di mons. Bertolone e mons.Riboldi)
II Domenica del Tempo Ordinario 16 gennaio 2011 “Colui che toglie il peccato” Introduzione
In realtà, questa II domenica del Tempo Ordinario non è un inizio ex abrupto, ovvero non è una brusca interruzione di quanto celebrato sinora con le feste di Natale. Anzi, tutt’altro: le letture di oggi sembrano voler stabilire un legame, soprattutto, con la festa del Battesimo di Gesù, celebrata appunto domenica scorsa, l’ultima del tempo di Natale. Un passaggio dolce, dunque, contrassegnato dalla continuità. Infatti, in questa domenica ritroviamo la voce nota di molti protagonisti delle liturgie dei giorni di festa appena passati. Così ascolteremo ancora nelle nostre Chiese il profeta Isaia, il quale continuerà a parlare della figura del Servo di Dio inviato per la salvezza d’Israele e di tutte le nazioni. Ma, soprattutto, ci imbattiamo nelle parole concise e profetiche di Giovanni il Battista; e, non solo, ma ritorniamo anche idealmente al momento del Battesimo di Gesù, giacché la cornice nella quale è inserita la testimonianza del Battista è quella del Giordano. Cambia l’evangelista (oggi è Giovanni), ma non cambia lo scenario nel quale le sue parole vengono pronunciate; né cambia il tono diretto e fermo con cui il Battista pronuncia quelle parole rivelatrici di una Verità a lui comunicata dallo Spirito di Dio. Le sue parole, sono come frecce verso un bersaglio, un segnale che ci orienta verso un’altra meta. Sono parole dirette, senza esitazione, a rivelare la verità, che è Cristo. nelle sue frasi, di fatto, vediamo profilarsi un ritratto del Cristo: Egli è colui che ci precede nel tempo, perché eterno con Dio; è la suprema presenza divina nella carne dell’uomo, perché in Lui ha sede lo Spirito Santo; Egli è per eccellenza il Figlio di Dio, perché in Lui il Padre ha realizzato pienamente l’umanità del Figlio. Infine, Egli è l’Agnello di Dio, scelto dal Padre come vittima di espiazione per liberare l’uomo dal suo peccato di incredulità e di odio. Insomma, la liturgia di oggi ripropone il tema tipicamente natalizio dell’epifania di Dio nell’umanità di suo Figlio. Una epifania che passa attraverso gli occhi del Battista, il quale vede in Gesù il Cristo e, riconosciutolo quale Messia annunciato da sempre dai profeti, lo testimonia e lo annuncia. Non è forse questo il compito proprio di tutti noi battezzati: essere nel mondo annunciatori dell’epifania di Dio? Testimoni coraggiosi di quanto sperimentato nella propria vita da quando abbiamo riconosciuto in Cristo il nostro Signore e Maestro? Da quando, infine, ci siamo messi alla Sua sequela? Certamente, questa è la missione di quanti amano Dio e il mondo. Il Gesù di Giovanni il Battista Giovanni il Battista, il più grande tra i nati di donna, quell’Elia che doveva venire, davanti a Gesù ebbe già un sussulto nel grembo della madre. Ora, trovandoselo di fronte, mescolato tra la gente, non ha alcuna esitazione nel riconoscerlo. Nulla sfugge alla luce dei suoi occhi, della sua mente, del suo cuore. Per la gente, accorsa anche quel giorno a farsi battezzare, persone che lo circondavano in fila ad attendere, quell’uomo era uno qualsiasi, un peccatore fra tanti. La gente non vede in Gesù il Cristo, ma Giovanni Battista ciò lo riconosce e lo fa sapere a tutti, ad alta voce, senza paura, senza timidezza. Giovanni Battista riconosce Gesù e pronuncia il suo nome nascosto, e nel proclamarlo e indicarlo agli altri, compie la prima professione di fede nel Signore. In questa sua professione di fede risponde a tre interrogativi: chi è Gesù, qual è la sua missione e come la svolgerà. Giovanni si serve di una sola espressione per dare risposta a questi tre interrogativi: Gesù è l’Agnello di Dio. La parola Agnello, infatti, è sintesi magistrale dell’identità di Cristo, della missione al quale il Padre lo ha chiamato e del modo con cui tale missione si realizzerà. Gesù è l’Agnello di Dio nella misura in cui porta fino in fondo a compimento la missione affidatagli dal Padre. Dunque è uomo abitato dallo Spirito, animato cioè dalla stessa volontà di Dio. Ed è perciò il Figlio stesso di Dio, ciò che il Padre ha di più proprio e di più intimo. Ma Gesù è Agnello anche nella misura in cui ha realizzato pienamente in se stesso il compito preannunciato dai profeti sul Messia: la fedeltà a Dio. Ed è proprio questa fedeltà, che è fedeltà anche alla propria umanità, o assicurarci la salvezza. Ovvero fa sì che l’Agnello diventi vittima immolata per togliere il peccato del mondo. La missione di Gesù è dunque togliere il peccato del mondo. Come agnello sacrificale, olocausto vivente di Dio, Egli con la sua morte e resurrezione è la sola speranza di salvezza per ogni uomo. Ovvero, per l’uomo è speranza di liberazione dal suo peccato, che è l’incapacità di amare. Infatti, solo Cristo, che è totalmente amore ed è capace di donare amore, può togliere l’incapacità dell’uomo a non amare. La voglia di osare disubbidendo fu la causa della rottura della figliolanza divina. Ora, la risposta mansueta dell’Agnello, nella totale umiltà della natura umana, porterà a ristabilire per sempre questo legame di figliolanza con il Creatore. In questo si ristabilisce anche la capacità nell’uomo di amare come Dio ama, cioè senza riserve, senza preferenze, ma nella totalità del proprio essere. Il primo testimone di questa nuova capacità di amore sarà proprio Giovanni Battista, che a buon diritto possiamo definire il primo martire della Nuova Alleanza. Come l’Agnello abbia portato a termine la sua missione lo cogliamo nell’essenza stessa di questo mite e mansueto animale, con la differenza che al contrario di questi, Lui “non ha fatto udire il suo grido di dolore” e non ha esitato a versare il suo sangue per la salvezza di tutti. Sì, il Battista nella sua professione di fede ha sintetizzato l’intera missione del Messia. Ma non dimentichiamo che anche Isaia aveva profetato un’altra caratteristica non meno importante del Messia: l’essere servo.
Il mio (nostro) Gesù.
Giovanni il Battista sotto l’azione dello Spirito Santo ha riconosciuto in Gesù di Nazareth il Messia, l’Agnello sacrificale di Dio e il Figlio di Dio. E io, e noi, come reagiamo all’ascolto di queste letture, o meglio come attualizziamo per la nostra vita di fede il messaggio di questa seconda domenica del Tempo Ordinario? Anche noi come il Battista, dobbiamo riconoscere in Gesù, l’uomo storicamente vissuto, la presenza di Dio, o meglio la natura stessa di Dio. In Lui, Dio si manifesta sotto il segno dell’umiltà, dell’estremo abbassarsi e del caricarsi, Lui innocente, il peccato del mondo. Nel metterci alla sequela del Maestro, nel Tempo Ordinario è come seguire Gesù sulle strade della Palestina e ascoltare la buona novella accompagnata dai segni messianici. Anche noi, da oggi, dobbiamo far si che la proclamazione di Giovanni il Battista diventi proclamazione che ci riguarda personalmente. Il nostro cuore ci dice che questo è possibile perché abbiamo ricevuto il medesimo Spirito del Battista e quindi in virtù dello Spirito Santo, che è in noi, possiamo riconoscere Gesù come il Figlio di Dio che si è caricato del peccato del mondo e del mio. Ma dobbiamo considerare che in Gesù il Padre ha iniziato a cercare noi. Infatti, nella persona e nella missione di Gesù: è Dio che si mette sulla strada degli uomini. Dio si fa ricerca. Il nostro ricercare è imparentato con il suo, con la differenza che mentre Lui ci conosce sin dal grembo di nostra madre, noi invece dobbiamo imparare a riconoscerlo. E proprio qui sta il problema, quello del riconoscimento, cioè riusciremo a riconoscere Colui che ci viene incontro per rivelarci la passione di Dio per ogni creatura? Allora, che cosa vuol dire riconoscere? Riconoscere vuol dire andare oltre i dati immediati e cogliere di una persona l’identità profonda, il segreto nascosto, il “nome” non ancora pronunciato. Come ha fatto Giovanni il Battista, che tra la folla riconosce Gesù come Agnello di Dio e Figlio di Dio. Noi già conosciamo Gesù per come ci è stato annunciato, per come fin qui abbiamo imparato a conoscerlo e forse per come l’abitudine non ci fa cogliere altro. Allora la fede-riconoscimento non è un semplice incontro con Gesù. Lo sappiamo, in Gesù si può conoscere, ammirare, celebrare l’uomo che più di tutti ha conquistato il nostro cuore. Ma non è ancora confessione di fede. La fede-riconoscimento è continuare a cercare nel profondo di me stesso per scorgere tra la folla delle mie priorità l’urgenza dell’amore, dell’imparare ad amare come mi ama Lui con la totalità della sua stessa persona. E qui imparerò a chiamarlo per nome, un nome che nel pronunciarlo riempirà sempre la mia esistenza del suo amore infinito. Ma per arrivare a questo occorre che la nostra coscienza abbia il senso di quel peccato dal quale Egli ci vuole liberare. Oggi, lo sappiamo bene, la nostra cultura ha perso persino il concetto di peccato al punto che anche il termine ci appare del tutto irrilevante. A tal proposito è giusto citare quello che Padre Turoldo diceva al Card. Schuster, lasciandolo nello sconcerto: “La mia ambizione è quella di fare dei peccatori”. Voleva dire: quella di restituire agli uomini quel senso del peccato che si è perso. E, come già detto, il peccato è l’incapacità di amare. Solo chi ci ha amato dando la vita per noi può restituirci la capacità di amara come Lui ama.
Conclusione.
In conclusione, possiamo affermare che nell’immagine dell’Agnello assistiamo al capovolgimento delle regole religiose: invece di chiedere sacrifici, Dio sacrifica se stesso: si fa vittima della violenza, perché la violenza non prenda più vittime; si fa “torcia umana che illumina il cammino di chi soffre” (A. Merini). Scopriamo un Dio che infaticabilmente continua a togliere, a portare via, a raschiare via, ancora adesso, il peccato del mondo. E ridona verginità, dignità. Perché crede in noi e nel mondo, ha fede nel mondo e ha fede anche in me. Serena domenica. * Vincenzo Bertolone
Scommettere su Dio Sappiamo tutti che Gesù visse nel silenzio di Nazaret il tempo stupendo della sua giovinezza. Non aveva certamente fretta. Il Vangelo ci racconta che Lui, tornato da Gerusalemme a dodici anni, dopo essersi trattenuto nel tempio ad ascoltare i dottori della legge, stupendo tutti per la sua sapienza, tornò a Nazaret, dove cresceva in età, sapienza e grazia. Ed era "sottomesso ai genitori". In quel lungo tempo di apparente silenzio, certamente vi era una approfondita ricerca di quanto il Padre chiedeva a Lui. Ossia del perché Lui, il Messia, era qui tra noi, uomo tra gli uomini; e come doveva quindi svolgere in perfetta obbedienza la volontà del Padre. Una grande lezione per tutti noi, che non riflettiamo sulla serietà della vita e sul come darle il volto ed il contenuto, che il Padre ha disegnato per ciascuno. Piace immergersi nell'avventura del mondo, menar le mani, senza sapere come muoversi, cosa fare, che senso dare alla vita e così andando incontro ai diffusi fallimenti che sono la vera tragedia che colpisce tanti. Chissà quante volte Gesù avrà letto le parole del profeta Isaia: Il Signore mi ha detto: Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria. Il Signore che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a Lui Giacobbe e a lui riunire Israele, mi disse: E' troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra (Is.49,5-6) E venne il giorno dell'inizio della sua missione tra di noi: una missione che non è mai finita e non finirà se non alla fine dei tempi. Ma non volle essere Lui a presentarsi. Lo fece per bocca di Giovanni Battista che, vedendo Gesù, di lui disse: "Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo. Ecco colui del quale io dissi: dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché Egli fosse fatto conoscere a Israele". (Gv.1,29-33) Non dice il Vangelo come la gente, che ha assistito a quell'unico, irrepetibile incontro tra Giovanni e Gesù, abbia reagito. Non riporta neppure la gioia di vedere con i propri occhi Colui che tanto attendevano ossia il Messia, che avrebbe cancellato il peccato del mondo. In altre occasioni, quando sarà Gesù a dirsi Figlio del Dio vivente, questo scatenerà la rabbia dei farisei, che non accettavano di vedere un messia disarmato: o meglio ricco "solo" di quello di cui la gente ha bisogno, ossia di amore: un amore pronto a donarsi fino a dare la vita sulla croce. Forse attendevano un Messia da avanspettacolo, venuto a sbalordire gli uomini con la sua onnipotenza. Non avevano capito, e non capiamo, che l'amore vero non ama lo spettacolo. Ha il meraviglioso volto di un cielo che sta accanto a te, ti riempie di gioia, ti fa vedere e gustare la vita, rispettando la tua libertà. Non avevano capito o forse non abbiamo capito, che l'amore di Gesù non intende sottrarci alla croce della vita, perché tale è la vita di tutti, come prova di amore, ma si fa Cireneo, condividendo sofferenza e a volte prendendosi tutta la nostra croce sulle sue spalle. Noi siamo uomini di spettacolo. Non sappiamo usare la sapienza del cuore nel vedere i passi di Dio, che precedono i nostri, nel nostro cammino. Lui conosce tutto di noi, anche i peccati. Ma sta lì, vicino a noi, senza mai staccare gli occhi da noi: come un Padre. Come gli Ebrei chiediamo, quando vediamo che le cose vanno male, come oggi, o quando siamo in seria difficoltà, di mostrare la sua potenza. Poche volte pensiamo al mistero del suo amore che tante volte sembra soccombere sotto il male e confessare quasi una sua presunta sordità o incapacità ad ascoltarci ed invece Lui, il Padre, segue per noi un misterioso disegno di amore, che contempleremo in Cielo. E solo là diremo: "Avevi ragione! Come ci amavi!" Dio va davvero cercato, accolto e seguendo il suo passo che sappiamo porta alla felicità suprema. Sappiamo che tante volte come fece Gesù, piange di fronte alle nostre sofferenze, ma le accetta come le sofferenze della croce. Dobbiamo davvero imparare a "capire" il grande mistero dell'amore del Padre. Ne siamo poco convinti e questo ci porta ad affidarci all'inganno del mondo, fino a trastullarci nel dire "Dio non c'è". E' bello imitare Giovanni il Battista che, vedendo Gesù, non ha esitazione a chiamarlo, "l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo". Un mondo senza quell'amore tra noi, un mondo senza questo Dio che ci avvolge di tenerezza, anche se noi non ce ne accorgiamo, è un mondo triste, brutto. A voi, diceva il grande Dostoevski, negatori di Dio e del Cristo, non è mai venuto in mente che tutto sarebbe fango nel mondo senza Cristo?" Ad ogni modo, comunque ognuno di noi si ponga davanti a Dio, sappia, anche se non ci vuol pensare che cammina nelle braccia di Dio, il Padre. Ed è meraviglioso almeno saperlo. |
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