..per Mimmo Canonico |
Scritto da F.Doni | |
martedì, 12 aprile 2011 08:35 | |
Non è facile visitare il passato. Se poi sono trascorsi sessanta anni diventa difficile davvero ritrovare i volti e i luoghi con la coscienza del tempo trascorso e che la memoria ha trasformato in patrimonio d’amore. Di quei luoghi le scuole elementari di via Siena – edificio di costruzione d’epoca fascista – il ricordo più caro. Di quei volti gli insegnanti di quegli anni : Antonio Marcelli , Giuseppe La Rocca, Pasquale Arcidiacono , Giuseppe Di Francesco , Domenico Lione , e Riccardo Umbriano , il direttore didattico asciutto e austero nel portamento e nei comportamenti. La data è certa : è il 1947. L’anno in cui dovetti sostenere l’esame di ammissione alla scuola media - allora parificata e non statale - e poi l’esame di licenza media. Oggi sembra un assurdo. Ma è cosi’. Erano necessarie entrambe le prove. E don Luigi Nicoletti , il sacerdote salace ed astuto che presiedeva la Commissione d’esami, e la signorina Carmelina Leone, Vincenzo D’ Atri , Domenico Florio che venivano da Cosenza con la littorina delle ferrovie calabro-lucane , tutti commissari d’esame. E le domande che ponevano non sempre facili.
Il suo nome era Mimmo. Era bravo davvero con la matita ; i suoi disegni leggeri e vivi accendevano la mia fantasia. I suoi disegni, i suoi fiori . E da quei suoi disegni che imparai a distinguere il calice, la corolla, il gambo, l’androceo , il gineceo, tutti inseriti nella parte terminale del fiore che viene chiamato talamo. Le foglie dei gigli e dei giacinti , dei narcisi e dei tulipani, diverse per forma e colori , lui , Mimmo , le conosceva tutte perché nella sua mente c’era tutta la tavolozza dei colori. I colori !!! E chi poteva possedere allora una scatola di colori che erano solo sei. Solamente i ricchi . Ma dove erano allora i ricchi ? Mimmo, però , riusciva ad avere la scatola dei colori . Doveva essere una fata a fare il miracolo perché sul foglio di carta di Fabriano la fantasmagoria dei colori rendeva i fiori , le foglie , i petali , qualsiasi oggetto disegnato da Mimmo vivido e reale. La fata era la sua mamma che riusciva sempre a trovare per suo figlio ciò che poteva renderlo felice , almeno una scatola di colori per compensare forse la scomparsa del padre morto. Poi le strade della vita ci separarono. Lui , Mimmo in Seminario, io invece prima alla media di Cassano e poi al Liceo di Castrovillari. Per tanto tempo restammo lontani e solo un suo zio mi parlava di lui . Ma oggi dopo tanto tempo mi chiedo quali erano le ragioni o meglio cosa mi spingeva a restare stupito e catturato dai fiori di Mimmo? La gelosia che a me era negato quel dono e che mai sarei stato capace di confrontarmi con lui oppure l’ intima gioia che ci appaga e ci fa riflettere su ciò che a noi sembra bello o è veramente bello? A questa domanda solo oggi posso rispondere. Con le parole di Gianni Vattimo: << Noi moderni vediamo nella Venere di Milo una splendida opera d'arte, ma i Greci che produssero quell'opera, probabilmente vedevano in essa in primo luogo una rappresentazione di Venere. Infatti per loro è Venere che è bella, non l'opera d'arte. Al contrario, se un moderno dovesse rispondere alla domanda: "In che cosa vediamo la bellezza nell'opera d'arte o in Venere?", risponderebbe: "Nell'opera d'arte". È l'arte che è bella. La bellezza per i Greci era perfezione, bene, virtù e aveva una realtà autonoma, come una realtà autonoma aveva il brutto, che era anche il male, l'imperfezione. La bellezza avrebbe potuto rimanere tranquillamente bellezza, anche se non ci fosse stato nessuno che avesse conosciuto l'arte di catturarla e di scolpirla sul marmo. Per noi moderni la bellezza non esiste in sé, come una divinità. Il luogo naturale della bellezza è l'arte. L'arte moderna ha privato il bello e il brutto della possibilità di esistere per se stessi. Le avanguardie artistiche, per esempio, possono spostare i confini del gusto. Come potrebbe altrimenti un secchio della spazzatura far parte dell'eletto mondo dell'arte? Avrebbero mai potuto i Greci mettere sullo stesso piano il secchio della spazzatura, che propone l'avanguardia del trash, e la Venere di Milo? Ma non scherziamo! Per loro sarebbe stato uno scandalo, un pensiero da folli! Come dire che Socrate può stare contemporaneamente in piedi e seduto. Ma per noi, invece, poiché è l'arte che fa la bellezza, il secchio della spazzatura può essere anche il soggetto di un'opera d'arte, come il caso del trash. Qual’è però l'autentico concetto del bello e del brutto? Essi si definiscono solo in base all'arte oppure hanno una realtà indipendente da essa? >> La Niche di Samotracia è bella. Ma perché è bella? Possiamo rispondere: è solenne, è perfetta, rappresenta meravigliosamente la vittoria che spicca in volo. Anche per il Partenone potremmo dire che è bello perché solenne e perfetto. Nella sua maestà sembra sottratto al tempo. Se però guardiamo un quadro di Van Gogh scopriamo che è altrettanto bello, eppure c'è dentro tutto il contrario della fiera perfezione che ci comunicano la vittoria alata di Samotracia e il Partenone. Il Partenone sembra un pezzo di eternità. In un autoritratto di Van Gogh troviamo invece un individuo immerso nel tempo. Potrebbe essere bella la rappresentazione di orribili mostri infernali. Guardiamo un quadro di Hieronymus Bosch e ci accorgiamo che, sì, anche l'inferno può essere il soggetto di un'opera d'arte. Una Madonna di Raffaello è altrettanto bella di una ballerina di Toulouse-Lautrec o di una luccicante donna dipinta da Klimt. Anche nell'astrazione dei quadri di Paul Klee o di Kandinskij troviamo la bellezza. All'arte non basta di porgere lo specchio alla natura. Un semplice duplicato della natura non è arte, né possiamo credere che l'essenza dell'arte sia riconducibile al piacere sensibile. Un quadro, una canzone, una sinfonia, un film o una poesia chiamano in causa i nostri sensi. E tuttavia non possiamo toccare la bellezza e non possiamo neanche guardare la bellezza, ma solo un quadro bello. Dobbiamo ammettere allora di trovarci prigionieri di uno strano paradosso: sappiamo riconoscere la bellezza, se ci imbattiamo in essa, ma non sappiamo dire che cosa essa sia. È come se sapessimo riconoscere una certa persona tra la folla, pur non avendola vista prima. Per riconoscere la bellezza non abbiamo dovuto leggere alcun trattato di estetica. Perché allora, nonostante questa immediata coscienza della bellezza, sorge in noi il problema estetico? E’ Emilio Garroni che insegna estetica alla Sapienza di Roma a rispondere: << Se qualcuno davanti a La Gioconda di Leonardo, dopo essersi fatto l'arco del gruppetto degli ammiratori del quadro, dicesse, storcendo il naso, che quel dipinto gli pare una crosta, probabilmente attirerebbe su di sé gli sguardi perplessi degli astanti. Tutti direbbero di lui: "Che barbaro! Che mancanza di gusto! Ecco un uomo che disonora l'umanità!" Se però provassimo a chiederci perché sia possibile tanta aggressività ad una simile differenza di gusto o, peggio ancora, se provassimo a domandarci su che cosa si possa fondare l'idea che quel quadro debba per forza piacere a tutti, forse ci troveremmo di fronte a qualche imbarazzo. Che cosa potremmo dire? Che cosa potremmo opporre a chi ci obiettasse che il gusto è soggettivo? Pur con tutte le nostre convinzioni, forse, non sapremmo fornire un concetto adeguato dell'idea che tutti consideriamo vera, ossia la convinzione che la bellezza sia qualcosa che dovrebbe incontrare il placet di ogni possibile gusto. Sospettiamo che, se la bellezza non incontrasse l'approvazione di ogni possibile gusto, forse non potremmo più rifarci a questo concetto. Il giudizio di gusto, ne siamo convinti, esige il consenso di tutti. Ma come si può dire che il gusto estetico sia unico per tutti gli individui e che non sia differenziato in base alle diversità degli uomini. Se, poi, riducessimo il gusto ad un puro fatto di palato, di disposizione transitoria della nostra sensibilità, non correremmo il rischio di sminuirlo? Viceversa, non è forse vero che la bellezza sia qualcosa in grado di produrre piacere? Il piacere è un fatto concreto del nostro sentire, non un concetto. Il gusto, dunque, sembrerebbe essere compreso tra due mondi, senza essere di casa in nessuno dei due. È legato al piacere e a ciò che dispiace, ma non è soggettivo, come invece sembrerebbero essere il piacere e il dispiacere. Il piacere estetico ci riguarda individualmente e al tempo stesso, crediamo, debba riguardare individualmente tutti gli uomini.>> Forse per questo che vedendo ed ammirando i fiori di Mimmo Canonico qualcuno ha sentito il bisogno di scrivere questi versi: Fiori e colori
Ad occhi chiusi stanotte pensavo Le solite cose ad un tratto cos'è Un tipo strano mi tocca la mano Su vieni con me Vieni con me Correndo per mano In un posto lontano Lo seguo ai confini dell'irrealtà Strani bagliori Quanti colori Un organo suona ma dove sarà? Dove sarà? Dove sarà? Io li ho visti gialli e bianchi e blu Sono tanti tanti fiori che cadono giù I fiori. i fiori. i fiori Io li ho visti gialli e verdi e blu Milioni di colori che vengono giù Colori.colori.colori Poi d'improvviso mi metto a ballare A cogliere i fiori più belli per te Pazzo di gioia mi fermo ed ascolto Un coro di voci che canta per me Canta per me Canta per me Io li ho visti gialli e bianchi e blu Sono tanti tanti fiori che cadono giù I fiori. i fiori. i fiori Io li ho visti gialli e verdi e blu Milioni di colori che vengono giù Colori , colori , colori .
Cassano Jonio sabato 16 ottobre 2004
Francesco Doni |
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