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Vangelo di Domenica 6 Settembre PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
giovedì, 03 settembre 2009 17:58
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 7,31-37.
Di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della
Gesù guarisce sordomuto
pittura di G.Cassioli
Decàpoli.
E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano.
E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua;
guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!».
E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano
e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!».  (nella seconda parte il commento di mons. Bertolone e il suo editoriale apparso sulla Gazzetta del Sud)

XXIII Domenica del Tempo Ordinario

Introduzione               

In questa prima domenica di settembre, la XXIII del tempo ordinario, la Liturgia della Chiesa ci propone la lettura di una pagina del Vangelo di Marco, in cui si parla della guarigione di un sordomuto, particolarmente adatta ai nostri giorni. Con settembre infatti, forse per qualcuno già da tempo, si lasciano alle spalle i suoni, le voci e i rumori dell’estate, e si ricominciano a curare le relazioni: nel lavoro, nella scuola, nella parrocchia, tra amici, colleghi, all’interno delle comunità. Esse, se vissute autenticamente e nella sincerità dei rapporti, possono sfociare in legami profondi, che hanno il sapore della comunionalità.               

Radice, e al tempo stesso linfa vitale, di buone e autentiche relazioni è la capacità di ciascuno di saper ascoltare e parlare correttamente, ma fra l’ascolto e la parola, gioca un ruolo sostanziale il silenzio. È nel silenzio infatti che si creano i presupposti di una relazione profonda, una “comunione”, che qualifica la comunicazione fra gli uomini: “ Gli esseri umani che non conoscono la comunione nel silenzio, non sono capaci di una vera comunicazione”(K. Jaspers). Il silenzio è l’amore in ascolto. Perciò Pascal  ammoniva: “nell’amore un silenzio vale più di un discorso”. La vera comunicazione dunque procede dal silenzio, perché in esso si nasconde l’energia per vivere e dire parole che abbiano senso e verità che non siano soltanto un suono vuoto.                 

Ma il silenzio del sordomuto del Vangelo è di ben altra natura. Esso gli impedisce di ascoltare chi parla e lo ostacola nella comunicazione, perché invece di parlare “balbetta”. È dunque un uomo affetto da un silenzio “nero” che lo rende inadatto  a comunicare, a relazionarsi, ad aprirsi all’altro, a creare comunione. Da questa sordità iniziale, da questo mutismo Gesù lo guarisce, conducendolo verso un silenzio diverso, nel quale far germogliare i semi di una relazione sincera fondata sull’autenticità dell’ascolto e la verità della parola.               

Ascolto, parola e silenzio sono queste le parole da sottolineare in questa domenica: il silenzio è il luogo privilegiato dal quale procede Cristo, vera Parola di comunione, e noi siamo gli “uditori di questa Parola”. Allora l’ascolto inizia nella parte più intima di noi, dove sono messi a tacere anche gli echi più insistenti delle voci e dei rumori esterni. Da dentro inizia il nuovo modo di intendere e percepire la realtà e l’uomo, quali sono usciti dalle mani di Dio. E quando ciò avviene tutto si trasforma, diventa bello e l’anima si riconcilia con Dio e con il mondo.               

È questa la parabola della fede: liberati da sordità e mutismi, aperti alla Verità, percepiamo in ogni creatura la presenza di Dio e sentiamo che Essa ci abita e su di Essa fondiamo le nostre relazioni. Non è un caso allora se proprio questa pagina del vangelo di Marco è stata interpretata come un simbolo del processo di fede; e non per nulla fu introdotto nella celebrazione del battesimo il rito dell’ “Effeta. Apriti!”, ispirato proprio da questo episodio. “Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare la Sua parola e di professare la tua fede…”. E perché nessun battezzato si senta indegno di queste parole, o estraneo ad esse, basti pensare che quanto operato da Gesù sul sordomuto è stato fatto in terra pagana: laddove non si pensa, Cristo si fa ascoltare e seguire, da tutti. Sordi alla Parola, muti all’annuncioIl Dio che Gesù ci rivela oggi è un Dio all’opera. Dunque, un Dio diverso da quello che comunemente si percepisce: “sordo” e “muto” di fronte ai dolori, ai mali del mondo, alle ingiustizie, alla morte. Ma Dio non si lascia condizionare dai nostri luoghi comuni e ci mette di fronte alla verità: i veri sordi siamo noi, quando siamo incapaci di sentire, anche dove sembra impossibile, la sua Presenza; i veri muti siamo noi, quando non riusciamo ad annunciare e testimoniare, con parole vere, chiare e semplici la gioia e la speranza dell’Incontro, quando siamo indifferenti con gli altri.La sordità è causa della nostra poca fede. Essa ostacola spesso l’abbandono fiducioso nelle mani di Dio, perché limita la percezione della Sua Presenza dentro di noi. Senza la capacità di ascolto infatti non si può comunicare con Lui e, soprattutto, non si può protendere verso di Lui, orientarsi verso la Sua stessa lunghezza d’onda. Così s’interrompe la comunicazione e con essa la possibilità di accogliere Dio nella nostra vita. Infatti  il fariseo che è in ognuno di noi è  portato nel dialogo a mettere al centro il  proprio “io” e, lasciandolo trionfare, occupa tutto lo spazio da riservare al “tu” di Dio. E come se dichiarassimo di non volere Dio nel nostro cuore: chiudiamo  le porte all’ascolto della Sua parola e dubitiamo della  Sua presenza. Per questo la prima liberazione è dalla sordità: essere guariti dalla sordità, significa di fatto guadagnare un cuore toccato dalla Parola, un cuore che ascolta, una vita lavorata nelle mani di Dio, libera e salva.Un cuore toccato dalla Parola è un cuore capace di parlare toccando le corde di altri cuori. Ovvero è capace di seminare parole di senso, di spessore, di coraggio. Un cuore incapace di pronunciare parole banali e volgari, ma solo adatto a formulare parole che orientino le persone nel giusto rapporto con Dio e gli altri. Un cuore che ascolta è, infine, un cuore amante del parlare chiaro, sincero, vero; che disdegna le parole prive di speranza, e ricerca quelle aperte al futuro e capaci di volare alto.Il miracolo è dunque questo: Gesù guarisce da una sordità che ci impedisce di “ascoltare”, e ci rende la facoltà di una parola che non balbetta, ma comunica speranza, senso, verità. Per fare ciò però è necessario prendersi in disparte, ovvero tirarsi fuori dal frastuono, dai rumori, dal vociferare che confonde e stordisce. È un rientrare in se stessi, nel silenzio intimo del proprio cuore, là dove abita Dio. È lì che risuona la voce di Gesù, il quale ci invita ad aprirci: “Effeta”. 

La Parola è silenzio                

Alla parola “Effeta. Apriti!” il sordomuto guarisce dalla sordità e inizia l’ “ascolto”; guarisce dal mutismo e inizia la “Parola”, questo passaggio accomuna la storia personale di ciascuno, cominciata col Battesimo. E proprio con il gesto e la parola di Gesù: “Effeta. Apriti”, che, anche in noi, nel giorno del nostro battesimo,  si è compiuto lo stesso miracolo: siamo stati guariti dalla sordità dell’egoismo e dal mutismo della incomunicabilità, e inseriti nella “rete comunionale” della Chiesa, apriamo le orecchie all’ascolto di Dio che ci parla e  annunciamoci reciprocamente il suo amore.                

Tuttavia, come il sordomuto del Vangelo, anche noi, soprattutto ora, che siamo avanti nella fede, dobbiamo fare silenzio. Sembrerebbe una contraddizione: ora che ascoltiamo la Parola, ora che possiamo annunciarla e testimoniarla, siamo invitati al silenzio. Non è un assurdo: il nostro silenzio è la porta attraverso la quale passa la Parola, si fa carne e sangue dentro di noi, mette radici e fiorisce. È il silenzio che consolida la comunione con Dio, perché solo se facciamo silenzio possiamo sperimentare la forza attrattiva della voce e della parola di Dio. E così da semplici “uditori” e “annunciatori” della sua Parola, possiamo sperare di diventare adoratori instancabili del Suo profondo mistero, contemplativi appassionati del Suo Santo Volto, innamorati folli della Sua voce. Solo così tra tante voci riusciremo a riconoscere e seguire solo la Sua voce.    

 Conclusioni                

Silenzio, ascolto e parola attraverso questi passaggi si perfeziona il processo della nostra guarigione: per ascoltare la voce di Dio si deve fare silenzio, giacché nel silenzio la sua Parola mette radici nel cuore, e, riconosciuta quale unica parola di salvezza, di comunione e riconciliazione, diventerà la lampada dei nostri passi.                

Serena domenica.                            

+ Vincenzo Bertolone

(cliccare per l'editoriale "Laudato si' Signore, cum tucte le tue creature")

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