Don Ciccio Pennini Il 26 gennaio del 1991 veniva a mancare all’affetto dei suoi cari don Ciccio Pennini: un sacerdote che ancora oggi, a distanza di tanti anni resta attuale e caro a tutti quelli che hanno avuto la fortuna di avvicinarlo, conoscerlo e stimarlo. Un fiore alla Sua memoria Ma come tutte le cose umane anche la sua memoria è destinata un po’ alla volta a scomparire nel tempo. Ed è proprio per questo che sento il bisogno di parlare di Lui e dire ciò che sento e profuma ancora la mia esistenza. Abbiamo ragione o non abbiamo ragione di considerarlo un’unica esperienza della nostra vita?
E’ solo perché ci ha dato tanto di quel che ci mancava che ci è sembrato di riconoscere in Lui qualche cosa che va oltre il suo ingegno , la sua memoria, il suo fascino : un esempio, o , se si vuole, un esemplare di quella specie umana , di quegli uomini i quali, in tutte le epoche concentrano in sé una civiltà e possono far fare ad essa dei passi decisivi, a meno che non siano talvolta uno dei bagliori di una civiltà al tramonto ? Oltre l’affetto per la persona , è soltanto per il fatto che anche noi abbiamo amato le stesse cose, siamo stati formati dagli stessi classici , o perché, rappresentava davvero per noi , una vera guida ? Resterà ancora e per quanto tempo in noi tale dilemma ?
Ricordo che quasi tutti gli insegnanti delle diverse discipline umanistiche e non solo quelli del Liceo classico di Castrovillari , Biagio Cappelli , Michele Amato , Vincenzo Severini , personalità della vita civile: l’avvocato Cosentino , don Luigi Saraceni , Biagio D’Arienzi e tanti altri ancora venivano in convitto, a Lui confidavano, a Lui chiedevano e sempre disponibile il sacerdote don Pennini per la crescita morale e civile della cittadina del Pollino. Siamo agli inizi degli anni 50, correva l’Anno Santo. L ‘ anno che Papa Pacelli, Pio XII , aveva voluto dedicare alla Vergine Maria.
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All’apertura dell’anno scolastico avevo varcato le soglie del convitto vescovile Sacro Cuore di Castrovillari dove mons. Pennini era succeduto nella carica di Rettore a monsignore don Giuseppe Angeloni : un sacerdote del nord Italia , a cui era stata affissa . in suo ricordo, una lapide sulla facciata del convitto. Monsignor Pennini restò per oltre un trentennio a Castrovillari ad insegnare religione nel liceo classico e a dirigere il convitto. Erano quelli gli anni che ora ho imparato a riconoscere come quelli del “ roveto ardente “, tanto per prendere a prestito le parole di Arturo Carlo Iemolo. << Gli anni del roveto ardente >>. Perché il finire della guerra aveva segnato per i più degli italiani un breve stato di grazia , qualcosa di simile al benessere dalla convalescenza dopo una lunga malattia, all’empito di riconoscenza verso Dio , di chi sa che ora vivrà mentre prima aveva visto aperta la tomba . Gli italiani che si erano visti perduti ed ora tornavano a sperare, che avevano speso giorni a soffrire consapevoli della sconfitta morale e civile di una guerra non voluta dai più avrebbe martoriato anche quelli non ancora nati. Ma dall’inizio dell’anno scolastico sino all’ 8 dicembre – la festa dell’Immacolata Concezione – ero rimasto in convitto con la segreta speranza che breve sarebbe stato per me quel soggiorno obbligato . Ma quella sera , nella cappella del convitto, alla recita del Santo Rosario sotto l’immagine della Sacra Famiglia del prof. Jusi, alle parole di padre Lombardi che attraverso la radio vaticana annunciava l’apertura dell’Anno Santo, fui rapito e nacqui alla vita di quella comunità. Ancora oggi non so distinguere se sono state le parole di don Pennini o la preghiera di Papa Pacelli rivolte alla Vergine che mi rapirono. << Rapito dal fulgore della Vostra celeste bellezza e sospinti dalle angosce del secolo, ci gettiamo tra le vostre braccia, o Immacolata Madre di Gesù e Madre nostra , Maria, fiduciosi di trovare nel vostro cuore…così le parole…. di Papa Pacelli…
Ma subito dopo iniziò monsignor Pennini : le sue parole cadevano dolci e suadenti sui nostri volti di adolescenti e colpivano nel segno: una era la parola che quasi era un ritornello: << siate buoni, siate buoni >>, in ognuno di voi c’è tanta bontà. Eravamo quasi tutti studenti delle scuole medie, di ginnasio e i più grandi di liceo , venuti da molti paesi della provincia di Cosenza ed anche dalla provincia di Potenza ove non c’erano né il liceo o altre scuole. Potrei fare oggi l’appello e ricordare i loro nomi anche in ordine sparso,tutti quei compagni dimessi nel vestire e tanta malinconia sui loro volti .I loro nomi restano impressi sul giornalino del convitto: << LA CAMPANELLA >>. La campanella che suonava a raccolta per le preghiere del mattino e della sera , per i pasti , e restava silenziosa solo quando il << chiaro di luna >> di Beethoven ci augurava la buona notte . Era il Rettore che in tal modo ci educava a conoscere il bello. Tra i tanti episodi ve ne espongo uno solo, che fu per me formativo. Si era negli anni in cui andava di moda << lascia e raddoppia >> , la rubrica televisiva che teneva incollati la sera al piccolo schermo buona parte degli italiani, i più abbienti però, dinanzi al televisore. L’azione cattolica volle organizzare un gioco similare nel seminario di Cassano e molti seminaristi e molti convittori vi presero parte. Per in Convitto eravamo in due a parteciparvi: il primo, il nome lo ricordo ancora , Vincenzo Panno, divenuto poi farmacista, che si presentava sulla sintassi latina, ed io, invece sulla storia di Cassano di Biagio Lanza. Le domande per me venivano preparate da monsignor Pennini, che in busta chiusa le rimetteva al Mike di turno. Avevo scoperto però che prima di metterle in busta il Rettore ne faceva una minuta che poi strappava . Rinvenirle stracciate nel cestino, ricomporle e riuscirle a decifrare era stato facile per me. E quindi le prove venivano superate facilmente senza sforzo e con grande sicumera. Ma il Rettore aveva intuito molto bene a quale trucco avevo fatto ricorso . Ed allora le domande le preparò direttamente senza fare alcuna minuta. E , questa volta, inutile dirlo, l’asino cascò. Tornai in Convitto battuto e frastornato. Tutti i miei compagni mi chiesero cosa fosse accaduto. Dopo qualche giorno monsignor Pennini mi chiamò da parte e mi recitò dei versi. Prima mi disse << tu che conosci così bene Tagore , Neruda , Lorca non sai che CIRANO’ DE BERGERAC soleva ripetere a se stesso << disdegnando di essere l’edera parassita o il gran tiglio fronzuto salir in alto ma salir senza aiuto >>. Non aggiunse altro. Compresi perfettamente. Come era accaduto per il passato anche questa volta Don Ciccio aveva fatto centro e mi aveva impartito la lezione di vita. Potrei continuare a lungo. Ma può bastare. Molte volte mi sono chiesto dove finisse in Lui il sacerdote e dove iniziasse l’ educatore. Il dilemma me lo sono portato dietro per parecchio tempo. Mi chiedevo se accanto agli studi di teologia o storia sacra non avesse fatto anche studi approfonditi di pedagogia. Mi chiedevo se l’insegnamento positivistico,l’herbartismo e la pedologia tra la fine dell’ottocento e la vigilia della prima guerra mondiale , non l’avessero attratto perché allora il problema dell’ educazione era divenuto il problema della scuola, dell’ intervento dello Stato che si intrecciava e si complicava , soprattutto nei paesi cattolici, con l’azione dei rapporti con la Chiesa. Mi chiedevo se tra le sue letture ci fosse stata la Pedagogia come scienza filosofica di Giovanni Gentile e il concetto dell’educazione e le leggi della formazione spirituale di Lombardo Radice per passare poi al pensiero e all’opera di Maria Montessori, o alle idee della scuola di Lovanio. Allorché un giorno passeggiando assieme a Lui per i viottoli della Cappella del monte mi disse che aveva letto da qualche parte che Freud aveva sostenuto che ci sono tre attività umane terribilmente difficili: << guarire, comandare, educare >>. Guarire dalle malattie del corpo ma principalmente dal peccato, comandare ai propri simili ed educare i propri figli. Allora mi fu tutto chiaro. Compresi come il sacerdote alla luce della sua fede in Cristo si era adoperato per trent’anni ad essere un buon educatore, a continuare l’opera di don Angeloni. Compresi come << sua maestà >> : il bambino, per dirla ancora con il dottor Sigmund , era stato al centro dei suoi interessi. Allora furono chiari tanti aspetti della sua personalità tesa a trasmettere,di generazione in generazione, valori, lingua, stili di vita, vocabolari di moralità ,patrimoni di conoscenza su come il mondo è e su come possiamo e dobbiamo orientarci in esso , senza perderci nei suoi complicati meandri . E quel che più conta fermarsi si tanto in tanto per un esame scrupoloso e impietoso della propria vita senza mai bocciarsi perché bocciarsi da sé è molto peggio che essere bocciato da qualcun altro. John Locke ha sostenuto che l’alfabeto e il linguaggio verbale hanno funzionato nei secoli come il grande “ condotto “ attraverso cui la conoscenza si è trasmessa da una generazione all’altra . Locke , come sappiamo , era molto interessato alle conversazioni tra genitori e figli e a quelle pratiche o forme di vita in cui nella catena delle generazioni, noi apprendiamo a padroneggiare il linguaggio. Ciò, per il fatto essenziale che , apprendendo a padroneggiare il linguaggio, noi apprendiamo molte altre cose : stili di vita. Modi per orientarci nel mondo, mutevoli ideali di eccellenza, di virtù, ragioni e motivazioni per la nostra condotta. Ho imparato tanto e quasi senza accorgermene oggi, mi ritrovo con un bagaglio di atteggiamenti e di umanità che erano i suoi. Charles Baudelaire ha scritto “” che una poesia dice un mondo “”. Ve ne riporto una brevissima: è sua:
C’ è tanto azzurro in alto, c’è tanta neve intorno, ma non per queste mani opache, inerti. Toccale Tu, Signore, Perché sian di luce E fioriran d’amore
Ed allora non perché mi ha tenuto a cresima, non tanto perché ha benedetto le mie nozze in Vietri sul mare nella Chiesa si Santa Maria degli Angeli ma perché mi ha formato e strutturato, per tutto questo, a nome di tutti i miei compagni convittori, complici i dolci rintocchi della Campanella, un fiore per il suo ricordo:il fiore della gratitudine a sua memoria. FRANCESCO DONI
Non bisogna credere che tra uomo e uomo ci sia grande differenza : eccelle chi è educato nel modo più severo. Tucidide, I 84
(Articolo apparso sul mensile "Prospettive Meridionali" diretto da Martino Zuccaro)
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