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Sciascia vent'anni dopo PDF Stampa E-mail
Scritto da V.Bertolone   
domenica, 22 novembre 2009 19:14
Sciascia
Leonardo Sciascia
Leonardo Sciascia è morto il 20 novembre del 1989. Vent’anni dopo, la figura del cantore di Racalmuto è oggetto di celebrazioni puntuali ma a volte vuote ed ipocrite. A ricordarne la vera essenza, quei pochi intellettuali senza partito né bandiera, senza giornali né canali televisivi e perciò prevalentemente senza voce.
Quei pochi che - come i soci della Fondazione che dello scrittore siciliano porta il nome e la cui opera ho potuto conoscere ed apprezzare grazie alla disponibilità di suor Maria Canicattì e di Giovanni Bufalino, saggio custode di quei luoghi - come Sciascia ancora credono, per dirla con Goffredo Fofi, che «la verità c’è ed è individuabile; e che di conseguenza sono definibili il giusto e l’ingiusto e la possibilità di una lotta contro l’ingiusto dalla parte del giusto». Parole che evidenziano la rilevanza del contributo da Sciascia lasciato in eredità, ed ancor prima, in vita, spassionatamente donato alla cultura europea ed alla società italiana. Fu intellettuale onesto, inseguì la verità senza mai sottrarsi al confronto anche duro, neppure quando opportunità avrebbe suggerito prudenza. Un atteggiamento che sfociò nell’affermazione di due forti identità culturali: una consapevole sicilianità e l’assunzione salvifica di un’identità di pensiero, da impegnare entrambe nella critica del pregiudizio come della falsa coscienza. Alternando tipologie discorsive diverse, Sciascia si mostrò sempre informato della complessità dei problemi sociali e culturali del proprio tempo, vedendo in essi sia l’eredità di un passato non totalmente trascorso, sia il punto di arrivo provvisorio di nuovi assetti o compromessi storici e politici nel Paese. I suoi saggi, i suoi romanzi, furono un argine di civile confronto e di vigorosi nutrimenti terrestri da opporre all’omologazione, ma pure un cenacolo, un’insolita scuola di libero pensiero e di onestà letteraria, un’informale e antiaccademica accademia, protesi verso un solo obiettivo: la verità. Una ricerca spasmodica che lo portò ad essere fedele compagno di viaggio di Dio, seguendo una personale convinzione così tratteggiata dallo scrittore Giuseppe Antonio Borgese: «Non sono né ateo né credente. Ma cerco di vivere religiosamente. Ed aspiro, per quando sia morto, a una lode: che in nessuna mia pagina è fatta propaganda a un sentimento abietto o malvagio».Certo, Sciascia non poteva accettare, e non accettò, il concetto del pentimento facile né, tantomeno, la storia delle umane debolezze della Chiesa. Ma ciò non aveva nulla a che vedere con la ricerca di Dio e della spiegazione del perché e del télos dell’esistenza umana. Non a caso, nell’ultimo anno della sua parentesi terrena cercò Dio con ancora maggior insistenza. Ed alla fine lo abbracciò, dopo una vita vissuta da uomo di fede, spesa nella certezza che agendo con correttezza ed onestà si fa del bene in terra, a sé ed agli altri, guadagnando, ci piace credere, anche il lasciapassare per il regno dei cieli.

Una lezione di stile e di cultura, ma anche l’esempio e la testimonianza di un cristiano autentico, come pochi ce ne sono stati e ce ne sono.

+ Vincenzo Bertolone - Gazzetta del Sud - 22 Novembre 2009
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