Skip to content

Sibari

Narrow screen resolution Wide screen resolution Increase font size Decrease font size Default font size    Default color brown color green color red color blue color
Advertisement
Vi Trovate: Home arrow Letteratura arrow Spirito e Fede arrow La parrocchia,un presente da ripensare
Skip to content
La parrocchia,un presente da ripensare PDF Stampa E-mail
Scritto da M.Chiaro   
venerdì, 27 agosto 2010 09:42

Image
Sibari,San Giuseppe nel 1935
Proponiamo ai nostri fedeli frequentatori del sito un’interessante articolo di Mario Chiaro, apparso sul numero del mese di giugno della prestigiosa rivista di alto contenuto culturale “I Martedì”, edita a Bologna dalla “Re Enzo Editore”.   Mario Chiaro, cinquanta anni, sposato con quattro figli, vive a Bologna. Ha contribuito alla nascita e allo sviluppo, come membro a tempo pieno, dell’Associazione di evangelizzazione ALFA-OMEGA, presente in diverse diocesi italiane al servizio delle parrocchie in progetti di prima evangelizzazione. Dopo la laurea in Giurisprudenza (Università La Sapienza di Roma) ha conseguito il diploma in Scienze Religiose presso la Pontificia Università Lateranense in Roma e il Baccalaureato presso lo Studio Teologico Accademico Bolognese. Collabora come membro di redazione della rivista dehoniana “Testimoni”.

 

E’ utile percorrere la vicenda storica dell’istituzione parrocchiale, dal Concilio di Trento fino al Vaticano II, per comprendere le parole-chiave indicate dai vescovi italiani per la sua ridefinizione: comunione, corresponsabilità e collaborazione. Il dibattito post-conciliare, come è noto, si è in qualche modo concentrato sui due poli della Chiesa-di­comunità e della Chiesa-di-popolo, talvolta contrapponendoli e talvolta integrandoli. Il problema in estrema sintesi riguarda la forma sociale della Chiesa dentro una civiltà pluralista, mentre si frammenta la pratica cristiana e si privatizza l'appartenenza ecclesiale. Siamo dunque in piena sintonia storica con quell'incessante riconfigurarsi del "cattolicesimo di parrocchia", la cellula di base dove si coniugano Evangelo e territorio.

La parrocchia infatti ha rappresentato per secoli una realtà sociale inserita anche, come afferma Gabriele De Rosa, nella "vita materiale delle popolazioni locali, in connessione talvolta così profonda da rappresentarne il fattore gravitazionale", capace persino di selezionare la classe dirigente laica ed ecclesiastica. Prendendo le mosse dalla temperie che investì l'Europa con la Riforma e la Controriforma, la forma della parrocchia fu influenzata dalla normativa del concilio di Trento, che ne indicò le condizioni di esistenza: un parroco uscito dal seminario, legame tra beneficio e ufficio retto a vita con presenza costante in delimitato territorio. Un modello "forte" arrivato indenne alle soglie del Vaticano Il.

Chiesa San Giuseppe
La chiesa parrocchiale di Sibari
Tra il Cinquecento e il Seicento, progressivamente, il governo dei vescovi (per ricostituire l'ordine sconvolto dal protestantesimo) fece evolvere l'istituzione parrocchiale orientandola verso una cultura di tipo autoritario-gerar­chico (in linea del resto con il trend che dal Medioevo ha visto la sacralizzazione dei ministeri ecclesiastici e la secolarizzazione del laicato).2 Nel frattempo essa stessa veniva contagiata dalla cultura barocca in vari modi: festeggiamenti dei santi protettori; complessità delle celebrazioni; apparati di macchine per processioni, tridui e novene; scenografiche missioni al popolo con l'aiuto degli ordini religiosi.

Nel Settecento si agitano invece la spiritualità giansenista e il riformismo muratoriano (che auspicava  un ritorno a un modello di Chiesa pre-costantiniana), mentre sul crinale si muoveva il giurisdizionalismo illuminista con la sua pretesa di allentare i legami dei vescovi diocesani con il papa (per controllarli meglio, dal momento che non tollerava altra autorità all'infuori dello stato). Nella cosiddetta "parrocchia dell'Età dei lumi" si tende comunque a formare un nuovo tipo di parroco, culturalmente più preparato, più attento alla catechesi, più cosciente dell'incipiente rivoluzione industriale con la nascita della borghesia.

Nel periodo che va dalla Rivoluzione françese alla soggezione napoleonica la logica della funzione dello stato finisce per togliere alle parrocchie l'assistenza e la beneficenza, le funzioni di anagrafe e di istruzione delle cause matrimoniali, l'impianto dei cimiteri ecc. Pur in mezzo a molte e dolorose vicende, fu questo il momento in cui si attuò  sostanzialmente il passaggio da una parrocchia di tipo "feudale" a una destinata a operare in uno stato "moderno-borghese". Si configura in questo senso l'istituto della congrua per il sostentamento del clero, svestito di attività burocratiche per favorire quelle più pastorali, e la razionalizzazione del numero stesso delle parrocchie.

Nell'Ottocento, passato Napoleone, la cultura della restaurazione antigiacobina permette di conservare da nord a sud la figura del parroco-curato come sorta di funzionario periferico dello stato, riconoscendo la parrocchia come centro organizzativo di vita civile (cf. la figura del parroco maestro, gerente di scuole ecc.). La rivoluzione industriale e la diffusione della stampa fanno comunque percepire sempre più l'ostilità della nuova borghesia al potere e favoriscono anche una visione della parrocchia come "cittadella assediata". La società di massa, il socialismo e l'individualismo liberale sono i fenomeni emergenti che spingono la Chiesa, sull'onda anticlericale, a riscoprire la centralità del riferimento al papa e a stimolare sempre più i laici all'uscita dalla logica delle confraternite per abbracciare la prospettiva culturale che genera cooperative e casse rurali, associazionismo e formazione (si pensi al ruolo dell'Opera dei congressi, all'Azione Cattolica ecc.), mentre si confermano nuove forme di pietà popolare e devozionali.

Image
SS Messa a San Giuseppe
Nel Novecento, con il concilio Vaticano II, avviene la cesura col modello tridentino. Si avverte sempre più la crisi d'identità della parrocchia a fronte dell'insorgente mentalità consumista e secolarizzata della società (cf. le intuizioni anticipatrici di un don Mazzolari o di un don Milani): tengono indubbiamente sia le messe che i riti di passaggio, grazie anche alla mentalità conformista, ma i raggi  del Concilio mettono sempre più a nudo le carenze di corresponsabilità e di evangelizzazione dei battezzati e dei praticanti all'interno della cellula di base della Chiesa locale. Inserita pur sempre nelle vicende della società civile, la parrocchia si deve ripensare alla luce di un contesto caratterizzato da forte mobilità sociale, cercando adattamenti per rimanere, a suo modo, crocevia sul territorio.

Si arriva a un presente in cui si avvertono i sintomi di una struttura che tende spesso ad avvitarsi su se stessa: una parrocchia cioè che organizza "prodotti" per attirare indifferenti e latitanti, ma che incontra serie difficoltà a trovare poi tempi e forze significativi per sviluppare relazioni progressive con loro. ''L’ascolto della vita delle comunità cristiane - hanno scritto i vescovi italiani dopo il IV Convegno ecclesiale nazionale (Verona 2006) - permette di cogliere una forte istanza di rinnovamento. Se negli ultimi anni è parso sempre più evidente che il principale criterio attorno al quale ridisegnare la loro azione è la testimonianza missionaria, oggi emerge con chiarezza anche un'ulteriore esigenza: quella di una pastorale più vicina alla vita delle persone, meno affannata e complessa, meno dispersa e più incisivamente unitaria. Secondo queste linee occorre impegnarsi in un 'cantiere' di rinnovamento pastorale. (. .. ) Le prospettive verso cui muoversi riguardano la centralità della persona e della vita, la qualità delle relazioni all'interno delle comunità, le forme della corresponsabilità missionaria e dell'integrazione tra le dimensioni della pastorale, così come tra le diverse soggettività, realtà e strutture ecclesiali".

Proprio durante il Convegno di Verona 2006 tre parole sono risuonate sempre insieme: comunione, corresponsabilità e collaborazione. La tribolata vicenda della parrocchia, che si è cercato di tratteggiare con troppa brevità, trova qui il suo collo di bottiglia e il passaggio cruciale.

Emerge con particolare lucidità che "gli organismi di partecipazione ecclesiale e anzitutto i consigli pastorali - diocesani e parrocchiali - non stanno vivendo dappertutto una stagione felice. La consapevolezza del valore della corresponsabilità ci impone però di ravvivarli, elaborando anche modalità originali di uno stile ecclesiale di maturazione del consenso e di assunzione di responsabilità. (. .. )

La partecipazione corale e organica di tutti i membri del popolo di Dio non è solo un obiettivo, ma la via per raggiungere la meta di una presenza evangelicamente trasparente e incisiva.

Una strada da percorrere con coraggio è quella dell'integrazione pastorale fra i diversi soggetti ecclesiali.  Alla base della pastorale 'integrata' sta quella 'spiritualità di comunione' che precede le iniziative concrete e purifica la testimonianza dalla tentazione di cedere a competizioni e personalismi".

L’ottica della testimonianza e della corresponsabilità è quella che permette di mettere meglio a fuoco le singole vocazioni cristiane, senza cadere in una visione puramente funzionale dei carismi. La vocazione laicale è chiamata oggi a sprigionare le sue potenzialità nell'annuncio del Vangelo e nell'animazione cristiana della società. Un ruolo specifico spetta alle coppie cristiane che, in forza del sacramento del matrimonio, sono chiamate a divenire "Vangelo vivo tra gli uomini".

In questo processo di inculturazione-umanizzazione, la parrocchia trova un riferimento essenziale nella famiglia: sono infatti due realtà entrambe molto permeabili alla vita quotidiana. Dalla semplice analisi dei testi, nel post-concilio, del magistero pontificio e di quello dell'episcopato italiano già si comprende la crescita nella consapevolezza a riguardo della famiglia in quanto spazio per un'esperienza "domestica" della Chiesa che rende possibile alla comunità cristiana di essere un'esperienza di Chiesa a carattere "familiare". Troviamo qui un salto qualitativo sia nella teologia della famiglia che nell'ecclesiologia.

Naturalmente in tale corrispondenza occorre saper preservare anche la differenza: la concezione di una Chiesa come comunità di famiglie non deve portare a una familizzazione della comunione ecclesiale (i legami di comunione trascendono i vincoli familiari); allo stesso modo !'idea di una famiglia come Chiesa domestica (ecclesiola) non deve produrre una fede addomesticata ma un suo "accasarsi" dentro relazioni umane primarie (marito e moglie, genitori e figli). Piuttosto l'espressione "Chiesa domestica" ha il pregio di fare sintesi tra sacramento del matrimonio e la comunità familiare e, nel contempo, di collegarla all'eucaristia che è porta d’ingresso alla grande Chiesa.

L’analogia mantiene dunque la sua forza e non va fatta scadere in una formula strumentalizzante o emotiva: essa è presente nella riflessione che viene dall'Africa (il concetto di Chiesa come Familia Dei trova qui un forte retroterra antropologico), nell'area anglofona, in quella germanica (studi di G. Lohfink e P.M. Zulehner) e in quella italiana (cf. il progetto di don Renzo Bonetti "Parrocchia-famiglia").

Ricordiamo, a rinforzare questa pista, un testo precursore: "Nell'ambito dell'apostolato di evangelizzazione proprio dei laici è impossibile non rilevare l'azione evangelizzatrice della famiglia. Essa ha ben meritato, nei diversi momenti della storia della Chiesa, la bella definizione di 'Chiesa domestica' sancita dal concilio Vaticano II. Ciò significa che, in ogni famiglia cristiana, dovrebbero riscontrarsi i di­versi aspetti della Chiesa intera. Inoltre la famiglia, come la Chiesa, deve essere uno spazio in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia". A fronte di queste indicazioni, sembra di poter dire, purtroppo, che in questi decenni le attenzioni e i coinvolgimenti di preti e organismi comunitari siano stati soprattutto rivolti ai soggetti singoli, non  colti quasi mai nella loro situazione vitale di coppia o familiare. Per di più, anche il richiamo all'impegno della famiglia (oggi si dovrebbe dire "delle famiglie"), in documenti e convegni, sottolinea quasi sempre più il suo compito educativo che la sua soggettività produttiva di esperienza reale e attraente di comunione e dunque generatrice di Chiesa. Preso atto di queste prospettive, desideriamo in questo nostro dossier focalizzarci, con l'aiuto di at­tenti osservatori, precisamente sulla relazione tra il soggetto "famiglia" e le forme di partecipazione ecclesiale e sociale.

Mario Chiaro

(Nei prossimi giorni seguiranno ulteriori articoli sul tema: Parrocchia e famiglia)

< Precedente   Prossimo >