La commemorazione dei defunti |
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Scritto da F.Doni | |
lunedì, 25 ottobre 2010 06:56 | |
![]() Resurrezione dei defunti Ricorderò mia mamma, morta a novantasei anni. Il suo volto sembrava una scorza di albero antico per le numerose rughe, ma il suo sorriso restava intatto, evidente, rilucente. Ricorderò un signore che si chiamava come me, Ciccio, dal sorriso largo, aperto e dalla voce squillante che quando mi chiamava per nome avvertivo dal suo tono che non era un rimprovero, ma, semmai, un invito a non commettere marachelle. E ricorderò, passata a miglior vita solo da due anni, il suo nome era Carmela, una donna siciliana : era la mamma del nostro Presule. Dopo che il figlio le aveva dato la particola consacrata per la comunione e le faceva una carezza sulla guancia , il suo volto si illuminava della luce di Cristo Risorto. Di tutti resterà nella retina dei miei occhi la loro immagine, dentro di me i palpiti dei loro cuori: il tesoro nascosto cui , giorno dopo giorno, attingo per superare le piccole avversità del quotidiano.
LA CENERE E L' ETERNITÀ La polvere, la cenere e l' eternità Il giorno dei morti è il giorno della memoria. Affiora dal cuore il volto dei nostri cari che non ci sono più. Avvertiamo l' impronta di un distacco, il dolore di un' assenza, il rimpianto di un dialogo interrotto. La memoria vorrebbe colmare questa distanza dolorosa, nella quale percepiamo la misteriosa anomalia della morte e della separazione rispetto alla continuità indistruttibile dell' amore. Noi oggi rievochiamo i nostri morti, li facciamo presenti nel nostro pensiero, li sentiamo, li vediamo. Li vediamo nell' attimo in cui ci hanno lasciati, un attimo che ha fissato per sempre la loro fisionomia, il loro essere, senza che il tempo li abbia più trasformati, mentre ha trasformato noi. Essi, infatti, abitano fuori del tempo, come liberati dallo snodarsi dei giorni che connota la dimensione precaria dell' uomo che vive sulla terra. La memoria dei morti è come un ritrovamento, un incontro. Un incontro non solo rivolto al passato, colmando lo scarto del tempo ancora trascorso per noi dopo la loro scomparsa; ma rivolto anche al futuro, collocato nel territorio senza tempo dove essi dimorano e verso cui noi pure siamo incamminati. Nel primo senso la memoria è rimpianto. Nel secondo senso, è speranza. Sono, queste, emozioni interiori dell' uomo che durano da milioni di anni, connaturate e insopprimibili, sì da essere sintomi di verità profonde. Noi andiamo a trovare i nostri morti in quei grandi giardini fioriti che chiamiamo cimiteri, vi sostiamo in un dialogo muto o in un colloquio orante, come se là fosse il luogo del ritrovamento di una presenza che ci manca. E anche questa è una evocazione mediata. Mediata dal fatto che là è stato sepolto un corpo, mentre i morti sono liberi dalla dimensione dello spazio. Là c' è solo una spoglia, che torna alla terra, polvere alla polvere, cenere alla cenere. Non è, però, una «cosa» come ogni altra. È un corpo che è stato tempio di un pensiero cosciente, di una capacità di amore, di uno spirito; che è stato tutt' uno con la realtà di una «persona» vivente, dentro la frontiera definitiva dell' essere. A quel corpo ogni civiltà umana ha sempre dedicato rispetto e dignità, e la liturgia cristiana della Messa funebre gli offre l' onore dell' incenso, il profumo dei re. Là c' è la spoglia. Ma i nostri morti non sono la spoglia. La spoglia potrebbe essere bruciata, invece che inumata. Diventare cenere invece che polvere. E la cenere essere dispersa nel fiume o nel mare o nei giardini di roccia e di alberi che si vanno allestendo nelle nostre città, oppure messa in una piccola urna da conservare. Il luogo dei morti non è la tomba, o l' urna, o l' infinito tempio della natura. Il luogo dei morti è l' aldilà! È esattamente questo pensiero che ce li fa incontrare. Andare a trovarli significa inoltrare il pensiero nell' aldilà, proiettarci sulle verità ultime, prender luce da questa finestra per intendere il senso della vita. Come è frequente, per esempio, il sentimento che ci prende nel rievocare il tempo di vita passato insieme, i momenti di incomprensione e di conflitto, i giorni sciupati nella disattenzione e nel disamore, le gioie distrutte da meschini egoismi. E come appare prezioso il tempo della vita. Come diventa lucida la percezione della definitività di ogni istante. I morti ci guardano con altri occhi, con gli occhi della pace. E i loro occhi, mentre ci rammentano che sono le nostre opere a seguirci dopo la morte, ci annunciano che la relazione non è interrotta, che la comunione perdura, che ci attendono con un altro cuore, che pregano perché il nostro cuore si faccia nuovo. Il dialogo con i nostri morti ci incammina così sui sentieri della fede, che illumina le verità verso le quali ci indirizzano le riflessioni della ragione e le intuizioni del cuore. La morte ha qualcosa di improprio. A fronte della dimensione dell' uomo e del suo spirito, assomiglia a un castigo. Ma nella fede cristiana è un castigo redento attraverso la morte di Gesù e la sua risurrezione. E così la vita che si accende oltre la morte è la pienezza della gioia e della pace. È il ritorno a casa, nella braccia del Padre. È questo, infine, l' orizzonte della vita, che chiede coerenza di vita e conversione alla Vita nel tempo che ci è dato. Scriveva Paolo VI, che fu vescovo di questa città: «Il giorno dei Santi e il giorno della commemorazione di tutti i fedeli defunti racchiudono in sé, in modo particolare, la fede nella vita eterna. E benché questi due giorni mettano innanzi agli occhi della nostra anima l' ineluttabilità della morte, essi nello stesso tempo danno testimonianza della vita. L' uomo che, secondo le leggi della natura è "condannato a morte", l' uomo che vive nella prospettiva dell' annientamento del suo corpo, quest' uomo esiste, in pari tempo, nella prospettiva della vita futura ed è chiamato alla gloria». Dionigi Tettamanzi *Arcivescovo di Milano Due giorni NELLA STORIA In origine con la festa di Ognissanti (festum omnium sanctorum) si volevano onorare tutti i martiri, e ogni Chiesa sceglieva per l' occasione una data specifica. Dall' epoca carolingia in poi è diventata la festa di Ognissanti, celebrata il 1° novembre di ogni anno. LA COMMEMORAZIONE Scriveva Paolo VI: «Il giorno dei Santi e il giorno della commemorazione di tutti i fedeli defunti racchiudono in sé la fede nella vita eterna».
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