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Don Pino Puglisi: il sorriso del perdono PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
lunedì, 28 giugno 2010 21:09
puglisi
don Pino Puglisi
«Era un uomo buono, solo, disarmato. In quattro andarono a sparargli. Lo spiarono, lo seguirono, lo raggiunsero sul portone di casa. In silenzio gli andarono alle spalle. Per rabbia lo uccisero. Per rabbia, per paura, per invidia. Perché dall’altare li aveva chiamati animali». Verismo linguistico e realismo scenografico descrivono, nel libro della giornalista Bianca Stancanelli, gli ultimi istanti di vita di padre Pino Puglisi, ucciso il 15 settembre del 1993, nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, davanti alla chiesa di san Gaetano. Una parrocchia di periferia, in un quartiere degradato, Brancaccio, del quale don Puglisi, nato e cresciuto a Palermo, conosce bene le pieghe. Neppure gli sfugge il peso della mafia nella vita pubblica. E della mafia conosce i gesti, i riti, gli uomini. E pensa che la mafia è il peccato.
È il 1990 quando inizia il ministero a Brancaccio, facendosi portavoce e protagonista del vento nuovo che da un po’ animava la Chiesa palermitana. Il parroco chiama le suore di san Francesco a collaborare in opere in favore dei poveri. Una povertà talmente radicata da diventare inspiegabile. E chi la subisce, ne resta annichilito e servo dei più forti. Ecco perché nella strategia mafiosa, Brancaccio non deve rinascere. Salvatore Grigoli, “il cacciatore”, un uomo che ha compiuto con diligenza la gavetta mafiosa, ha ventotto anni quando spara quell’unica pallottola alla nuca del suo quarantesimo bersaglio. Premendo il grilletto, uccide un uomo pulito, inviso alle cosche, ma soprattutto un prete di Cristo, testimone del Vangelo, interprete della verità e della gioia santamente povera del vivere cristiano. «La testimonianza cristiana», scriveva lo stesso padre Puglisi in uno dei pochi testi da lui pubblicati, «è una testimonianza che diventa martirio. Dalla testimonianza al martirio il passo è breve, anzi è proprio questo che dà valore alla testimonianza. A chi è disorientato, il testimone della speranza indica non cos’è la speranza, ma chi è la speranza. La speranza è Cristo, e si indica logicamente attraverso una propria vita orientata verso Cristo». E due giorni dopo il martirio, perché di questo si trattò, Giovanni Paolo II lo ricorda, come può fare un padre addolorato, nella Chiesa Maggiore di La Verna: «Elevo la mia voce per deplorare che un sacerdote impegnato nell’annunciare il Vangelo e nell’aiutare i fratelli a vivere onestamente, ad amare Dio ed il prossimo, sia stato barbaramente eliminato».
Se fosse vivo, il 2 luglio padre Puglisi spegnerebbe le 50 candeline sulla torta del suo ministero sacerdotale. La sua radiosa memoria, oltre ad aver risvegliato le coscienze addormentate, è stata causa della conversione del suo assassino, che non ha dimenticato il sorriso che gli rivolgeva il sacerdote morente. Ed ogni giorno il Servo di Dio, di cui auspichiamo la beatificazione, continua ad additare ai credenti e agli uomini di buona volontà la via della solidarietà e della fratellanza nel nome del Vangelo: da un seme che è morto, stanno maturando migliaia di spighe.
+ Vincenzo Bertolone

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