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Vangelo di domenica 19 Luglio PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
sabato, 18 luglio 2009 07:26

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,30-34.
ImageGli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.
Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò». Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare.
Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.
Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero.
Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

(Nella seconda parte le considerazioni di mons. Bertolone vescovo di Cassano)

Introduzione               

Domenica scorsa il brano del Vangelo di Marco parlava di missione: l’invio dei Dodici “nel mondo” affinché, con la predicazione e le attività ad essa connesse, diffondessero il Regno, questa domenica, la XVI del Tempo Ordinario, Marco parla del loro ritorno dalla missione. Sarebbe tuttavia riduttivo limitare al tema del ritorno la pagina del Vangelo, così ricca invece di spunti di riflessione, riconducibili a tre parole chiave: riposo, compassione e pastore.               

Il “riposo” che Gesù propone ai discepoli stanchi, dopo il primo mandato missionario, è il riposo cristiano: non collocato in un luogo, ma in un tempo abitato da una Presenza presso la quale sostare.                

La compassione è quella di Gesù per i discepoli, ma anche e, soprattutto, per la folla che, affamata della Sua parola, si raduna attorno a Lui e ai suoi, i quali travolti a loro volta dal fascino del Maestro si lasciano catturare dalla Sua stessa compassione preoccupandosi e occupandosi della folla.                

E infine la parola pastore, che conclude il passo del Vangelo. Essa interpella direttamente i presbiteri e  indica il solo modello da imitare e seguire per diventare buoni pastori: Cristo, Pastore-Capo, la cui sollecitudine per gli uomini si manifesta assicurando loro insegnamento e nutrimento per l’anima. Ed è proprio su questa ultima parola, pastore, che, soprattutto noi sacerdoti, dobbiamo dirigere l’attenzione: saremo buoni pastori del nostro tempo, attenti alle esigenze delle nostre comunità e compassionevoli verso tutti, anche se spesso dovremo rinunciare a noi stessi e dimenticare le nostre stanchezze, se faremo della Parola, di Cristo stesso, il centro, l’inizio e la fine di ogni scelta, il nutrimento di ogni azione, parola, della intera nostra vita, perciò è necessario che noi per primi ci prendiamo del tempo per far ossigenare il cuore alla Presenza di Cristo, Parola di vita eterna. 

Il tempo del cuore               

L’invito rivolto da Gesù ai suoi discepoli, nel brano del Vangelo di Marco: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’”, è di forte attualità: esso infatti coincide perfettamente con il tempo presente, tempo di vacanze , tempo di riposo. Ma nelle parole di Gesù traspare il modo particolare del riposo cristiano: venite vuol dire che c’è anche Lui. Dunque non è un luogo preciso nel quale concedersi una pausa dalle attività quotidiane, ma è la prossimità, la vicinanza ad una Persona, Cristo, è tempo durante il quale si respira la Sua presenza. È un ritornare alla fonte: possibilità di ritrovarsi con Gesù, godere della sua intimità, ascoltarlo essere messi a parte dei suoi progetti.                Accanto a Gesù il vero discepolo recupera le forze, si rinfranca e impara: ritrova infatti l’equilibrio e il discernimento per non essere travolto dagli avvenimenti della vita; rimette a fuoco le motivazioni per l’annuncio e impara come amorevolmente deve comunicare con gli uomini di oggi, venendo incontro alle loro necessità concrete. Dunque il “riposo”, al quale Gesù ci invita, non è una semplice pausa dal lavoro, un’occasione per riprendere fiato, è molto di più di questo: è vivere il settimo giorno, durante il quale riflettere su quanto compiuto e rendere lode a Dio per quanto operato; durante il quale, inoltre, condotti in un luogo deserto, lasciare che Gesù parli al nostro cuore, e attirandoci a sé, rafforzi il senso del nostro “andare”. Il tempo del “riposo” è allora tempo di rivelazione, di riflessione, di interiorizzazione, di dialogo é tempo del cuore.Tuttavia, ciò è possibile solo se ritorniamo a stimare il silenzio, indispensabile per metterci in contatto con Dio, per pensare, per prendere coscienza del grande mistero di vita e di amore di cui facciamo parte. Solo nel silenzio, infatti, possiamo ritrovare le ragioni del vivere e dell’amare e, insieme, salvarci dalle tante banalità e illusioni del presente. Il silenzio, la solitudine e la preghiera non sono però vie di fuga dalla vita, ma strumenti che ci aiutano a viverla in profondità, cioè restando sempre sintonizzati sulla stessa frequenza di Dio.Quanto sarebbe più bella e tranquilla la nostra vita se dessimo più spazio al silenzio e più tempo alla preghiera: si placherebbero inquietudini e tensioni, desideri vani e rovinose rivalità. Quanto saremo più equilibrati, più sereni se la preghiera ci mettesse ogni giorno davanti all’Eterno e nel silenzio ascoltassimo la Sua sola voce. Non a caso Papa Giovanni – come ripeteva spesso – si considerava un uomo sereno, perché viveva gli avvenimenti portandoli tutti nella preghiera e valutandoli alla luce di Dio.               

Di questi contenuti si dovrebbe riempire il “riposo” cristiano: dell’intimità con una Presenza che ristora dagli affanni del vivere quotidiano, e dell’attivazione delle vie (il silenzio e la preghiera) che La rendono presente al cuore,. Ora, i benefici che il silenzio e la preghiera recano allo spirito non sono solo individuali, ma coinvolgono anche quanti ci vivono accanto, giacché Gesù, proprio in questo stato di apparente “riposo”, suscita in noi un movimento del cuore che porta verso gli altri. Infatti, silenzio e preghiera sono scuola di fraternità: non allontanano dal prossimo, anzi tutt’altro, proprio perché si entra in comunione con il Dio dell’amore e dell’amicizia, si è capaci di fraternità e amore. Si è capaci cioè di avere lo stesso sentimento di Cristo nel vedere le folle: compassione, che è la difficile arte di dimenticarsi di sé e della propria croce, per prendersi addosso le croci degli altri. 

Il tempo del servizio               

E siamo giunti alla seconda parola di questa domenica: compassione. Essa segna il passaggio dal tempo del cuore al tempo del servizio, ovvero la capacità di saper cambiare programma qualora la necessità lo richieda: si parte per restare soli e in intimità con il Signore, ma poi ci si deve mettere a disposizione di una folla che ha sempre fame e sete della Parola. Soggetti a tali cambiamenti di programma, siamo soprattutto noi sacerdoti, che dobbiamo essere  sempre disponibili, non rifiutarci alla gente e fare qualcosa per essa. Quante volte vorremmo “riposare” eppure siamo chiamati a rinunciarvi per far “riposare” gli altri?  Abbiamo solo questo modo per essere degni del Maestro condividendone cioè la compassione e la sollecitudine amorosa per il  popolo. Abbiamo solo questo modo per essere come Gesù, pastori buoni.               

E siamo alla terza ed ultima parola segnalata nell’introduzione: pastore. È Cristo, il Pastore-Capo, al quale rivolgere lo sguardo se vogliamo diventare bravi pastori del gregge; a Lui dobbiamo ispirarci per rendere visibile la nostra sollecitudine per il gregge. Così sulle orme del Pastore-Capo, anche noi pastori di oggi dobbiamo appagare la fame della gente con il vero cibo di vita: il nutrimento della Parola, che non è solo impartire un insegnamento, è, soprattutto, vivere sinceramente e coerentemente secondo lo stile di vita che si è scelti.Le nostre comunità hanno bisogno di pastori che sappiano guidare amorevolmente, istruire sapientemente e nutrire interiormente. E perché ciò sia credibile è necessario testimoniare in modo autentico la scelta di vita fatta, ovvero una rete gettata sulla parola di Cristo. E se vogliamo che le nostre comunità vivano secondo la Parola, dobbiamo essere noi i suoi primi assidui frequentatori, nutrendocene intensamente e continuamente; assimilandola fino a farla diventare parte vitale di noi, carne e sangue del nostro organismo. Dobbiamo renderla noi per primi efficace, manifestando fuori ciò che, al suo passaggio impetuoso, provoca dentro, lasciando che realizzi ciò che significa e produca ciò che proclami. Dobbiamo essere infine noi sacerdoti ad accostarci per primi alla Parola con la consapevolezza che aprirsi alla sua misteriosa azione è come “tendere le vele al vento dello Spirito senza sapere a quali lidi approdare” (San Gerolamo).   

Conclusioni               

Lasciate che il pensiero conclusivo di questa domenica, lo rivolga ai miei confratelli sacerdoti: se vogliamo essere pastori secondo il cuore di Cristo ed  all’altezza dei tempi, non dobbiamo essere uomini di parole, ma uomini della Parola, amata, incarnata, annunciata umilmente, perché il popolo di Dio ne sia edificato e santificato. Sul modello poi di Cristo, Pastore–Capo, impariamo l’arte del dimenticarci per essere sempre pronti, disponibili e pazienti con tutti, anche quando, stanchi, ciò ci comporterebbe fatica. Del resto se abbiamo scelto di appartenere a Dio, niente e nessuno merita di scalfire la bellezza e la gioia dell’esistenza sacerdotale, quella «gioia di appartenere a Dio per sempre», come predicava fiero Paolo VI. Io, voi, tutti, dobbiamo avere il coraggio di esserGli fedeli, di modellare la nostra vita e il nostro ministero sul Suo, di cercare sempre il Suo Volto e sulla scia della Madre, la Vergine Maria, procedere sicuri nel nostro cammino, perché sulla nostra barca non siamo soli: c’è il Signore che ha il potere di dire al vento e al mare: «Taci, calmati» (Mc 4,39).             

Serena domenica                                                                                                                            

* Vincenzo Bertolone

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