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Vangelo di domenica 2 Maggio PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
sabato, 01 maggio 2010 07:58
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 13,31-33.34-35.
Quando Giuda fu uscito, Gesù disse : «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui.
Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho gia detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire.Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri». (Segue commento di mons. Bertolone)

V Domenica di Pasqua

2 Maggio 2010

 

Un linguaggio nuovo per una vita differente

 

 

Introduzione

 

                Dalla domenica di Pasqua le nostre Chiese risuonano di parole e canti nuovi. Del resto la “novità” è linguaggio proprio di questo tempo. E la liturgia di questa domenica, la quinta del tempo di Pasqua, non usa un linguaggio diverso, anzi potremmo dire che questa domenica sia pervasa da un profondo senso di “novità”.

                Iniziamo infatti con l’invito a cantare un canto nuovo (Sal 97[98], 1-2); proseguiamo celebrando la nuova Gerusalemme incastonata in cieli nuovi  e terre nuove, perché c’è un Dio che fa nuove tutte le cose; e con Paolo e Barnaba, uniti alla comunità di Antiochia, non possiamo non prendere atto delle cose meravigliose che ancora oggi il Signore compie per mezzo nostro. E finiamo con la parola del Maestro che, dalle pagine del Vangelo di Giovanni, ci dà un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi.

Tuttavia se la novità dei cieli nuovi e delle terre nuove e la contemplazione delle meraviglie del Signore saltano agli occhi e si impongono per la loro reale unicità, per le parole di Gesù è lecito chiedersi cosa ci sia di tanto nuovo nel suo “comandamento”. Perché, se dovessimo decidere di seguirlo, diventeremmo uomini diversi? Cristiani dalla vita differente, solo perché capaci di amare?

                Del resto anche a un non credente è dato di amare: ci si ama da sempre. Allora cosa rende nuovo e diverso l’amore provato da un cristiano, in cosa ne contraddistingue la forma e il contenuto tanto da renderlo diverso dalla più “comune” arte dell’amare: in altre parole dove sta la novità dell’amare di Cristo?

 

Un linguaggio nuovo, un contenuto diverso

 

                La differenza, la novità, che trasformano un linguaggio comunemente inteso e un contenuto sufficientemente noto, come può essere quello dell’amore, sono racchiusi in quel piccolo avverbio, “come”, il quale unisce la prima parte del comando a noi rivolto, “che vi amiate gli uni gli altri”, alla seconda parte avente quale unico soggetto Cristo, “io ho amato voi”.

                Il “come”, in un certo senso, ritma tutto il Vangelo, contiene la statura della nostra vita differente, del nostro amare in modo nuovo. Infatti, vivere e amare come Cristo significa aprire gli orizzonti del cielo, realizzare, a partire da qui ed ora, la terra nuova e i cieli nuovi della visione giovannea. Ma perché il Signore possa operare attraverso di noi simili meraviglie, è necessario prima di tutto non “conoscere” il come vivere e amare in modo nuovo, piuttosto scoprire dentro di noi il dono di un cuore nuovo capace di farlo.

                Il cuore nuovo del cristiano, infatti, reca in sé il primo seme dell’amore quello di Dio per ogni creatura, perciò chi crede, sapendo di essere amato per prima, non può non amare. Dal cuore nuovo del cristiano scaturisce la gioia stessa dell’amare, giacché avverte di essere coinvolto in un progetto più grande di amore: trascinato nella stessa corrente dell’amore di Dio. Un cuore nuovo, poi, inevitabilmente condiziona e modifica le percezioni sensoriali: diventa sguardo nuovo per vedere quanto sia amabile il volto dell’altro; si scopre ogni mattina ad avvertire nuove tutte le cose che ama, perché esso stesso è portatore di una grande novità.

E la novità racchiusa in sé è lo stupore di scoprirsi, amando, segno e sacramento dell’amore di Dio.

                Scoprirsi segno e sacramento dell’amore di Dio significa anche non avere preferenze nell’amare l’altro. Le parole infatti di Gesù, amatevi gli uni gli altri, aprono ad orizzonti nuovi e più ampi: infiniti diventano gli oggetti, i destinatari del nostro amore. È questa è un'altra bella novità.

Gli altri sono tutti. Guai se ci fosse un aggettivo a qualificare chi merita o non merita il nostro amore: giusti o ingiusti, ricchi o poveri, prossimi o lontani, amici e nemici, nel nuovo comandamento all’amore di Gesù sono ugualmente degni di meritare il nostro amore. Deve essere l’uomo, ogni uomo, persino l’inamabile, destinatario privilegiato del nostro amore.

                Con questo tipo di amore realizziamo la novità e la differenza Cristiana dell’amore, per cui non con il “quanto” se ne misura l’intensità e l’autenticità, ma con il “come” si ama. Così gli uomini si amano per nobile senso filantropico, ma il cristiano ama perché in Cristo ha fatto esperienza dell’amore vero, dunque, nella sua memoria e nel suo cuore condivide sempre il “come” del suo Signore.

E per conoscere e vivere il “come” di Cristo, non occorre andare troppo lontani, è sufficiente riprendere in mano il Vangelo, scovando e ricomponendo tutte le tessere del mosaico di “come” Gesù ha mostrato amore e, qualora si dovesse cadere lontano dal modello, tentare ancora: riprovare ad amare come Lui ci ha amati.

 

Non maestri dell’amore ma testimoni

 

Di questo nuovo comandamento, infine, non dobbiamo essere maestri per gli altri – il Maestro è uno solo è già ha istruito per tempo quanti lo hanno seguito e continuano a seguirlo - , quanto testimoni. In altri termini la novità dell’amore cristiano non deve essere affidato a delle parole, ma a uomini e donne in carne e ossa: è la “vita” dei cristiani che deve essere un segno visibile e credibile dell’amore di Cristo.

Quando il cristiano riuscirà finalmente a fare la “differenza” con la propria vita, allora testimonierà “agli altri” veramente un amore nuovo: un amore sincero, cordiale, reciproco e intenso, cioè specchio fedele dell’amore non solo di Cristo, ma addirittura della Trinità.

Un amore siffatto è sincero perché non sa simulare: è vero e coerente, non soffre di schizofrenia tra agire e pensare, tra ciò che appare e ciò che si vive nella propria interiorità ; è, inoltre, cordiale, deve cioè venire dal cuore, fonte di ogni desiderio, atteggiamento e sentimento, ma anche luogo privilegiato dell’incontro con Dio. Tale amore è poi anche reciproco, cioè contraddistinto dalla tensione verso uno stile di vita che ama la reciprocità e fugge l’individualismo; infine, è intenso, ossia forte, robusto, visibile: non è un intenzione o un atteggiamento interiore, ma è amore concreto, speso apertamente al servizio e per il bene dei fratelli.

                Quindi, l’amore dei cristiani deve tradursi in una vita nuova, in modo da dare visibilità e testimonianza alla rigenerazione da esso sperimentato. Una rigenerazione scaturita dall’esperienza dell’amore di Dio, a cui, per altro, continuamente attinge chi desideri ardentemente fare la differenza semplicemente amando.

 

Conclusioni

 

                In un saggio del noto sociologo tedesco E. Fromm, L’arte d’amare, leggiamo: “Se vogliamo sapere come amare dobbiamo procedere allo stesso modo come se volessimo imparare qualsiasi arte…”, perciò essenzialmente due sono le fasi nel suo processo di apprendimento: la teoria e la pratica.

Tuttavia, aggiunge Fromm: “…oltre a conoscere teoria e pratica, per diventare maestro in qualche arte – quindi compresa quella dell’amore - : non deve esserci nient’altro al mondo di più importante…”. La conclusione naturale di questa osservazione è, sempre secondo il Sociologo: l’uomo del nostro tempo non ama, o raramente si sforza di imparare la difficile arte dell’amare, giacché tutto il resto, eccetto l’amore, ritiene ben più importante. Così al primo posto metterà il raggiungimento del successo, del prestigio, del denaro e del potere, quasi ogni sua energia sarà spesa per raggiungere questi scopi, mentre non ne impiegherà nessuna per conoscere l’arte d’amare.

                Volendo ora cambiare i soggetti e gli elementi generici che compongono questa accurata e obiettiva disanima si potrebbe concludere: per un Cristiano, intenzionato a fare la differenza, tutta la teoria e necessaria per apprendere l’arte d’amare è racchiusa in un solo libro, il Vangelo. In Esso, inoltre, è chiaramente esemplificata la pratica, ovvero il “come” ci si debba amare. Cosa ancor più meravigliosa, poi, la teoria non è per nulla astratta e la pratica è stata già tradotta in reale prassi di vita: in altri termini sia la parola che l’azione dell’amore sono incarnati in un solo volto, quello del Cristo.

                 Al cristiano che voglia fare la differenza, allora, non resta che vivere il terzo fattore: mettere Cristo al primo posto nella propria vita, anteporlo ad ogni altra cosa, considerarlo lo scopo ultimo verso il quale orientare ogni energia vitale. Tutto il resto verrà da sé.        

 

Serena domenica

 

                                                                                              + Vincenzo Bertolone  

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