Vangelo di domenica 5 Dicembre |
Scritto da +V.Bertolone | |
sabato, 04 dicembre 2010 08:20 | |
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 3,1-12. - In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico. Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano;e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano. Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente? Fate dunque frutti degni di conversione,e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre. Gia la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco.
II Domenica d’Avvento 5 dicembre 2010
Un cammino di conversione
Introduzione
In questa II Domenica d’Avvento incontriamo due dei più grandi predicatori del tempo dell’attesa: Isaia e Giovanni il Battista. La voce del profeta Isaia già da domenica scorsa è giunta a noi per annunciare la venuta del Signore. Un annuncio che parte da lontano e che ha nutrito l’attesa di generazioni: “Ecco una vergine concepirà e darà alla luce un figlio”. La voce dell’altro predicatore è quella di Giovanni Battista, il quale invece annuncia la venuta imminente del Signore: “Sta per venire uno …”. Entrambi, dunque, precursori di un evento senza precedenti, per accogliere il quale l’animo va preparato, ridestandone l’attenzione e risvegliandone il desiderio. E nulla come la venuta di Gesù ha bisogno di precursori appassionati, veritieri e innamorati, giacché la Persona è Signore della vita, è Volontà di salvezza, è Speranza di misericordia, è Certezza di eternità. E, soprattutto per noi, oggi, è la Verità ricercata, desiderata, fatta Persona. Ed è di una tale portata il contenuto di questa Verità che su una cosa sono concordi studiosi, storici, sociologi, ecc., anche non cristiani: la venuta di Gesù sulla terra è stato l’avvenimento storico centrale più ricco di conseguenze, un avvenimento che ha cambiato la storia dell’umanità e le nostre storie personali. Infatti, per questa Verità si ha il coraggio di cambiare radicalmente, anzi, per usare una parola cara al Vangelo di questa domenica, si ha il coraggio di convertirsi pur di essere in tutto visitati e abitati da Cristo.
Le buone idee
Due voci gridano nel deserto di Giuda: Giovanni e la sua parola sferzante e fremente d’ira sacrosanta e Isaia con la promessa fascinosa di un mondo trascendente. Giovanni annuncia il fuoco e la scure, Isaia evoca un’armonia cosmica di un mondo da costruire, di un dono inaspettato, oltre ogni nostra speranza. Ogni cristiano sente dentro di sé la voce di questi due profeti, vive cioè di peccato e di speranza, di opere e di grazia, di dramma e di poesia, d’impegno e di dono. Non si tratta di una dicotomia, ma di una complementarietà: “Dio vuole che il suo dono diventi nostra conquista” (Sant’Agostino). Qui il senso dell’attesa, o meglio del vivere l’attesa: nonostante il mucchio di rovine attorno a noi e dentro di noi, noi guardiamo con coraggio e fermezza al futuro, alla speranza che il mondo e l’uomo ritroveranno il loro significato. Si tratta di rileggere i segni del nostro presente secondo il loro significato più autentico, ovvero secondo la verità di un Dio che è venuto, si è incarnato perché tutta l’umanità ritrovasse, e ritrovi, la strada del cielo. Ma la ricerca di significato implica una conversione. “Conversione” è proprio la parola su cui si regge tutto il discorso di Giovanni. Infatti, da questa parola parte tutta la sua predicazione, che non è invito alla pratica religiosa, né a fare sforzi per diventare migliori. È invece esortazione ad un cambiamento radicale, ad un capovolgimento che ci fa assumere una nuova identità. È però uno sbaglio pensare che un simile cambiamento interessi la sfera comportamentale: per convertirsi non bisogna partire da ciò che sta all’esterno, ma da ciò che è dentro di noi. Del resto, nel testo originale del vangelo di Matteo la parola greca per “conversione” è metanoia, composta da “metà”, oltre; e “nous”, mente. Dunque è movimento che va oltre la mente, è cambiamento di mentalità, è inversione di interiorità. Come preparare allora l’animo alla venuta di Cristo? Bisogna prepararlo cambiando le idee vecchie, coltivate per inerzia e comodità, idee mai verificate e, soprattutto, mai seriamente confrontate con la sapienza che si irradia dal Vangelo. Un’ idea di questo tipo è l’idea di un Dio che non coincide con i tratti del volto di Cristo, ovvero si crede non a un Dio misericordioso, ma a un Dio giustiziere implacabile; non a un Dio amante degli umili e dei piccoli, ma a un Dio fatto a misura della superbia e della forza umana. Certe idee sbagliate ne generano altre, che si insinuano pericolosamente nella nostra vita. Per questo è necessario un atto di conversione. Urge rovesciare, cancellare, demolire le idee inesatte per far nascere una nuova visione dell’uomo e del mondo. Certamente è difficile cambiare radicalmente mentalità, perché le idee tendono a sedimentarsi, a mettere radici nella mente e nel cuore dell’uomo. Tuttavia, difficile non coincide con impossibile. Infatti, la conversione, che è inversione per alcuni, semplice deviazione per altri, è possibile, giacché Dio si è incarnato, ha preso dimora in mezzo a noi e grazie al battesimo dentro di noi, nel nostro cuore dove nasce la decisione tra bene e male, dove c’è la forza e la volontà, dov’è il fuoco che arde. Dunque, la presenza di Dio in noi non è solo l’ultima spiaggia quando non abbiamo più risorse, ma è la nostra forza, il nostro coraggio, la nostra passione d’amore, la nostra fedeltà al dovere di costruire ogni giorno il Regno.
Potenzialmente santi
Dio è dunque già presente in noi. Come? Attraverso il Battesimo. Tuttavia sbagliamo se pensiamo che il semplice fatto di essere battezzati, essere diventati cristiani ci possa salvare, ci possa portare ad incontrare Dio. Il Battesimo, infatti, non è che un inizio. Ma si ha la certezza che in esso è già presente la nostra partecipazione alla Pasqua di Gesù. In altri termini, in “potenza” noi siamo già uomini nuovi, rivestiti di luce e di eternità, in attesa di trasformarci in “atto”. Fra l’essere e l’attuarsi concreto della nostra trasfigurazione in Cristo, è il nostro fare, il nostro quotidiano sforzo di conquistarci la novità di Dio. Il Battesimo è dunque un inizio del cammino di conversione: da lì, infatti, si attinge la forza vitale per superare fragilità, debolezze, paure. Da lì si parte per orientare la rotta verso Dio, per puntare alla croce e alla resurrezione di Cristo come al solo porto sicuro in cui attraccare durante i marosi della vita. Ed è infine proprio il Battesimo che ci rende collaboratori del Regno. Per questo non attardiamoci nel nostro cambiamento, giacché proprio noi siamo chiamati ad essere costruttori con Dio della nuova umanità e del nuovo mondo; noi siamo consacrati ad essere precursori della silenziosa venuta quotidiana di Cristo nel cuore dell’uomo e della storia attraverso il presente della Chiesa, della realtà del mistero eucaristico, dell’ascolto della Parola. Quindi dovremmo noi avere coraggio di assumere la responsabilità di essere quella voce nel deserto che grida e testimonia conversione. Siamo noi che, nonostante tutto il fardello delle contraddizioni, dobbiamo testimoniare la potenzialità e la fattualità della santità che è la vera trasfigurazione dell’uomo in Cristo.
Conclusione
Vale la pena di lasciarsi sedurre da questa avventura? La risposta, forse può darcela un breve racconto della tradizione popolare italiana. Una tartaruga decise di fare una piccola escursione nel buio della notte. Il rospo, al vederla, le dice: “Che imprudenza uscire a quest’ora”. Non aveva torto. Infatti, la tartaruga, per aver fatto un passo nel buio si capovolge . “Te l’avevo detto che era un’imprudenza”, le dice il rospo. “E ora rischi di morire”. E la tartaruga, con gli occhi pieni di una luce segreta, replicò: “Lo so bene. Ma per la prima volta vedo le stelle”. Affrontare la conversione è rischioso. C’è il rischio di trovarsi rovesciati. Ma è l’unico modo per vedere, nella notte di Natale, una stella: quella stella che dà un senso pieno a tutto, sia al vivere che al morire.
Serena domenica + Vincenzo Bertolone
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